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Corrado Giamboni. Il virus dell'elefante

Corrado Giamboni
Un racconto "fotografico"

Si veda anche il n. 17 di Faranews

Intervista a Corrado Giamboni
autore dei racconti raccolti nel Virus dell'elefante

Come va?
Meglio.

Meglio rispetto a quando?
Rispetto a prima. Sono un ottimista. Per favore solo domande facili.

Bene, provero'. Ti piace leggere? Che cos'e' per te la lettura?
Mi piace moltissimo leggere. Ma di lettura me ne basta poca, un poco al giorno tutti i giorni. Il mio apparato digerente si riempie subito e ci mette molto ad elaborare, assimila lentamente. Non sto a dirti quanto questo mi dispiaccia, non me ne sono ancora fatto una ragione. A volte mi basta una poesia, una poesia ermetica e per quel giorno sono sazio. Moriro' che non
ho letto niente. Ma in un certo senso e' meglio cosi', piuttosto che il contrario, non credi?
La lettura e' consolazione, e' cercare una consolazione.
E' cercare un senso, pagando possibilmente un biglietto meno caro di quello che ci fa pagare la vita appena ci muoviamo. La lettura e' piu' buona con noi di quanto non lo sia la vita. Forse perche' ha meno da offrirci. La
lettura comunque non e' gratis, e' fatica, e' tendere all'altro.

E' tendere all'altro?
E' tendere a chi ha fatto il primo passo scrivendo. Lui ha fatto il primo passo, ha scritto qualcosa che ti puo' consolare, ti puo' aiutare a capire pagando meno (ha
gia' pagato lui) e tocca a te rispondere, altrimenti la sua parola cade nel vuoto. Speriamo che la raccolga
qualcuno perche' scrivere per nessuno e' straziante, e' come vivere per nessuno. La lettura e la scrittura sono
la stessa cosa ma vista da un'estremita' o dall'altra, e' lo stesso tubo che va da un estremo all'altro. La lettura e
la scrittura sono relazione, scusa se dico banalita'. Anche il diario e' relazione, anche il parlare da soli lo e'.

Ma c'e' qualche differenza fra lettura e scrittura?
Chi scrive fa il primo passo ma non puo' arrivare a chi legge. Chi legge fa il resto, costruisce lui il resto dell'opera al pari di chi ha scritto. E cosi' i conti tornano,
il cerchio si chiude. E' come l'amore, si fa in due.
Leggere e' un atto d'amore e scrivere e' un atto d'amore. Da ogni rapporto scrittura-lettura viene fuori un cerchio ogni volta diverso, ogni volta inedito. Sto andando
bene? E' come se chi scrivesse non avesse mai avuto uno specchio, e quindi non conoscesse davvero il
proprio volto. Oddio, mi sono perso. Un'ultima cosa:
non credere che scrivere sia piu' difficile che leggere. La vera scrittura presuppone "solo" la padronanza del
codice linguistico, dopo di che ti descrivo il mio mondo. Ma la vera lettura significa avere la capacita' di entrare negli occhi dell'altro, nel mondo dell'altro, nella griglia
di riferimento dell'altro uscendo in qualche modo dalla propria. Questo e' il lettore. Ma non ce ne sono tantissimi, credo: viviamo in un mondo cosi' distratto e incasinato, non credi?

Ma tu perche' hai cominciato a scrivere?
Nasco come scrittore di "romanzioti", ossia romanzi-idioti, raccontini surreali, pieni di elegante nonsense. Il primo l'ho scritto in un momento in cui la vita mi aveva messo alle corde e mi stava lavorando per benino.
Allora io le sono sfuggito via in quel modo, negandola, sublimandola, rendendo tutto surreale e "altrimenti".
Non so se hai presente il film di Benigni sui campi di concentramento…
Ma ho scritto anche in un altro modo. Non so, per me scrivere significa cercare un senso, una vicinanza, una condivisione. Forse non e' essenziale per me la scrittura, ma la vita senza sarebbe molto piu' brutta, decisamente molto piu' brutta.

Hai dei punti di riferimento letterario per quanto riguarda lo stile e i contenuti?
Calvino, quando dice che la parola cerca di inseguire la realta' e di definirla. Questa sfida fra la parola che insegue la realta' e la realta' che non si lascia prendere mi interessa. Poi Manzoni e Fenoglio per una scrittura che si rifa' al reale e all'etico. Di Fenoglio amo la modernita', la freschezza e l'accento anglosassone. Mi irritano i Vociani, i Dadaisti, i Futuristi e i giocolieri, ma mi attirano anche un po'. Mi piacciono i Crepuscolari, li sento vicini, miei coetanei di un secolo fa. Poi San Paolo per la parola che si fa azione. Poi Vittorini, Erri de Luca…

Nessuno straniero?
Questa parola, straniero, mi mette a disagio. Se volevi intendere persone che non parlano italiano, ce ne sono, ma non ne conosco nessuna sufficientemente bene da considerarla un riferimento, e poi c'e' il problema della traduzione. Pero' dopo che leggi Kafka, Borges, sono autori che ti lasciano un segno tale…

Perche' straniero e' una parola che ti mette a disagio?
Perche' non trovo che sia sufficiente ridurre il tutto solamente a una differenza di lingua. Perche' puoi trovare stranieri a casa loro. E viceversa. Per restare
nella letteratura, puoi dire che un autore immigrato che pero' ormai vive in Italia, che ha cittadinanza italiana e scrive italiano e' straniero? Un cittadino italiano che invoca la secessione non puoi forse chiamarlo straniero? Don Milani che diceva di essere con tutti i poveri del mondo e contro tutti i ricchi, non era forse straniero?
Non so, queste non sono domande facili, quindi ti
prego, non me le fare. Erri De Luca dice che quando si avverte il senso del non-ritorno a casa propria, allora si
e' stranieri. Non so.

Vedi un futuro per il libro tradizionale?
Siamo in un'epoca di accelerazioni tali che il libro potrebbe non esistere piu' fra cento anni, ma neanche l'uomo. Credo pero' che sopravviveranno entrambi, magari affiancati da altre cose.

A quale tipo di lettori pensi di poter piu' facilmente comunicare qualcosa?
A chi possa autenticamente condividere con me qualcosa, fosse solo un'unghia, un respiro. Vorrei scrivere qualcosa per cui uno che legge dica: e' proprio vero, questo l'ho provato anch'io. Il massimo sarebbe poter dialogare ancora un poco con qualcuno della mia generazione, la mitica generazione del baby-boom.

Quali sono le caratteristiche della tua scrittura?
Non lo so se lo sono, ma vorrei che fossero la
precisione, il riferirsi al reale in maniera verosimile e surreale, l'ironia.

Il virus dell'elefante. Perche' un titolo cosi' per il tuo libro?
Perche' gli elefanti sono a rischio di estinzione. Perche'
gli elefanti sono animali buoni e goffi, che possono avere problemi in un mondo di non elefanti. Perche' si suicidano, mi sembra, quando diventano vecchi. E tutte queste caratteristiche le puo' avere, in via metaforica,
chi in una societa' come la nostra e' a disagio. Pero' e' meglio leggere il racconto perche' credo di non essermi spiegato tanto bene.

La prima parte del tuo libro e' ambientata a Rimini, d'estate, fra giovani che vivono l'estate in riviera.
Fra vitelloni, direbbe Fellini. E' facile scrivere su Rimini, per cio' che rappresenta nell'immaginario collettivo,
sono agevolato perche' parto da cliche' assodati e condivisi. Poi basta forzarli e farci entrare quello che mi interessa di piu'.

Cosa ti interessa di piu'?
Parlare di personaggi minori, del cieco che percorre il lungomare tutte le notti a chiedere l'elemosina, dei ragazzi che si divertono in maniera ingenua e originale, dello stupore di camminare sul lungomare, in
compagnia o da soli, della gioia che puo' darti una birra di notte all'aperto tra amici… di cose incomprensibili insomma nell'era dell'extasy, delle stragi-suicidi del sabato sera proprio qui in Riviera. No, non mi piace questa realta', e come se ne parla, perche' allora, uomo del Telegiornale, mi devi dire anche le altre cose, non solo i soliti quattro-cinque omologanti tormentoni.
Cosa mi interessa? Mi interessa raccontare di me in quanto rappresentante di una generazione inesistente
e senza padri, in modo che chi mi legge dica: anch'io ho provato questo, ho sentito questo. Sto andando bene?

(Fara Editore, marzo 2000)

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