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Scheda:
Johan Thor Johansson
La simmetria imperfetta
Appunti critici di Rosete De Sa'
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Un'arrampicata difficile...
Una volta avevi guidato un manipolo di ragazzi su un obliquo costone
di lava che si faceva sempre piu' ripido
e scivoloso. Al cielo sopra le vostre teste, col suo colore tranquillo
e fantastici cumuli di vapore, non pensavate piu': eravate invece concentratissimi
nel controllare i movimenti dei quattro arti maggiori, quei movimenti
a volte impercettibili che dovevano farvi avanzare nella scalata, evitando,
possibilmente, di precipitare.
L'idea di superare quel lastrone lavico ormai quasi verticale per raggiungere
la cima del monte piu' alto d'Islanda (se si escludono le cime sommerse
dai
ghiacci), non poteva essere mutata.
- Coraggio, ci manca solo un ultimo sforzo. Basta non voltarsi indietro.
(Ricercasti il timbro piu' suadente e rassicurante per pronunciare queste
parole.)
- Ehi capo, non ce la facciamo piu'. (Affermo' Thor con una intonazione
discendente, definitiva, senza
speranza).
- Non preoccupatevi; siamo ormai arrivati. Appigliatevi esattamente dove
mi appiglio io.
(Lo dicesti con voce superficialmente ferma, aggrappandoti alla tua dignita'
di capo: dovevi infondere sicurezza a chi stavi guidando essendone tu
privo per primo.)
- Ma, capo, e' pericoloso! Non ce la possiamo fare senza una corda! (Osservo'
con senso pratico Konrad.)
- Eccola qua la corda! E dallo zaino estraesti, con movimenti resi difficili
dal precario equilibrio che la scoscesa posizione metteva alla prova ad
ogni istante, qualche metro di spago da pacchi.
Ti guardarono tutti con aria incredula, ma nessuno riusci' a ridere.
Avevano paura di continuare, ma avevano ancora piu' paura di ritornare
sui loro passi, cio' che li avrebbe costretti a guardare in faccia il
pauroso precipizio che, dopo ore di arrampicata, si erano lasciati alle
spalle. Vi trovavate in stallo: come quando un aereo cabra avvicinandosi
sempre piu' ad una linea perpendicolare al terreno: puo' giungere ad un
punto in cui il motore non ha piu' la forza sufficiente per farlo salire:
allora l'aereo
si ferma quasi fosse indeciso sul da farsi: avra' ancora
un po' di cavalli di riserva per proseguire nella sua
ascesa verticale o decidera' piuttosto di lasciarsi andare alla forza
di gravita' rischiando un avvitamento incontrollabile?
Ma ritorniamo a quel gruppo di ragazzi che abbiamo lasciato poco fa in
una situazione pericolosa. Le gambe
di qualcuno cominciarono a tremare, altri avevano le mani sudate che stringevano
con disperazione un
qualche insufficiente appiglio nella roccia. Bisognava
dare un motivo alla volonta' di farcela, collegare le loro ineguali capacita'
fisiche, le loro insondabili e incerte coscienze, ad un simbolo tangibile,
per quanto assurdo
o inadeguato: quell'esile spago di pochi metri, a cui ciascuno fece fare
un semplice giro attorno alla vita; quello spago offerto loro da un capo
di cui cominciavano a dubitare, riusci' a trascinare anche il meno agile
e il
piu' pesante, anche il piu' insicuro, fino alla cima del costone roccioso.
Eravate ormai completamente sfiniti.
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