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Il libro di Ruele, brillante, piacevole e ben scritto
Storielle francescane di saggezza e ironia

di Sergio Artini

Superato un certo imbarazzo, all'inizio della lettura del volumetto Storie di frate Amodeo di Michele Ruele (Fara Editore, presentato ieri alla Libreria Ancora di Trento), si entra poi, in modo abbastanza coinvolgente, in atmosfera. Quella dei Fioretti di San Francesco. Il nostro imbarazzo trova ragioni nella scelta linguistica dell'autore, che sull'esempio dei Fioretti (questo anonimo volgarizzamento in toscano del Floretum) ricerca un linguaggio adatto al proprio testo: inventa una parlata, arriva ad un ibridismo tra dialetto, lingua, termini in disuso, latinismi, dove non sai mai - ma conta poi sapere ? - se e' la lingua che si "abbassa" o se e' il dialetto che si "alza": Strada facendo le commistioni, le farciture, le contaminazioni, insomma questa mistilingua, finiscono per avere assieme ad una coerenza la loro giustificazione, non priva di coinvolgimenti e suggestione.
Si capisce che la scelta dell'autore e' ai fini di una immedesimazione, di una resa linguistica e di una presa del testo che sia irriverente, antiretorica, antiaccademica. Tentativo di "altra" letteratura, di cui abbiamo, specie in Italia e nell'area toscana e padana, antichi esempi. Anche Dario Fo si e' scelto un linguaggio giullaresco, non solo per rispondere a scelte storico-filologiche, ma per esigenze di comunicare e stupire.
Le vicende narrate in questo libro - composte da esemplari episodi dal meraviglioso al semplice - si consumano tra il 14 e il 26 dicembre dell'A.D. 1700: un inverno di neve e di tempeste, freddo e avventuroso, ma anche i prati blu del cielo serale, le strade insicure, castelli e chiese tra Trento e Rovereto, tra mezzisanti e briganti veri, nobili e popolino, e sopra tutto il convento cappuccino di Santa Caterina, che tiene la scena principale a Rovereto.
Dall'inizio alla fine pathos francescano affidato alle vicende minori, dove si fa luce anche la saggezza, l'ironia, la fratesca bonomia.
A quei tempi (come ai nostri) incombe la fragilita' e la precarieta' dell'uomo: "Sperduto come un granel nell'universo, a spenzolone tra cielo e terra, tra il niente e l'immenso, che ammira le stelle e capisce il terribile d'essere piccolo". Ma su tutto campeggia la figura del cappuccino Frate Amodeo: uomo colto e semplice, conversatore e maestro dei piccinini della scuola conventuale, bibliofilo di nascosto, pensatore che non sfigura certo accanto al gesuita fanatico e inquisitore e nemmeno a confronto del monaco olivetano famoso ed illuminato.
Le quattro vicende narrate nel testo esplorano la mitologia francescana e il terreno culturale dell'epoca in una continua dialettica tra il religioso e il superstizioso, tra il semplice e il grottesco, tra il bonario e il diavolesco sulfureo. Accompagnato, di volta in volta, da fraticelli deuteragonisti Amodeo finisce per essere la figura che nasce dai Fioretti ma che li sopravanza nella ricerca di vero, di saggio, di utile per l'uomo.
Sulla fredda teologia prevale la tenerezza per i suoi piccoli scolari, le pretese e le presunzioni del sapere vengono superate dalla bonomia fratesca: per lui non e' nemmeno lontana l'epoca dei lumi. Per frate Amodeo la vita dell'uomo e' come la ruota della fortuna, che appare sulla facciata della cattedrale di Trento, qualcosa che gira attorno a se stessa, passa e ritorna, in una uguaglianza-diversita', provvidenza ed azzardo.
"Bon tempo e malinconie, dritto e reverso, dalla banda stanca del cuore e ne l'ordine razionato de la mente, tutti gli uomini tastano, con l'esperienza sua, che sono pasta di male e di bene, matta superstizione e perfetta dominazione, parola d'echo di ordinato chaos."
Nell'insieme un libro di piacevole lettura, che sa ricreare atmosfere e suggestioni attorno a queste cronache minori del Trentino settecentesco. Dietro la pagina si scopre una seria "preparazione" spirituale e linguistica dell'autore roveretano, che sara' interessante attendere al varco di altre fatiche letterarie.

(l'Adige del 15 dicembre 2001)

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