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FARANEWS
ISSN 15908585
MENSILE DI
INFORMAZIONE CULTURALE
a cura di Fara Editore
1. Gennaio 2000
Uno strumento
2. Febbraio 2000
Alla scoperta dell'Africa
3. Marzo 2000
Il nuovo millennio ha bisogno di idee
4. Aprile 2000
Se esiste un Dio giusto, perché il male?
5. Maggio 2000
Il viaggio...
6. Giugno 2000
La realtà della realtà
7. Luglio 2000
La "pace" dell'intelletuale
8. Agosto 2000
Progetti di pace
9. Settembre 2000
Il racconto fantastico
10. Ottobre 2000
I pregi della sintesi
11. Novembre 2000
Il mese del ricordo
12. Dicembre 2000
La strada dell'anima
13. Gennaio 2001
Fare il punto
14. Febbraio 2001
Tessere storie
15. Marzo 2001
La densità della parola
16. Aprile 2001
Corpo e inchiostro
17. Maggio 2001
Specchi senza volto?
18. Giugno 2001
Chi ha più fede?
19. Luglio 2001
Il silenzio
20. Agosto 2001
Sensi rivelati
21. Settembre 2001
Accenti trasferibili?
22. Ottobre 2001
Parole amicali
23. Novembre 2001
Concorso IIIM: vincitori I ed.
24. Dicembre 2001
Lettere e visioni
25. Gennaio 2002
Terra/di/nessuno: vincitori I ed.
26. Febbraio 2002
L'etica dello scrivere
27. Marzo 2002
Le affinità elettive
28. Aprile 2002
I verbi del guardare
29. Maggio 2002
Le impronte delle parole
30. Giugno 2002
La forza discreta della mitezza
31. Luglio 2002
La terapia della scrittura
32. Agosto 2002
Concorso IIIM: vincitori II ed.
33. Settembre 2002
Parola e identità
34. Ottobre 2002
Tracce ed orme
35. Novembre 2002
I confini dell'Oceano
36. Dicembre 2002
Finis terrae
37. Gennaio 2003
Quodlibet?
38. Febbraio 2003
No man's land
39. Marzo 2003
Autori e amici
40. Aprile 2003
Futuro presente
41. Maggio 2003
Terra/di/nessuno: vincitori II ed.
42. Giugno 2003
Poetica
43. Luglio 2003
Esistono nuovi romanzieri?
44. Agosto 2003
I vincitori del terzo Concorso IIIM
45.Settembre 2003
Per i lettori stanchi
46. Ottobre 2003
"Nuove" voci della poesia e senso del fare letterario
47. Novembre 2003
Lettere vive
48. Dicembre 2003
Scelte di vita
49-50. Gennaio-Febbraio 2004
Pubblica con noi e altro
51. Marzo 2004
Fra prosa e poesia
52. Aprile 2004
Preghiere
53. Maggio 2004
La strada ascetica
54. Giugno 2004
Intercultura: un luogo comune?
55. Luglio 2004
Prosapoetica "terra/di/nessuno" 2004
56. Agosto 2004
Una estate vaga di senso
57. Settembre2004
La politica non è solo economia
58. Ottobre 2004
Varia umanità
59. Novembre 2004
I vincitori del quarto Concorso IIIM
60. Dicembre 2004
Epiloghi iniziali
61. Gennaio 2005
Pubblica con noi 2004
62. Febbraio 2005
In questo tempo misurato
63. Marzo 2005
Concerto semplice
64. Aprile 2005
Stanze e passi
65. Maggio 2005
Il mare di Giona
65.bis Maggio 2005
Una presenza
66. Giugno 2005
Risultati del Concorso Prosapoetica
67. Luglio 2005
Risvolti vitali
68. Agosto 2005
Letteratura globale
69. Settembre 2005
Parole in volo
70. Ottobre 2005
Un tappo universale
71. Novembre 2005
Fratello da sempre nell'andare
72. Dicembre 2005
Noi siamo degli altri
73. Gennario 2006
Un anno ricco di sguardi
Vincitori IV concorso Pubblica con noi
74. Febbraio 2006
I morti guarderanno la strada
75. Marzo 2006
L'ombra dietro le parole
76. Aprile 2006
Lettori partecipi (il fuoco nella forma)
77. Maggio 2006
"indecidibile santo, corrotto di vuoto"
78. Giugno 2006
Varco vitale
79. Luglio 2006
“io ti voglio… prima che muoia / rendimi padre” ovvero
tempo, stabilità, “memoria”
79.bis
I vincitori del concorso Prosapoetica 2006
80. Agosto 2006
Personaggi o autori?
81. Settembre 2006
Lessico o sintassi?
82. Ottobre 2006
Rimescolando le forme del tempo
83. Novembre 2006
Questa sì è poesia domestica
84. Dicembre 2006
La poesia necessaria va oltre i sepolcri?
85. Gennaio 2007
La parola mi ha scelto (e non viceversa)
86. Febbraio 2007
Abbiamo creduto senza più sperare
87. Marzo 2007
“Di sti tempi… na poesia / nunnu sai mai / quannu finiscia”
88. Aprile 2007
La Bellezza del Sacrificio
89. Maggio 2007
I vincitori del concorso Prosapoetica 2007
90. Giugno 2007
“Solo facendo silenzio / capisco / le parole / giuste”
91. Luglio 2007
La poesia come cura (oltre il sé verso il mondo e oltre)
92. Agosto 2007
Versi accidentali
93. Settembre 2007
Vita senza emozioni?
94. Ottobre 2007
Ombre e radici, normalità e follia…
95. Novembre 2007
I vincitori di Pubblica con noi 2007 e non solo
96. Dicembre 2007
Il tragico del comico
97. Gennaio 2008
Open year
98. Febbraio 2008
Si vive di formule / oltre che di tempo
99. Marzo 2008
Una croce trafitta d'amore
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Numero 44
Agosto 2003
Editoriale: I vincitori del terzo Concorso IIIM
Questo Faranews è dedicato ai vincitori della terza
edizione del Concorso IIIM. I giurati
David Aguzzi, Angela Barlotti, Gilberto Ciavatta, Alessandro Giovanardi,
Letizia Lanzi e Michele Ruele hanno premiato le seguenti opere a loro
giunte assolutamente anonime (un grazie sentito alla giuria e a tutti
i partecipanti):
Primo classificato (18 punti) Lori
Nocandi (Rimini) con La siepe
Operetta morale costruita intorno ad una sola idea portante, la narrazione
che cresce attorno a un dialogo, una "siepe" che fa le veci
dei "muri" da cui siamo circondati, un intento parenetico:
il complesso si distingue per forza di contenuti e una certa originalità
nell'impostazione. Coinvolgente e ben scritta, intensa nelle descrizioni,
affronta un tema attuale ed inerente al concorso con freschezza e senza
cadere in facili retoriche. Lo stile è composto e a tratti risulta
malinconico, la scelta del dialogo è appropriata e ben sostenuta.
Secondo classificato (13 punti) Daniele
Bottura (S. Giorgio di Mantova) con Una mattina
mi son svegliato
Metaforico e reale disincanto e illusione persa nell'oblio del quotidiano.
Colpito dal titolo, un giurato si è chiesto subito cosa volesse
dire. La prima frase che ha letto è stata: "Spesso servono
dei segreti per vivere bene. Come due baci su due visi diversi".
I pochi personaggi si fondono con lo scorrere delle parole scritte in
un'unica storia: la realtà.
Terzo classificato (12 punti) Alessandra
Carlini (Rimini) con I fiori e la signora M
A volte leggendo è bello trovare ritratti amici e in questo racconto
si ritrovano mentre vivono insieme a noi. Deliziosamente inquietante
e delicato, come deve essere un racconto breve e perfetto.
I vincitori riceveranno in dono libri rappresentativi
dell'attività editoriale di Fara: 15 al primo, 10 al secondo,
5 al terzo.
Sono state inoltre segnalate (e vengono pubblicate in
Faranews) le seguenti opere:
con 9 punti
Il ritorno (Nicola
Morgantini, Ripescia, GR): Discreto paradosso dei nostri tempi,
lucido di realtà non dette.
Le anatre sorde (Alessandra
Micarelli, Roma): "… sembra meno pesante il mondo se
non ti riguarda" dice il narratore in questo racconto intenso e
parabolico.
Caro Dio, ascoltami! (Anna
de Castiglione, Milano): Una preghiera è il condensato di
poesia e prosa, di alto e basso, della dimensione del sé e di
quella universale. Vanno sottolineati la semplicità, il ribaltamento
di prospettiva, la problematicità insita in questa "terra
di nessuno" esistenziale.
Buio (Milvia
Comastri, Bellaria): Cronaca descrittiva e molto efficace di uno
sbattere d'occhi tragico che coinvolge.
con 6 punti
Il ciclostile (Giovanni
Sarubbi, Monteforte Irpino, AV): Nomenclatura della giovinezza:
oggetti e nomi, con la nonchalance del disinganno, formano
un'epica lontana e incredula, una memoria spiazzata, un reportage dagli
anni delle grandi aspettative.
Agosto (Oreste
Bonvicini, Casal Cermelli, AL): Possiede una forza evocativa e descrittiva
unitaria (non dispersiva) e precisa.
La mia donna (Beatrice
Tessadri, Porto Mantovano): Lo stile è scorrevole, il racconto
sintetico, ma non trascurato. Convince nello svolgimento. Il finale
è originale ed inaspettato. Induce alla riflessione.
con 3 punti
Aliena (Gabriella
Maddalena, Malo, VI): Sintesi di valori esistenziali, mitigato da
speranza di cambiamento, prosa scarna ma efficace.
Ritratto di un ricordo (Gloria
Venturini, Lendinara, RO): Allegoria del "blocco dell'artista"
e della malinconia.
Forrest Gump (Corrado
Giamboni, Porto Mantovano): Ben scritto e incisivo.
La porta (Marianna
Pregoni, Napoli): Scritto con semplicità e ben composto,
il racconto si sviluppa con linearità e senza sbavature. L'idea
è accattivante ed i primi due paragrafi non lasciano intuire
quale sarà il finale.
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Opere
vincitrici
La siepe (Lori
Nocandi I classificata)
La casa bianca è fra gli alberi.
La primavera e il nuovo millennio, appena nati fra le pagine del calendario
del tempo, sono entrati con stile insolito in un normale giardino di
erbe e margherite.
Fra gli ulivi il caldo afoso, saporoso d'Africa, espande umori
estivi al verde nuovo e rigoglioso che fa da isolante prima fra la casa
ed una strada, poi fra questa ed il resto del mondo.
Le foglie tenere di vita nuova e le cascate di rose sul cancello contrappongono
toni variegati alla neutralità della calce sui muri.
Sotto ad un ulivo, nella pace umida e calda di un pomeriggio qualsiasi,
due donne parlano fra loro.
LA FIGLIA: Mamma, perché quella siepe?
LA MADRE: È una siepe, così come ce ne son tante. Guardati
attorno. Ce ne sono dappertutto, sulla strada e fra le case. È
una normale siepe di confine. Adesso poi c'è la brutta
moda di sostituirle con quelle orrende plastiche verdi che offendono
la natura e l'occhio umano… si lacerano subito, diventano
più buchi che plastica, dopo un po' le vedi dondolarsi
al vento sui cancelli come stracci-fantasmi. E si fanno beffe di chi
le ha scelte come sipari di quell'antico senso del pudore che
oggi si chiama privacy… svolazzando anche di giorno: forse servono
a tenere alla larga gli uccelli, o forse sono proprio questi che non
le sopportano e le attaccano… mah vai a capire… Almeno la
nostra è una normale siepe d'alloro, venuta su quando abbiamo
litigato coi vicini… brutta faccenda quella… prima ti dicono
"sì sì fate pure i lavori nella vostra parte di giardino"
poi… poi non si fidano, arrivano i tecnici a dividere… è
andata anche a finire che ci hanno perso una bella fetta di terra, là
in fondo, vicino alla strada… e subito la siepe, questa che ti
interessa tanto adesso.
LA FIGLIA (fresca di scuola, con tendenza al filosofico, puntigliosa
e precisa fino allo sfinimento): Questo già lo sapevo. Tu banalizzi
sempre tutto… l'estetica… gli uccelli… la plastica
verde… la lite coi vicini… come se tutto questo già
non lo sapessi… io prima ci giocavo con mio cugino, adesso l'ho
perso… dietro quella siepe. Io intendevo dire: perché anche
lui adesso parla solo dei loro interessi? e perché è doppia?
LA MADRE (infastidita dal caldo, di tendenza preferirebbe sorvolare
e sistemare solo i gerani nei vasi): Forse perché quando si diventa
grandi rincorrersi su di un prato è un gioco che non diverte
più… Doppia… mi chiedi perché è doppia.
Forse questa siepe divide anche di più. Vedi quella dall'altra
parte è normale, anche più bassa, se vuoi. E poi è
un piacere parlare col nostro vicino: lui ama la cultura di tuo padre…
dice che ha amici che vengono dalla Persia, raffinati… tutti brave
persone. Questa invece è doppia perché le diffidenze,
se ci sono, è meglio che si vedano.
LA FIGLIA: Ma allora non è una di quelle siepi di cui parlavi
prima… normali le chiamavi, la privacy…
LA MADRE: Tanto normale non lo è. Forse è una normale
siepe del terzo millennio. Perché in questi anni difficili il
mondo va anche così… i nostri vicini poi o urlano e spaccano
tutto in casa, o ridono. Fuori hanno un prestigio sociale da difendere,
non deve essere facile la costruzione di un'immagine… e
tutte le marce per la pace da camminare… e quella famiglia di
extra-comunitari da mantenere. Fuori. In casa tutt'altro stile…
solo diffidenza verso tuo padre o invidia per il suo grande equilibrio
e la lagna della fiscalità, quel dio burocratico che li ispira
e li acceca… e la forza bruta che caratterizza la superiorità
– o la buffoneria – della loro stirpe di "locali"…
LA FIGLIA: Ne ho sentite altre di storie come questa: non può
essere sempre così, non ci credo… il dialogo fra le culture…
non esiste dunque, non c'è… Forse è per questo
che io mi sento così
spezzata dentro: non riesco ad integrarmi fino in fondo coi miei coetanei,
paralizzata da quella siepe…
LA MADRE: Non c'è rispetto… non c'è
scambio. Vedi, da quando ho conosciuto tuo padre sento di avere per
casa delle ricchezze che altri non hanno. Con la diffidenza e con le
siepi si sotterrano tesori che nessuna mappa potrà mai indicare.
Però tuo padre è soddisfatto anche così, lui si
accontenta di poco… noi non ne sappiamo niente di cosa vuol dire
non essere liberi, delle sue passeggiate in pantaloncini corti, che
nel suo paese non può fare. Si sente beato e libero anche fra
queste siepi in giardino, si accontenta di poco tuo padre.
LA FIGLIA: Ma a me non basta, quello che abbiamo non mi sembra granché,
dimmi… forse tu…
LA MADRE (sorvolando la risposta ad una domanda già pronta e
calda nell'aria): Sì io… io ho sempre il consiglio
giusto, lo sai. Altrimenti che madre sarei? Vai, vai a respirare in
libertà l'aria del mare… qui fra tutto questo verde…
si soffoca.
Ora attorno alla casa bianca il silenzio.
Fra i gerani già ordinati nei vasi
ed una donna con l'annaffiatoio in mano.
E in quel silenzio scivola una lacrima
che in assoluta libertà
va a sistemarsi sul petalo assetato di un fiore.
Lori Nocandi è nata e vive a Rimini. Ha sposato
un iraniano incontrato all'università (Studi turistici). Ha pubblicato
con noi Duemila e
una luna.
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Una mattina mi son svegliato
(Daniele Bottura
II classificata)
Il fratello che non ho passa tutti i giorni in bicicletta
sotto le finestre di casa mia. Pedala fischiettando un ritornello che
mi è familiare. Indossa pantaloncini corti, una maglietta bianca
e le scarpe da ginnastica senza calze. È alto, magro e non porta
mai gli occhiali da sole. Probabilmente ha gli occhi scuri e la voce
grossa. Tutti i giorni alle cinque del pomeriggio lo vedo mentre torna
a casa. I suoi piccoli figli lo aspettano sul divano. Quando entra in
casa loro gli salgono sulle spalle. Lui li fa volare in alto. Poi, dopo
cena, giocano tutti insieme a indovinare gli animali di cui la mamma
fa i versi. Spesso, la notte, mi addormento pensando ai loro sonni tranquilli.
Adele abita nella casa di campagna di fronte alla mia. Cammina con le
braccia un po' allargate, distanti dai grandi fianchi, come se dovesse
stare in equilibrio su questa terra. Ha le braccia grosse, senza muscoli,
come tutte le braccia delle donne di campagna. Pelle e segni del tempo
che oscillano ad ogni passo. Tutte le sere, verso le sette, Adele esce
di casa, percorre il vialetto di sassi e si dirige verso la strada asfaltata.
La strada comunale. Resta lì mezz'ora. Cerca qualcuno con cui
parlare. Qualcuno che si fermi. Certe sere guarda le macchine che passano.
Io la osservo dalla finestra o dal balcone, mentre sta in piedi sull'asfalto.
Lei sa che ci sono. Non mi dice mai niente né io le ho mai detto
niente. Guarda in su, verso di me. Mi sorride e io sorrido a lei. Le
sono rimasti pochi denti ed è buffa quando parla.
Il fratello che non ho lavora nell'allevamento di polli che c'è
vicino a casa mia. L'altra sera l'ho visto uscire con la
sua bicicletta dal cancello dell'allevamento. Sembrava molto dimagrito.
Aveva il viso stanco e pedalava a fatica. Pareva invecchiato improvvisamente
di vent'anni.
Una volta ho chiesto ad un amico "perché siamo così
magri?". Lui ha risposto "perché non ci fermiamo mai".
Certe persone non si fermano perché è inutile pensare
di farlo. Viene dentro un'irrequietezza che non lascia spazio alle pause,
ai ritmi lenti, ai pensieri moderati e ai dondolii dell'essere umano.
Qualche volta capita che si debba fare ciò che non può
non esser fatto: un litigio, un pugno in faccia, un bacio, un altro
bacio. Un cambiamento di rotta. Un folle inseguimento. Un grido controvento.
Colui che raccoglie questo grido, può solo abbracciare il proprio
io irrequieto e correre, senza pensare ai danni.
Forse, di questi, se ne accorgerà solo alla fine. Mai durante.
Adele conosce, una per una, tutte le galline dell'allevamento. Il gallo
alle cinque di mattina canta. Io lo sento, apro gli occhi e ritrovo
la certezza che un nuovo giorno sta per cominciare.
Il fratello che non ho è andato via di casa ieri sera tra urla
e schiamazzi. Ha lasciato definitivamente la moglie e i miei due piccoli
nipoti che non ho più. Lei urlava. Loro piangevano. Lui non diceva
niente.
"Aveva l'amante da qualche anno", così ha detto
Adele, stamattina, quando mi ha visto uscire di casa. Era immobile di
fianco alla mia auto. Sa che tutte le mattine alle sette io parto per
la città. Mi stava aspettando. Mentre mi guardava fisso nell'occhio
sinistro, ha poi aggiunto: "Ma non si preoccupi. Non è sempre
un danno. Spesso servono dei segreti per vivere bene. Come due baci
su due visi diversi."
Daniele Bottura è responsabile dell'Associazione
culturale Grilliperlatesta con la quale cura annualmente la selezione
letteraria VERBA MARKET, vetrina ad uso dei giovani scrittori mantovani.
È editore della rivista letteraria LACIO
DROM, buona strada e ideatore di MOLTI SOLI, frammenti, fotografie
e letteratura da strada, ogni tanto in spedizione elettronica agli iscritti
(ci si iscrive gratuitamente mandando una e-mail a grilliperlatesta@libero.it).
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I
fiori e la signora M (Alessandra
Carlini III classificata)
Quando i pensieri la stringevano troppo d'assedio,
la signora M odiava i risultati delle partite alla tv e il rumore delle
scarpe da ginnastica dei suoi figli.
Cercava allora angoli dove non la raggiungessero chiacchiericci e fastidiosi
racconti di cadute in motocicletta.
Nei giorni normali si muoveva con graziosa disinvoltura tra tutto questo,
sentendosi completamente in comunione con ciò che chiamava "vita".
Ma in altri giorni sentiva un'onda sollevarla e depositarla sulle incaute
spiagge di quelli che chiamava invece "cattivi pensieri".
Cattivi perché le avevano insegnato a diffidarne, non perché
non ricavasse un certo piacere dalla malinconia e dalla scontrosità
trionfanti. Vedeva la piattaforma della realtà sotto i suoi piedi,
un corpo solido che sosteneva e innalzava come un piedistallo.
Di là dalla penombra, oltre il corridoio e il giardino, vedeva
sé stessa muoversi con l'imprevedibile morbidezza dei fantasmi.
Fu in uno di quei momenti che la signora M sentì gemere.
Per un attimo pensò di aver singhiozzato senza accorgersene,
ma nuovi gemiti la distrassero dal malinconico soppesare i propri pensieri
e la spinsero a guardarsi attorno.
Niente, anzi nessuno era nella casa in quel momento. Doveva quindi aver
scambiato lo scricchiolìo di un mobile, l'assestarsi delle
stoviglie in cucina, per un pianto lontano. Che sciocchezza. E sprofondò
ancor di più nel suo fantasticare senza figure.
Ma non senza suoni, se d'un tratto "lo" sentì distintamente.
Era un pianto come di bambino, ma senza quell'invito alla tenerezza
che contraddistingue il singhiozzare infantile.
Era secco e cantilenante, interrotto appena da sospiri graffiati e rauchi
come accenni di tosse. Era un pianto che aveva tutta la sgradevolezza
dei ricordi penosi e dei risvegli improvvisi.
La signora M credette di impazzire. Quel pianto assurdo, slegato da
ogni presenza fisica, le strinse il cuore in una morsa, e glielo sciolse
poi in una lunga reverie – o fu piuttosto una specie di incubo
da cattiva digestione – al termine della quale l'attendeva una
realtà lucida e brillante come certe mattine dopo un acquazzone.
L'indomani non andò meglio. Verso l'ora di cena sentì
odore di fiori appassiti. Cambiò stanza ma l'odore la seguì,
tormentandola fino a tarda sera.
Quel pomeriggio aveva ragionato a lungo tra sé sulla necessità
di una decisione presa in passato. Non ricordava esattamente i particolari,
e il quadro che andava ricomponendo era molto più simile a ciò
che avrebbe voluto vivere che alla realtà. Un moncone di frase,
una sequenza di gesti, la durata di una stretta di mano seguivano docilmente
i suoi ordini, disponendosi dove avrebbero figurato meglio.
L'odore gettò lo scompiglio tra i ricordi.
Tutto sembrava incredibilmente vicino, come appena successo. Andò
nell'anticamera incontro a passi in arrivo, e si stupì
di trovarla buia e vuota, silenziosa.
L'immobilità del signor M, immerso nella lettura del giornale,
le confermò il sospetto di trovarsi a tu per tu con un delirio
assolutamente personale.
Si convinse perciò a non farne parola con nessuno.
Fu in quel periodo anzi che si decise a intraprendere lunghi e costosi
lavori di ristrutturazione della casa.
Il quotidiano contatto con problemi pratici, la necessità di
seguire costantemente il lavoro di muratori e elettricisti. Non le impedivano
di abbandonarsi, di tanto in tanto, alle sue fantasticherie.
Che erano più dolci del solito, più sospese, appena affioranti
da un brodo atemporale e silenzioso.
Quando si manifestavano, cogliendola sempre di sorpresa, i gemiti e
l'odore di fiori appassiti sembravano trapassare sia la realtà
che le fantasticherie, dimostrandosi estranei sia all'una che
all'altra dimensione.
Ora arrivavano insieme, riempivano la casa fatta nuova con tanta cura,
ne invecchiavano gli infissi, facevano cadere le tegole dal tetto, scrostavano
i muri appena imbiancati, impolveravano le scansie lucide.
La signora M desiderava arrendersi. Eppure solo lei tra gli abitanti
della casa pareva accorgersi di quello che stava accadendo. I suoi figli
erano avidi di futuro, suo marito navigava nel presente, quindi a lei
sola era toccato il peso del passato.
L'importante, si disse, era non smarrirsi.
A volte contava la prima fila di piastrelle della cucina, oppure ripeteva
fra sé i fatti che le riportavano i suoi figli, con l'illusione
di ancorarsi saldamente al presente. Ma non funzionava, e si accorse
presto che solo il pianto senza piangente, ormai in visita quotidiana,
le dava il piacere di una ricorrenza non usurata dalla prevedibilità.
Un giorno il figlio maggiore la sorprese mentre parlava con un'amica
morta dodici anni prima in un incidente d'auto.
Naturalmente non s'accorse della giovane signora bionda che stava
seduta accanto alla finestra.
Vide solo sua madre coprirsi la bocca con il palmo della mano –
un gesto usuale – e la sentì ridere con un gorgoglìo
nuovo e profondo.
Il figlio maggiore della signora M conosceva di sua madre solo il sorriso
compiaciuto e immobile, e non riconobbe la risatina che fece appena
lo vide, mentre la giovane signora morta spariva dolcemente nel pulviscolo
luminoso che entrava dalla finestra.
Niente poteva distogliere il figlio della signora M dall'idea
soffocante e allo stesso tempo rassicurante che la sua casa fosse immersa
nell'immobilità. Fuori dal circolo degli eventi che sconvolgono
e modificano.
La sua casa era lo scenario fisso sul quale rappresentava la propria
vita.
Tuttavia la risata di sua madre lo seguì per molto tempo, prima
come uno scricchiolìo di scarpe nuove, in seguito come un treno
in lontananza e infine, quando fu molto vecchio (ma contrariamente a
ogni sua aspettativa, molto felice), come il rumore dei suoi sogni.
Alesssandra Carlini è laureata al DAMS in drammaturgia
e ha lavorato per anni in case editrici. Attualmente è copywriter.
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Opere selezionate
Il ritorno (Nicola
Morgantini)
Il delegato cinese all'assemblea delle Nazioni Unite
era stato fin troppo chiaro: "Abbiamo un conto aperto col Giappone.
E intendiamo saldarlo". Poi aveva chiesto che l'assemblea
approvasse una risoluzione che concedesse alla Cina il diritto di "usare
le armi per lavare le tante offese del passato", e l'aveva
chiesto scandendo una serie di minacce, per nulla velate, ai delegati
degli altri Stati, nel caso in cui avessero votato contro quell'esplicita
dichiarazione di guerra. Le minacce fecero il loro effetto: la risoluzione
fu approvata a unanimità.
Nel frattempo, molto lontano dal palazzo di vetro dell'ONU, si
stava celebrando un funerale. Il defunto, chiamato da tutti il capo,
era stato un personaggio importante, un personaggio che aveva costruito
un vero e proprio impero. La sua morte aveva generato grande sconcerto
tra i suoi collaboratori. E sì che non era giunta inaspettata:
il capo era malato da tempo, e ultimamente aveva rallentato le sue molteplici
attività. Alcune, addirittura, le aveva interamente delegate
ai suoi fedelissimi, i quali le avevano gestite al solo scopo di trarne
un profitto personale. Avevano fatto un pessimo lavoro, ma a loro non
importava nulla. A loro importava solo di continuare a esercitare il
potere e di ricavarne gli utili. La morte del capo pose fine a tutto
ciò. I collaboratori erano dunque sconcertati, e anche preoccupati
per il futuro: al capo sarebbe succeduto il figlio.
Il figlio era una testa matta, un ribelle. Soprattutto uno che voleva
sovvertire i rapporti di forza e i privilegi che i collaboratori di
suo padre si erano sapientemente garantiti nella conduzione degli affari.
Ci aveva già provato molti anni prima, quando il capo, per ignoti
motivi, gli aveva affidato una parte consistente dell'impresa
di famiglia, ma i suoi progetti di cambiamento e risanamento non furono
capiti. E fallirono più o meno miseramente.
I delegati dei paesi membri dell'ONU uscirono silenziosamente
dal palazzo di vetro. Per l'ennesima volta non erano stati capaci
di limitare l'arbitrio di una grande potenza. Da quando gli Stati
Uniti avevano legittimato il concetto di guerra preventiva, l'assemblea
delle Nazioni Unite aveva assunto la funzione di cassa di risonanza
dei bellicosi proclami di questo o quello Stato. Ci sarebbero state
dunque altre migliaia di vittime. Come in Iraq, come in Iran, come in
Corea, come a Taiwan, come in Pakistan. Morti, ancora morti, e l'umanità
a chiedersi perché, per chi?
"Dobbiamo fare qualcosa, non possiamo stare fermi a guardare quel
mezzo rivoluzionario che butta all'aria i frutti delle nostre
fatiche!" disse improvvisamente un collaboratore agli altri suoi
pari che erano, o facevano finta di essere, assorti in preghiera sulla
tomba dell'estinto. Seguì un attimo di pensieroso silenzio.
"Io credo invece che sia un bene che quello scellerato torni a
comandare" disse il collaboratore più anziano.
Tutti lo guardarono con aria sorpresa.
"Credo che sia un bene – proseguì – perché
se fallisse di nuovo noi avremmo la strada spianata per dirigere direttamente
l'impresa. A quel punto non ci sarebbero più ostacoli, ma gloria
e benefici materiali per tutti noi! Ho già un mente un piano,
un piano che risolverà definitivamente il problema."
Al termine del funerale, il figlio riunì intorno a sé
i collaboratori e disse loro che intendeva riprendere l'opera
di risanamento dell'impresa esattamente dove l'aveva interrotta
tanto tempo prima. Accusò inoltre i collaboratori di aver tradito
la fiducia di suo padre e preannunciò che ci sarebbero stati
cambiamenti radicali sia tra i vertici sia alla base. Alla fine del
suo discorso, il figlio chiese al collaboratore più anziano di
completare la procedura del trasferimento dei poteri.
Questi scattò sull'attenti e si avviò verso la sala
comando, seguito da un giovane collega.
"Allora… questo piano qual è?" gli chiese quest'ultimo.
"Lo faccio rinascere a Tokio, anziché a Betlemme. Durerà
molto meno dell'altra volta. Fidati."
Nicola Morgantini, 39 anni, lavora nel campo della moda
tra Parigi e New York. È bellissimo, ricchissimo, intellettualmente
vivace, ed è spesso sulle prime pagine delle riviste internazionali
di gossip. Recentemente è stato arrestato per aver rubato un
motorino alla stazione di Viterbo.
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Le anatre sorde (Alessandra
Micarelli)
Mi chiedevi se fossimo due anime dannate.
Quella mattina ti svegliasti prima di me e con il tuo buon senso vacillante
e creativo decidesti di uscire in fretta.
– Siamo come quegli amori di certi drammi letterari? condannati
a vivere nell'oblio di una oscurità e clandestinità
colpevole e fatale? Siamo servi di un destino sadico? Giustiziati nella
nostra stanza umida di sudore, odorante di fumo e di tabacco, attraversata
da zanzare sterili e affamate, a contare ore in cui la morte non osa
porre limiti al tempo per poter guardare tutto il tempo che si consuma?
- È bello amarti, dannato.
Mi sembravi bellissimo con i tuoi occhi neri pieni di domande e fu soltanto
il sorriso di commozione che ti rispose avvolgendo la tua superba insicurezza.
Mentre parlavi una donna attraversava una strada desolata della Svizzera
orientale e un'auto la investiva senza neanche accorgersi che
esistesse.
Mi piace pensare alla contemporaneità degli eventi, sembra meno
pesante il mondo se non ti riguarda. Puoi piangere i funerali di una
sconosciuta con l'ingenua amarezza della tristezza a priori, puoi piangerla
senza essere guardato e senza giustificarti, e piangere per tutto.
La prima volta che ti ho visto ti ho spiato dalla finestra.
Eri un'ombra sottile e forte, una forma compatta e sinuosa.
Ti vestivi con la stessa cura di chi dovesse andare in un posto importante,
ma ora so che fai così ogni volta che ti vesti.
Ti ho guardato finché non hai spento la luce e mi sentii ladro
e torbido, mi sono visto accanto al buio con te tremante di emozione.
Eri andato via troppo presto quel mattino.
– Siamo come Romeo e Giulietta? siamo due amanti in un mondo senza
amore… che senso hanno due amanti in un mondo senza amore?
– Sai che giornata mi aspetta oggi, Romeo?… Quando sarò
nel viale, in Asia la gente avrà cenato e si preparerà
per la notte… tu ci pensi mai?
– Ho picchiato un uomo ieri in strada, mi sfotteva impunemente.
È un gruppo che ci guarda spesso, li vedo mentre ridono.
– Romeo, perché sei tu Romeo?
– Pensavo a quando nella piazza di Verona Mercuzio muore per niente.
Dicono che la morte viaggi sul binario parallelo a quello di ognuno,
guardando lontano senza mai voltarsi.
Ora sono a teatro per le prove, il mio personaggio si chiama Oreste.
Interpreto dignitosamente l'uomo rarefatto che sono.
Mentre sospiro parole, Teresa mi porta cattive notizie su di te.
Il coma è diventato irreversibile.
Forse è stato uno scambio di binari senza semaforo.
Vedo la tua testa gettata contro il marciapiede e il tuo candore spegnersi
solitario accanto alla mia assenza ambigua di coraggio.
Ho ancora poche parole che mi formulano pensieri, perché di colpo
ho immense tutte le verità del mondo in un unico importante segreto.
C'erano anatre nel parco.
Erano sorde.
Le ho viste litigare per un pezzetto di pane.
Erano maschi.
Incolti animali folli istintivamente nemici e ostili per un dramma chiamato
esistenza.
Erano diverse tra loro e uguali al mondo intero, erano bianche e opache,
rosse e lucide, verdi e violacee.
Strette e annegate dentro un mare di anatre sorde, replicavano il proprio
pezzetto di pane beccandosi fino a sanguinare.
Mentivano nel riconoscersi identiche l'una all'altra assassinando
la solitudine.
Tu conoscevi la verità della diversità.
Sei stato costretto ad imparare per amore a non averne paura e a non
mentire.
Sprezzante e maleducato, incatenato nella terra coi pugni chiusi per
tutto il tempo delle parole.
Il mio Capuleto è annegato insieme alle anatre sorde, lo hanno
tirato giù perché aveva gridato troppo forte il proprio
colore.
Colpevole e martire della diversità di tutti.
Alessandra Micarelli è nata e vive a Roma. Sta laureandosi in
Storia dell'Arte all'Università La Spaienza. Terza classificata
al concorso Le Agavi con il racconto "Il concerto", seconda
classificata al concorso della casa editrice I fiori di campo con Lettera
d'Amore. Scrive articoli di arte e archeologia.
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Caro Dio, ascoltami! (Anna
de Castiglione)
Caro Dio,
So che mi ascolterai e che solo tu puoi ascoltarmi e puoi capirmi.
Vorrei un mondo davvero libero, senza sbarre né catene, senza
regole né divieti;
Vorrei un mondo palpitante di vita, incontri, anime, emozioni;
nel quale non fosse necessario chiedere perdono per essere perdonati;
e nel quale si sapesse pregare anche per ciò che si può
ottenere senza pregare.
Vorrei che le streghe diventassero buone, che i lupi non mangiassero
più le nonne;
e che ogni poeta sapesse di essere ricco come nessun re in nessun palazzo
d'oro potrà mai essere.
Vorrei un mondo nel quale le dichiarazioni di guerra non arrivassero
mai a destinazione e nel quale dichiarazioni d'amore sapessero arrivare
dirette al cuore, senza bisogno di parole.
Vorrei passioni che non consumano e parole che non feriscono; fiori
che non sfioriscono e amori senza fine.
Vorrei che i miei occhi potessero chiudersi con un bacio.
Caro Dio,
so che mi ascolterai, perché mi hai voluto e mi hai amato; perché
hai amato me e i miei desideri.
Caro Dio,
in questa solitudine, mi sembra di sentirti…
Mio Dio… Tu che mi fai chiedere, concedimi!
Sono certo che mi hai ascoltato, e dinnanzi a te mi sento tanto impotente
e tanto debole… il mio respiro si fa lieve… lontano;
certo stai esaudendo la mia preghiera, ma… forse… forse
noi uomini non potremmo che distruggere il mondo che vorrei?!! vuoi
dirmi che non ci sarebbe posto nemmeno… nemmeno per me???
Anna de Castiglione è nata e vive a Milano. Laureata in Economia
e commercio si è classificata in numerosi concorsi, fra i quali:
Marguerite Yourcenar 2001 (seconda), Parole e immagini 2001 (terza),
Elsa Morante 2001 (terza), Fiabe nelle cave 2002 (seconda), Laboratorio
Artistico Itinerante 2003 (terza), Anteka Erice 2003 (prima). Marzo
2003: esce la prima raccolta-premio: Sogni caldi senza zucchero
(Montedit-Fonopoli). Luglio 2003 – una speranza: è certo
che ogni cosa deve iniziare, non è certo che debba finire.
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Buio (Milvia
Comastri)
Apro gli occhi e la luce del sole mi sbatte sulla faccia
mi schiaccia sul terreno umido fangoso richiudo gli occhi l'asfalto
scorre sotto l'automobile illuminazioni al neon delle stazioni
di rifornimento passano veloci il suo profilo ha un che di rapace mentre
porta la lattina di birra alle labbra l'insegna di un motel case con
occhi bui la testa mi pulsa dio mi sono cacciata in un casino un tir
ci viene incontro sull'altra corsia troppo vicino ci viene addosso
il respiro mi si ferma lui sterza si infila in una traversa una serata
in discoteca finita male è molto buio l'auto sobbalza e
avanza su un terreno sconnesso rami sbattono contro i finestrini gli
ho detto va bene portami a casa magari prima beviamo ancora qualcosa
non ho pensato che finisse così questa corsa pazza non lo conoscevo
non è la prima volta che dico andiamo a uno sconosciuto ma lui
lo vedo che è diverso non solo fatto e strafatto anch'io
un po' lo sono ma ha come del ghiaccio tutto intorno ghiaccio
e silenzio freddo i capelli gli spiovono sugli occhi li lascia stare
stacca una mano dal volante solo per bere e buttare la lattina dal finestrino
la strada si restringe ancora il buio è totale intorno odore
di sottobosco improvviso un cancello aperto illuminato dai fari dell'auto
dalla radio la voce di Anita Baker che canta My Favorite Things pazzesco
è la canzone prediletta da mia madre lui ferma l'auto scendo
corro dove non so inciampo sbatto la faccia a terra
Riapro gli occhi la luce è meno violenta una formica mi cammina
sul braccio segue la via di un graffio veloce si ferma ancora veloce
mi passo una mano sul viso non lo riconosco ha colline dove c'erano
pianure avvallamenti dove c'erano ossa osservo la mia mano sporca
di sangue capelli sono rimasti intrappolati nell'anello i suoi
stupida stupida stupida mi sento il suo odore addosso qualcosa di appiccicoso
mi si è seccato fra le gambe giro la testa un male boia mi aggredisce
tutto il corpo urlo ma sento solo silenzio in una pozzanghera galleggiano
mozziconi di sigarette e il cadavere di una mosca il muschio sulla panchina
di cemento disegna ghirighori sulla scritta Paola ti amo 1987 accanto
a un sacchetto di plastica del magazzino in centro una siringa fili
d'erba vibrano nella brezza un uccello fischia più lontano
rumore di lamiere la formica continua a risalire una nuvola copre il
sole mi devo rialzare appoggio le mani sul terreno per darmi la forza
di mettermi in piedi le dita affondano nella melma mi siedo un'ondata
di nausea mi prende tutta poi il buio
Milvia Comastri è nata a Bologna ma vive a Bellaria.
Si è riappropriata del sogno di scrivere frequentando un corso
di scrittura creativa.
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Il ciclostile
(Giovanni Sarubbi)
Dalla stanza veniva un rumore di ferraglia. Si sentiva
anche qualcuno ansimare come se stesse facendo uno sforzo fisico notevole.
"Piano, fai piano", diceva una voce femminile. Bussai ed entrai.
Era la prima volta che vedevo un ciclostile in vita mia. Oggi non ne
esistono più così. Rigorosamente manuale, massiccio e
pesantissimo, almeno così pareva a prima vista. Un ragazzo, quello
che ansimava, lo manovrava con perizia, mentre la ragazza raccoglieva
i foglietti che man mano uscivano dalla macchina. Tutt'intorno
le pareti sembravano malate di un morbillo multicolore. Schizzi di inchiostro
rosso e nero si vedevano dappertutto, fra un manifesto scritto a mano
(quelli allora si chiamavano con terminologia cinese, Tazebao) ed una
scritta direttamente sul muro. "Facciamo l'amore, non facciamo
la guerra", diceva una di queste scritte.
"Ciao, sono Giovanni – dissi ai due al ciclostile –
che cosa è questo aggeggio?"
Mi guardarono come se fossi appena giunto da Marte, come a dire "come
fai a non conoscere il ciclostile?"
Ma non potevo farci nulla. Fino ad allora, avevo poco più di
17 anni, non ne avevo mai visto uno. Ma ciò non mi impedì
di familiarizzare immediatamente con il nuovo strumento anche perché
i due mi misero subito al lavoro. Quello che sbruffava e girava la manovella
del ciclostile si fermò. "Vieni – mi disse –
sostituiscimi per un po'". La ragazza dal canto suo mi fece
un sorriso che mi fece desistere da qualsiasi protesta. Rimasi li per
circa due ore a girare quella manovella. Alla fine della serata sapevo
tutto sul ciclostile, sull'inchiostro, sulle matrici, sulle risme
di carta. Teoria e pratica si fusero insieme in modo mirabile.
La ragazza era espertissima in una operazione che ancora oggi non riesco
a chiamare diversamente: "smazzare". L'operazione è
facile a farsi ma difficile da descrivere. Si tratta in sostanza di
fare in modo che i vari fogli costituenti la risma di carta formato
ciclostile, in genere 500 fogli uno sull'altro, si separassero facilmente
gli uni dagli altri. Provai anch'io quella sera il piacere di una "smazzata"
soprattutto quando ad insegnarmela fu la ragazza, occhi neri, capelli
altrettanto neri e lunghi che sembrava Maria Maddalena. Ed il suo nome
era proprio Maria.
La stamperia dove ci trovavamo era la sede di un gruppuscolo di estrema
sinistra, uno dei tanti del 1967-68. Ma chiamarla sede era un eufemismo.
Si trattava di uno scantinato messo a disposizione dal padre di uno
dei membri del gruppo che avevo conosciuto qualche giorno prima.
Fino a quel momento avevo fatto lo scout nell'allora ASCI. Ero stato
"capo branco", il cosiddetto Akela, colui che curava i ragazzini
fino ai 10 anni. Sapevo tutto di nodi, tende da campeggio, sacchi a
pelo e zaini. Sapevo arrampicarmi su un albero come una scimmia, costruire
un ponte fatto di travi di legno per attraversare un fossato, cucinare
un'ottima pasta e fagioli, ma non avevo mai visto un ciclostile. A dire
il vero ce n'era uno nella parrocchia dove aveva sede il gruppo scout,
ma il parroco non lo faceva usare a nessuno perché, così
diceva, si poteva rompere.
Quella sera le ore volarono via quasi senza accorgercene. La curiosità
di apprendere tutto su quel nuovo strumento mi fece mettere in secondo
piano anche gli occhi di Maria. Lo so, oggi anche a me sembra incredibile,
perché Maria era veramente bella. Ma quella sera, anche grazie
a Maria, imparai un mucchio di cose che poi avrei usato spesso negli
anni a venire. Io conoscevo il segreto della riproduzione dei testi
in migliaia di copie. Come imparai a mie spese successivamente, questa
conoscenza non comune mi procurò molto lavoro manuale. Divenni
“l'uomo del ciclostile”, delle matrici, dei liquidi
correttori. Quando riuscii a mettere le mani su un ciclostile elettrico
ed un produttore di matrici elettroniche mi sembrò di essere
entrato in paradiso. Ma noi, ragazzi del '68 e dintorni, ci accontentavamo
di poco.
Giovanni Sarubbi, 52 anni, Lucano di origine, giornalista,
direttore de "Il Dialogo – Periodico di Monteforte Irpino
(AV)", sito internet www.ildialogo.org,
si occupa di pace e nonviolenza, dialogo ecumenico ed interreligioso,
è fra i promotori del dialogo cristiano islamico, collabora con
il quotidiano "Il Mattino" di Napoli, e le riviste "Tempi
di Fraternità" e "Adista".
Agosto (Oreste
Bonvicini)
Ciò che abbiamo intorno, intorno
e dentro è questa terra di frammenti.
Gocce di un mare che non bagna.
Non è acqua, ma terra e grigia cenere
e roccia e terra e fango
e alberi e radici e terra e fuoco.
Acqua dei fossi, dei fiumi gonfi sotto le piogge intense
di poche ore. E poi placidi assetati corsi d'acqua ridotti a rivoli
asfittici nella ghiaia. La terra intorno spaccata, frantumata dal caldo
poi spento dal buio repentino di quelle notti fra feste e balli e note
che risuonano fino all'alba, fatta di sogni e brevi amori.
La notte umido è l'odore della terra.
Qualcuno canta o grida nell'aria ferma.
Oreste Bonvicini è nato ad Alessandria nel 1958.
Scrive di letteratura, storia e poesia. Ha pubblicato Cibernetica
presso Montedit e ricevuto numerosi riconoscimenti (v. anche il n.
41 di Faranews).
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La mia donna (Beatrice
Tessadri)
Una coppia felice, infelice, tante cose da fare, da rifare,
che non avrebbe dovuto fare. Con dei sogni. Qualche follia. Sesso acceso.
Un punto a loro favore: sono riusciti ad andare via. Sono un uomo e
una donna, hanno ucciso il padre e la madre (niente raccapriccio: è
Freud), ci hanno impiegato più di trent'anni. A sfavore: la fatica
ha ripetutamente offuscato la speranza. Si sono insultati e sentono
che non avrebbero dovuto farlo. Pensano all'amore fra i traffici quotidiani,
a come piacersi. In un angolo del cervello, per fortuna e fatica ridimensionato
a giusto anelito, l'idea di raggiungere la perfezione. (Swann: la fragilità
del corpo di Odette.)
Una lacerazione improvvisa sconvolge la loro vita: un incidente brutale
spezza la spina dorsale di lei, ma il cuore non cessa di battere, continua
a pompare sangue, a irrorare un cervello senza pensieri. Lui la vuole
disperatamente viva, tergiversa a lungo, giorni lunghi come l'eterno,
aspettano solo una sua decisione per staccare la macchina.
Improbabile una speranza. Gli spiegano che potrebbe segnare una svolta
nella chirurgia, che è già stato sperimentato sugli animali
più simili all'uomo, che non ci sono vie intermedie, o vive o
muore. L'operazione riesce, funzioni del cervello inalterate, ma tutto
è come azzerato. Amalia dovrà imparare tutto da capo.
Nicola prova un'ebbrezza strana, una sorta di potenza creatrice. Amalia
è nelle sue mani, sarà perfetta, sarà bellissima.
Amerà lo sport, sarà come lui l‚ha sempre voluta…
sarà la sua donna ideale.
Sono i capitoli centrali del libro (o del film). Nicola riflette sulla
manipolazione, fantastica: insegna, e Amalia impara. Nicola studia libri
di pedagogia, ha a cuore la sua felicità e quella di lei.
Confronto età logica – età mentale, il fantasma
della femminilità, le donne dei poeti e dei romanzieri. Amalia
lo fa sentire come Dio, e più vicino al demonio.
Iniziazione sessuale. Piacere. Si insinua il disagio dell'incesto. Amalia
si conosce, cresce… i suoi pensieri, attese, dipendenza. Inizia
un legame padre/figlia, imprevisto, inevitabile.Un punto a suo favore:
è riuscita ad andare via, ha ucciso il padre, ha impiegato più
di trent'anni. Ora ne ha settanta. Avrebbe voluto morire?
Beatrice Tessadri, nata in tempi non sospetti a Mantova,
è insegnante, guida turistica, mamma. Dotata di una voce bellissima,
ama la lettura e la scrittura, che pratica discontinuamente. Le piace
molto Mantova, soprattutto
arrivando dal ponte S. Giorgio, e in generale tutto ciò che è
bello. Le rimangono molte cose da fare, ma di quelle che ha fatto è
contenta. Un sogno nel cassetto: una sorpresa che piaccia a lei organizzata
da suo marito, magari a sua insaputa.
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Aliena (Gabriella
Maddalena)
Sento un sospiro nascosto
inascoltato, triste,
una segreta nostalgia.
Rimpiango altre vite
altri mondi
altri destini
un'altra galassia.
Sono aliena al mio mondo
oscura alle sue forze.
La forza è un vento che soffia
lontano.
Chiaro sole di marzo
rido al tuo pallido sorriso.
Vorrei parlare con gli atomi d'idrogeno
ma non ne conosco il linguaggio.
Dalla nascita a Malo (Vicenza) nel 1951, insegnante elementare,
Gabriella Maddalena vive il paese di provincia con intensità
di emozioni e di vita essenziale.
Il canto antico, la musica nei suoi più diversi aspetti, la fotografia
e la poesia sono la sua carica vitale.
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Ritratto di un ricordo
(Gloria Venturini)
Vago smarrita nella polvere nera dei ricordi, che si
appiccica alla memoria e come pensieri pesanti ricade
su sé stessa, rotola senza tregua sotto il suo medesimo
peso, è come guardassi l'anima di una sconosciuta.
Vago dispersa tra le fenditure dell'esistenza, tra grida
soffocate, tra un pianto chiuso a pugno tra le dita,
tra un tormento che si spezza dentro a quest'anima
sofferente, lacerata, fatta a brandelli da un dolore
acuto e lancinante.
Vago abbandonata, come un artista nella mia stanza,
disegni appena iniziati, segni sconnessi tra i fogli
imbrattati, buttati lì, per rabbia, quasi per dispetto.
Colori, matite, tele… tutto fermo… tutto incrostato,
acquarelli rinsecchiti messi da parte, aspettano di
finire un dipinto.
Polvere rossa, polvere riarsa di deserto,
sabbia che graffia la pelle, brucia gli occhi,
penetra lentamente nelle ossa, nel cuore,
fino a fargli perdere il conto dei battiti, arde e
brucia nella gola, non riesce ad uscire neanche
una parola, tutto l'essere rimane senza fiato.
Manca il respiro, manca l'aria, manca il coraggio
di prendere in mano un pennello e di correggere
questo disegno fatto solo a matita.
Manca la figura d'origine, il contenuto si è
trasformato in una sagoma senza contorni, spaccata
dal tempo, dall'amore di un vento pungente,
che sta addosso come una voce continua,
un sibilo che non voglio ascoltare, ma permane,
presente, costante, permane e si incide nell'anima.
I segni di quegli schizzi imbastiti hanno lo sguardo
disfatto di chi è scappato, per paura, per collera,
per disperazione, forse solo per sopravvivere
ad un dolore d'amore.
La stanza è impregnata da un odore polveroso di passato,
un odore arcigno e forte, un odore di cose vecchie,
odore di chiuso.
Isolata vive la spina di un sogno mai concluso,
di un rimpianto chiuso a chiave nella camera della memoria.
Il ritratto di un ricordo, di una storia spezzata, interrotta,
di una solitudine senza rimedio,
un arido ritratto di me… adesso!
Gloria Venturini vive in provincia di Rovigo, ama molto
leggere e scrivre: ha ideato il concorso L'arcobaleno
della vita della città di Lendinara. Collabora con il Centro
Studio di Torino come giurata. Sue opere hanno ricevuto numerosi riconoscimenti
e sono state pubblicate in varie antologie e siti internet.
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Forrest Gump (Corrado
Giamboni)
Forrest Gump si innamorò di una bambina violentata.
Fu suo padre ad averla, forte
della sua forza di uomo cinquantenne alcolizzato.
La bimba era messa a giacere e le fu amputato
qualcosa dentro, le fu tolta la pace.
Forrest Gump, che pur correva
la inseguì per tutta la vita
raggiungendola solo
quando ormai lei si era fermata.
Alla sua morte ne distrusse la casa paterna
con rabbia
in un rogo mi sembra
e ne allevò il figlio
anch'esso Forrest Gump,
Forrest Gump II,
avuto da lei
in un'unica notte d'amore.
Corrado Giamboni è nato a Roma, vissuto a Rimini,
marito nell'hinterland di Mantova. È un grande scrittore di racconti,
ma ha in lavorazione da tempo anche un romanzo dal titolo umoristicamente
sconcertante. Ha pubblicato con noi il delizioso Virus
dell'elefante.
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La porta (Marianna
Pregoni)
Improvvisamente la porta si era chiusa. Neanche il tempo
di un saluto, di un addio. Il destino aveva deciso così. Eppure
il suo odore si diffondeva penetrante nell'aria, lui era lì,
lo sentiva, annusava la sua presenza di là dalla porta.
Socchiuse gli occhi e, con le narici gonfie del suo odore, rivide nitida
e scintillante l'immagine dei campi, i verdi campi in cui, a volte,
avevano corso insieme, felici di giocare a rincorrersi e a rotolarsi
nella terra in piccole zuffe gioiose. Riaprì gli occhi e non
vide nessuno al suo fianco. Non riusciva a capire come fosse potuto
accadere. Un solo istante ed era scomparso. Un solo istante. Un batter
di ciglia. Un colpo di vento. Ma l'odore, il suo odore inconfondibile,
era ancora lì, non c'erano dubbi.
Sospirò di malinconia, socchiudendo nuovamente gli occhi.
Ci rivedremo, pensò, prima o poi.
Tic tac, tic tac, le lancette scorrono inesorabilmente, tic tac, tic
tac, l'orologio non perde mai il suo tempo, tic tac, tic tac,
qualsiasi cosa accada, tic tac, tic tac, il suo ritmo non cambia mai,
tic tac, tic tac, nulla lo può fermare, tic tac, tic tac, neppure
il dolore più grande del mondo.
Quante ore, quanti minuti, quanti secondi trascorsero non ha importanza.
Loro due, da sempre, avevano una percezione del tempo differente da
quella di un uomo comune. Non sapevano misurare il tempo loro, non sapevano
farlo, ma il tempo trascorse comunque, il tempo esatto che il destino
gli aveva assegnato.
Un rumore di chiavi dietro la porta d'ingresso. È lei!
pensò. Si alzò di scatto e corse alla porta emettendo
piccoli suoni di gioia isterica, mugolii e lamenti. Dapprima riconobbe
il passo, poi vide il volto rassicurante della sua amata padrona. Le
appoggiò le zampe anteriori sulle gambe, scodinzolando e piangendo
silenziosamente. "Billy, dov'è Pippo?" gli chiese
lei. Billy rispose abbaiando con rabbia e disperazione e corse veloce
alla porta che divideva il soggiorno dal resto della casa. La padrona
lo accarezzò intenerita, deve essere stato un colpo di vento
a chiudere la porta, pensò. In quell'istante anche Pippo
incominciò ad abbaiare di là dalla porta. Bastò
appoggiare la mano alla maniglia e la porta si aprì. Pippo e
Billy, amici per la pelle, si guardarono negli occhi, avvicinarono i
loro musi e si annusarono scodinzolando.
Marianna Pregoni è nata e vive a Napoli si sta
laureando in Architettura all'Università Federico II. Oltre alla
letteratura, ama disegnare, fotografare e dipingere. È appassionata
di musica e danze popolari del sud Italia.
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