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Duemila e una luna
di Sauro Mattarelli
Un ampio racconto formato da tanti messaggi provenienti "dalla luna"
o, meglio, dalle lune: storte, riminesi, di miele, razziste, stanche,
nere, nostalgiche, paradisiache, nuove… Lune mediatrici di un dialogo,
tra Oriente e Occidente, sintetizzato da un amore che, ancora, pare davvero
infischiarsene dei confini e rincorre, invece, solo ciò che è
essenziale all'amore stesso: comunicazione, comunione, profondità,
emozioni, tratti comuni, colori, suoni, odori, all'insegna del cambiamento
continuo di noi negli altri, attraverso gli altri, per gli altri. I naufraghi,
che seguono nel corso dell'inesorabile trascorrere del tempo, sono nulla
di fronte a questi passi che hanno il sapore dell'eternità, dell'infinito,
pur senza mai sconfinare nell'escatologia, "eternizzante".
Questo scritto, semplicemente bello e vero, è la lettera migliore
che si poteva inviare "a quella signora che non ama gli arabi".
È scritta con un tratto di vita, con la consapevolezza che i luoghi
comuni, le semplificazioni grossolane, "televisive", medianiche,
uterine, pur se indotte da paura vera e legittima rientrano nelle categorie
dei manicheismi di sempre, giustificatori delle crociate, delle guerre
sante, delle vittorie "definitive". Lontani dalla cultura, da
ciò che rappresenta o dovrebbe rappresentare, salvo poi, non senza
ipocrisia, tenerceli, questi extracomunitari, quando servono: "sono
cattivi i musulmani, però tuo marito è una brava persona".
Appunto: l'eccezione che conferma la regola del razzista perfetto, all'ombra
del nuovo schiavismo "globale" che si sta delineando, per scansare
il disturbo dell'incontro, il dubbio sussurratoci dalla diversità,
la fatica di uscire da schemi a cui ci siamo inconsapevolmente (cioè
nel modo peggiore) piegati, il turbamento di un'opinione non sintetizzabile
in uno spot rapido, freddo, ripetitivo.
(Il Pensiero Mazziniano,
aprile-settembre 2003, p. 210)
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