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Luca Nannipieri
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Mario Luzi
Il Maestro e i suoi dialoghi
recensione di Chiara De Luca
Pubblicando questo libro, Luca
Nannipieri, come lui stesso afferma, era consapevole di andare incontro
a possibili, forse anche 'facili' obiezioni. Pur sentendo di non appartenere
ad alcuna delle categorie da cui l’autore si aspetta critiche ("dalla
maggior parte dei professori universitari, dei poeti, degli intellettuali,
dei critici e degli scrittori più in voga"), non mi sento
di condividere l’assunto con cui si apre questo libro, e cioè
che Mari Luzi non sia stato un grande poeta. Inizialmente avevo pensato
che si trattasse di una provocazione, poi però è stato Nannipieri
stesso a smentirmi, poche pagine dopo.
L’autore sottolinea anche l’importanza del dire la verità,
ciò che si pensa realmente, per quanto arduo questo compito possa
presentarsi. E questa è anche mia profonda convinzione. Mi occorrerebbero
pagine e pagine per spiegare cosa intendo per "grande poeta",
ma proverò a fare uno o due esempi.
Roberto Roversi
(persona di straordinaria umanità, oltre che, a mio parere, ottimo
poeta) mi disse un giorno che occorre leggere l’altro, anche lo
sconosciuto, perché capita a volte che in un plico di pagine e
pagine ci s’imbatta in una poesia che ci fa fermare, che ci cambia,
inducendoci a rammaricarci di non averla scritta noi stessi. E allora
sarà valsa la pena di avere speso un po’ di tempo per leggere
l’opera di un poeta ignoto. Questo per dire che accostarsi alla
poesia implica sempre un gesto di estrema umiltà, una sospensione
del giudizio in attesa di una sofferta riflessione.
Nel luglio di un paio d’anni fa, mi trovavo da spettatrice al Festival
internazionale di poesia a Parma, nella splendida cornice del Teatro Farnese.
Luci basse, silenzio nella sala, si stava per dare inizio alle letture.
Nicola Crocetti è salito sul palco, e ha detto che avrebbe letto
una poesia intitolata Brano dal mio testamento, i cui
versi iniziali già mi avevano colpita moltissimo quando li avevo
letti sulla locandina del Festival stesso. Crocetti disse il nome del
poeta, ma io non lo compresi bene. Poi cominciò a leggere. Fin
dai primi versi della poesia ("Non voglio che tu sia lo zimbello
del mondo / Ti lascio il sole che lasciò mio padre"), quelle
parole mi stregarono, e alla fine della lettura mi sentii cambiata, come
avviene di rado, e soltanto di fronte ad una grande opera. Era una delle
poesie più belle che avessi ascoltato negli ultimi tempi, e non
solo. Pensai che quel poeta, di cui non avevo compreso il nome, fosse
un grande poeta, di quelli che vale la pena di conoscere meglio. In seguito
lessi altre sue poesie, che mi delusero. Nessuna era altrettanto bella
quanto il Testamento. Eppure a quel poeta dal nome per me allora misterioso,
Kriton
Athanasoulis, sono rimasta legata, tanto da considerarlo uno dei poeti
più importanti per il mio percorso degli ultimi tempi.
Ecco, Mario Luzi ha scritto ben più di una sola poesia che per
me è risultata splendida, ha scritto ben più di una sola
poesia di una bellezza senza pari. Come Nannipieri anche io preferisco
il Luzi cui
appartiene un linguaggio più schietto, chiaro, diretto. Io stessa
sostengo l’esigenza di una poesia il più possibile comunicativa,
"semplice", affatto compiaciuta. Eppure, forse dal mio gusto
per il paradosso, amo molto Paul
Celan, poeta non certo immediato, e avverto che le sue poesie, quelle
poesie, non avrebbero potuto essere scritte diversamente. E ammetto anche
che qualcuno possa preferire in linea di massima modalità espressive
che meglio gli corrispondono, che qualcuno si ritrovi nel Luzi
della sua fase più criptica.
Altro esempio lontano, brevemente, perché rischierebbe di portarci
fuori strada. Del gigantesco e sfuggente R.M.
Rilke, io preferisco le Nuove Poesie, rispetto alle
celebratissime e misteriose Elegie. Eppure amo e ho studiato
a lungo entrambe le raccolte, in quanto espressione di sfaccettature diverse
dell’animo dello stesso poeta, un grande poeta che amo.
Altro esempio, che forse parrà fuori luogo, ma mi viene suggerito
in questo momento dallo stereo. C’è un gruppo musicale che
amo moltissimo, le cui canzoni mi hanno dato molto, e mi rievocano momenti
della mia vita. Si tratta di parole costruite su una base di tre accordi
o poco più. Il gruppo in questione sono gli amatissimi e contestatissimi
U2. Molti altri se ne sono aggiunti in seguito nelle mie preferenze, molte
altre parole, molte altre melodie ben più orchestrate. Ma loro
sono rimasti lì, fissi, in un punto della mente e del cuore. Anche
se hanno prodotto album (come POP e Zooropa)
che mi hanno inizialmente delusa, ma che ho poi imparato ad amare per
ciò che erano: un tentativo di rottura, un esperimento (commerciale,
a detta di molti, e forse non a torto), come espressione di un altro aspetto,
di un’altra sfaccettatura dell’anima di un gruppo musicale
che amavo, come tappa imprescindibile di un percorso. E questo vale per
molti altri cantanti, cantautori, musicisti… e poeti, le cui parole
e le cui note hanno fatto la colonna sonora della mia esistenza.
Nella sua lunga vita, Mario Luzi ha sperimentato continuamente nuove forme,
ha modulato la sua voce su corde sempre nuove, a seconda delle circostanze,
a seconda della Stimmung. Ed è questo che deve fare un "grande
poeta", per lasciare al suo pubblico la libertà di scegliere
quale dei sentieri da lui intrapresi seguire. Lasciare libertà,
è questo che deve fare un "maestro" (sempre che ne esistano
davvero), come giustamente nota Nannipieri a proposito dell’esemplarità
di Luzi, così come essa emerge dai suoi dialoghi, dalle sue conversazioni,
dal suo non negarsi mai a chiunque cercasse da lui consiglio.
Mario Luzi non si è fermato a un tipo di poesia che gli aveva portato
plauso e riconoscimento, ha voluto discostarsene, ha voluto provare altre
strade, ha rischiato.
Si può non condividere ciò che dico, si può affermare
che Luzi non sia stato un grande poeta, ma, poiché si sta parlando
del frutto di novant’anni di vita, credo occorra compiere un percorso
minuzioso e documentato nell’intera opera dell’autore, supportare
più ampiamente l’ipotesi, sulla base di meticoloso rigore
testuale, e sempre tenendo conto che per quanto riguarda l’arte
non esistono tesi universalmente valide.
Fatta questa lunga premessa – tutta personale e opinabile –
rispetto all’assunto di fondo del testo, ci tengo a precisare che
si tratta di un libro importante, che ha diversi meriti. Primo fra tutti
quello di restituirci le parole di Mario Luzi, di ricordarci la sua gigantesca
umanità e l’aura pacificante che da lui emanavano, e di riportare
l’attenzione su alcuni libri di cui non si è riconosciuta
a sufficienza l’importanza, come La
porta del cielo, di Stefano
Verdino.
In secondo luogo questo libro ha il merito di sottolineare come "non
è per niente vero che di un poeta bastano le sue poesie",
e di mettere in pratica questo assunto, nel ricordare l’importanza
dell’insegnamento "extraletterario" di Luzi, al di là
e al di fuori delle sue poesie, che pure non riesco proprio a considerare
come mero contorno del suo discorso, pubblico e privato. Ma la poesia
è così, attrae e divide. È un luogo di libertà,
dove non esistono affermazioni assolute, solo opinioni, dove non esistono
grandi poeti e grandi poesie in assoluto.
Molto belle sono anche le riflessioni di Nannipieri, che si intrecciano
con l’insegnamento luziano:
"Non è la famiglia come istituzione fondante che si sta sfaldando.
È l’amore, il rispetto, è la parola madre, padre,
figlio che sta diventando niente. Sembra retorica a buon mercato, ma basta
andare negli ospedali, nelle case di riposo, nei luoghi dove la vita si
fa accanitamente dura, e guardare. Ed è quindi di enorme importanza
che sia esistita una persona come Mario Luzi, che ai microfoni, in ritrovi,
colloqui, dibattiti, incontri, onorificenze, abbia insistito con un linguaggio
semplice, comprensibile a tutti, sulla grandezza e sul miracolo della
persona come creatura, come ordine vivente, parlando della sua famiglia,
di suo padre, di sua sorella, di sua madre, conferendo sempre a queste
parole una sacralità e un rispetto senza misura."
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