Il libro

Orfeo tutta la calce

di Roberta Bertozzi

(prima della muta eri un grappolo
che l’imbastitura di fiati teneva insieme
figurina ripassata dal cuore
dal corredo delle articolazioni
poi quelle parole, le mani
entrate nel fare automatico
e la tua assenza – un’isola
nel covo di bocca
e quelli a metterci il dito – non
si fa così
attenta)

al mio tre compari
senza un dove, un segnale
cantilena – forza che mi angoli
in fiducia
nella caduta del ritorno
perché le tue ossa stanno nei muri
di grado in grado – fino all’ottava
sotto le palpebre degli elementi
il cantiere delle sillabe
e quel ritrovarselo
per il senso delle fibre muscolari

(dall'autopresentazione)

Dentro l’esperienza, dentro la spinta della mia esperienza ma di là dal mio – eventuale, decisivo, formativo – dato biografico: la poesia cristallizza tempi, luoghi, casi in modo imprevisto, fuori dal nostro assegnare importanza, in un tessuto di routine, nelle strade secondarie. È solo di questo che posso realmente parlare, solo di questo che riconosco la realtà. Dentro il mestiere, il rischio del mestiere ma di là dalla mia consapevolezza del percorso: se io sapessi questo controllo, se io impiegassi questo controllo sarebbe il mio fallimento. Quello che io elaboro o intuisco della scrittura, il senso del funzionamento o della prospettiva non decide mai il corso dei versi, la loro ragione profonda: mi capita che il pensiero sulla poesia e la poesia convivano solo per il gusto di tradirsi, di portarsi reciproco dispetto.