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L'autore
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Intervista a Michele Ruele,
autore delle Storie di frate Amodeo
Da dove nasce il desiderio di inventare un personaggio d'altri tempi
come frate Amodeo?
Prima delle storie di frate Amodeo avvertivo alcune pressioni, in me:
lavorare sul dialetto in primo luogo, e poi su strati storicamente piu'
profondi della lingua, precedenti al livello di oggi. In secondo luogo,
ho una particolare predilezione per il Seicento e per il Barocco, un tempo
di grandi contrasti, e percio' ho usato le conoscenze relative a quel
periodo per creare un paesaggio storico; pero' ho spostato un po' l'azione,
perche' mi interessava un tempo in cui grandi forme di irrazionalismo
e rotture della tradizione si incontrassero con le nascenti correnti del
pensiero razionalistico; aggiungiamo che le storie sono nate a cavallo
fra due secoli (due millenni, anzi) e allora, andando a ritroso, ho scelto
un altro passaggio di secoli, ed esattamente l'anno 1700. Per delle coincidenze
poco casuali, mi sono poi capitati fra le mani alcuni libri e materiali
che confluivano tutti in questa nebulosa di intenzioni: un libro di Camporesi
sull'inferno, alcuni verbali di un processo del 1705 riguardante la mia
citta', vicende di storia della scienza di quei tempi. A quel punto c'era
gia' quasi tutto. Credo che la nostra eta' assomigli abbastanza a quella
di frate Amodeo, mi piacerebbe che ci fosse presto un'epoca di un nuovo
razionalismo, in cui si incontrano ragioni di diverso tipo da quelle oggi
dominanti, che sono decisamente consunte. Mi piacciono le soglie, gli
incroci, gli ibridi, anche per quanto riguarda i periodi storici. Ho scelto
un frate - anzi, lui ha scelto me - perche', io che sono un agnostico
in preda alla perplessita', sono uno a cui non e' stata concessa la grazia
di credere, volevo fare un po' di conti con la religione, e cercare quell'incontro
tra fede e ragione che mi tormenta un po' quando mi guardo intorno, quando
parlo con le persone, quando vedo alcuni religiosi o credenti che mi sembrano
migliori degli altri. Adesso che ci penso, la rabbia che mi e' nata dentro
e l'impressione di oscurantismo che ne ho ricavato quando, ormai qualche
anno fa, ho letto l'enciclica papale "Fides et ratio" deve entrarci
qualcosa, in tutto questo. Comunque, anche storicamente, un religioso
come frate Amodeo in quell'eta' credo sia verosimile. La mia terra, il
Trentino, che cerco di narrare con questi racconti, e' un luogo di profonda
cattolicita'. L'impronta della religione e' cosi' profonda nella nostra
cultura che ci si deve farci i conti, e in noi, in generale, l'anelito
religioso e' troppo forte per non pensarci. Ho nostalgia - una nostalgia
non incline alla lirica, se e' possibile - di un mondo popolare che si
tende a confinare a un passato perduto. Cosi', trasferendo nel passato
la vivacita', l'umorismo, la carica popolaresca di queste vicende posso
darmi un patente di autenticita' per la verosimiglianza, ma mi costruisco
anche una mia utopia. Le cose passate non sono perdute, sono semplicemente
invisibili. Se posso fare un paragone, forse sono coperte da strati che
si possono rimuovere - come per i reperti archeologici. Ma piu' probabilmente
convivono qui, vicino a noi, basta scoprirle. Mi piacerebbe se altri riconoscessero
i propri desideri in queste invenzioni, ma non e' detto.
Pensi che le storie di frate Amodeo possano interessare un pubblico
di lettori trasversale o hai in mente dei lettori tipo?
Ho scritto queste storie per Natale, assegnando ad ogni episodio una data,
sono un po' come le finestrelle dei "calendari dell'avvento",
come un presepe di parole. Ne scrivero' altre, mi sono molto divertito
a inventarle. Le ho scritte per amici e parenti, come una specie di strenna.
Forse sono loro i lettori che avevo in mente. E' chiaro che vorrei che
queste cose piacessero a tutti: che il colto riconoscesse i rimandi storico-letterari,
e che il lettore "comune" se la godesse senza tante storie.
Non so se sara' cosi'. Forse non deve essere cosi'. Posso azzardare che
se accadesse quello che e' successo a Umberto Eco e ad Andrea Camilleri
non mi dispiacerebbe? Ma se semplicemente qualcuno si interessasse a quello
che scrivo - come piu' o meno dice anche il mio amico Paolo
Galloni, anche lui un autore di Fara - e si desse la pena di finire
il libro, beh, sarebbe bello.
Cosa rappresenta per te la scrittura?
E' difficile da dire. A riuscire a scrivere cose narrative che proprio
non mi fanno vergognare di me stesso ho cominciato solo dal 1998, e piuttosto
tardi dunque, visto che veleggio verso i quaranta. Ma, anche prima di
quella data, ho letto tantissimo, e scritto molto per motivi professionali,
di tutto, dalla cronaca nera piu' truce alla moda da sposa, dalle relazioni
tecniche ai saggi scientifici. Credo che tutto quel lavorio e i contenuti
relativi stiano piano piano montando. Discuto di letteratura e di scrittura,
quando posso, ed e' un argomento che lega molto le persone a cui questo
interessa: lo faccio ad esempio con Corrado Giamboni
(un altro autore di Fara), molto spesso via e-mail. Non scrivo molto,
a differenza di quanto ho fatto in altri momenti. C'e' stato un periodo
in cui ho fatto il giornalista in un quotidiano, ed ero decisamente piu'
giovane, in cui scrivevo una quantita' immensa di parole, a volte due,
tre pagine al giorno, e molto velocemente, in poche ore: poi pero' mi
e' venuta una specie di rigetto, che forse solo recentemente sta scomparendo.
Comunque facendo il giornalista ho imparato un sacco di cose, ad esempio
a rimanere ancorato alla realta' e ad andare al sodo, a non avere paura
del foglio bianco. Non so se davvero serva a qualcosa, scrivere, da parte
mia. Certamente mi aiuta molto a pensare, a capire. Anche a risistemare
la mia parte sentimentale ed emozionale. Non voglio insegnare niente a
nessuno, questo dev'essere chiaro. Ne' penso che scrivere guarisca da
qualche male, la scrittura non e' una medicina. C'e' una persona che sostiene
che scrivo come penso; e' un'idea che mi piace molto. All'inizio scrivo
velocemente, poi il lavoro si fa molto lento: dopo la prima stesura, o
le parti iniziali, passo del gran tempo a lisciare, cambiare, sistemare.
Scrivere e' anche un bellissimo lavoro artigianale, una rituale paziente.
Le giovani, una volta, si passavano la spazzola tra i capelli cinquanta
volte da una parte e cinquanta volte dall'altra, ogni sera, per farli
essere belli: a me piacerebbe fare cosi', pettinare i miei testi cosi'
tanto. Lo raccomandava anche Gesualdo Bufalino, uno scrittore che ammiro
molto: bisogna rileggere quello che si e' scritto cinquanta volte al giorno.
Ci puoi parlare di te e dei tuoi interessi?
Di lavoro faccio l'insegnante: l'ho scelto e mi piace. Mi occupo molto
di questo lavoro, non solo per dovere. Mi piacciono molto gli amici. Dopo
aver studiato a lungo per qualche obbligo piu' o meno forte, oggi mi permetto
il lusso di studiare quello che mi va. Mi piace passare il tempo con mia
figlia e con la mia compagna. Mi piace nuotare in piscina e passeggiare.
Ho anche una passione insana per Fifa, il videogioco di calcio.
Hai gia' in mente delle nuove storie?
Frate Amodeo viene spesso a farmi visita, e mi racconta qualcosa nella
sua lingua strana.
Quali sono i tuoi autori di riferimento, quali gli ultimi libri che
hai letto?
Sono un lettore vorace, disordinato. Ho gia' fatto il nome di Gesualdo
Bufalino. Ne faccio altri, ma potrebbero essere molti di piu': direi i
maestri dell'Ottocento: Conrad, Balzac, Flaubert. Poi alcuni maestri del
Novecento: Kafka, Woolf, Luigi Meneghello, Calvino, Pasolini. Ma anche
i classici ed i poeti insegnano molto. Tra i poeti italiani contemporanei
sono dei maestri Andrea Zanzotto ed Edoardo Sanguineti. Per scrivere le
storie di frate Amodeo ho avuto come riferimento anche Vincenzo Consolo.
Cerco di leggere tutto quello che posso di Osvaldo Soriano. Ho letto con
avidita' e sgomento i libri della scrittrice inglese Jeannette Winterson,
soprattutto Il sesso delle ciliegie e Simmetrie
amorose. Tra gli italiani, mi sentirei di raccomandare la lettura
di La moto di Scanderbeg di Carmine Abate
e di Che meta' basta di Giuliano Caron, autori
che costringono la lingua a interessanti soluzioni espressive, che mettono
in gioco la loro cultura e la loro identita'. Mi ha divertito, per un
po', Camilleri. Mi piace molto tradurre qualche autore che prediligo,
dal francese: le poesie di Boris Vian, Pilota di
guerra di Saint-Exupery, alcuni racconti di Balzac. Dimentico sicuramente
qualcosa di importante. Non gioisco troppo se mi propongono gialli o cannibalismi
narrativi, che mi annoiano mortalmente. Trovo storie raccontate molto
bene anche nel cinema da Moretti, da Altman, da Kubrik, dai fratelli Cohen,
dai fratelli Taviani, da Scola. Ne trovo anche nella pittura e nella musica,
nel teatro, nella danza. Ma queste sono altre storie.
(Fara Editore, agosto 2001)
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