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La confessione di un vecchio poeta
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di Vincenzo Lombino redattore di Impatto Sonoro Tutto parte volutamente da un'associazione tra la storia narrata e Aspettando
Godot, come se nel dramma di Gunjaca i protagonisti Petar e Mario
dovessero prendere il posto dei precedenti Vladimir ed Estragon. E, quando
il Godot da tutti atteso arriva in una notte del settembre 1991, la vicenda
può avere inizio. Soli nella stanza con un posacenere pieno, mezza
bottiglia di cognac e le loro pistole, i due amici cominciano a parlare
tra di loro della guerra e di cosa sia adesso l'uomo, plasmato dal sangue
versato per la patria. Ed è così che la storia inizia a raccontarsi, con Petar che ha mandato a fanculo tutta la politica e tutto l'esercito, sia serbi che croati, e che è stato abbandonato dalla moglie e dai figli senza una spiegazione. Petar che ha perso tutto e dunque non può più perdere nulla. Petar che ha smesso di credere allo stato e che si rifiuta di vivere nella sua stessa nazione come straniero, come nemico o invasore, ma che allo stesso tempo non accetta di vivere altrove. Petar che ha deciso di uccidersi. Il dialogo tra i due è così ben organizzato e in piena sintonia che diventa quasi un monologo, come se fossero un'unica persona in conflitto con sé stessa e come se si stesse decidendo per il sopravvivere o meno di una parte di essa. La drammacità della situazione (sia esterna che interna) è accentuata dall'ironia, come se la risata fosse l'unica cosa che la guerra non è ancora riuscita a portar via. Un'ironia che mi ha fatto pensare a quella di Mordecai Richler anche se, essendo un'opera teatrale, sarebbe più facilmente riconducibile alla tragi-comicità di Pirandello. Ma le sferzate con cui Gunjaca colpisce la politica e la mentalità della popolazione sono troppo dirette e pungenti per essere paragonate allo scrittore siciliano, anche se ad un tratto l'autore ironizza proprio utilizzando Pirandello, ma in un modo che lascia intravedere tutto il dolore e la sofferenza dietro la battuta: ANTE: Grazie. Mi scusi, ma voi due, lei e Petar, siete strani personaggi. PETAR: Sì, lo siamo. Troviamo l'autore sempre quando sarebbe meglio non trovarlo. E l'opera ha il suo culmine in 7 battute: PETAR: Hai mai giocato alla roulette russa? MARIO: Non sono mica matto. Vista la fortuna che ho, anche se fosse scarica riuscirei a spappolarmi le cervella. PETAR: E alla roulette balcanica? MARIO: Cos'è la roulette balcanica? PETAR: Come quella russa, solo che si fa con la pistola, questa che ho in mano. MARIO: Sei matto? Per prima cosa la roulette russa è di per sé un'idiozia, e poi si usa la rivoltella e non la pistola. Con la pistola sei morto di certo, non c'è alternativa. PETAR: È quello che ti sto dicendo, la roulette balcanica, quella senza alternativa. Infine, vi comunico che a Belgrado hanno deciso di girare un film utilizzando
come base Roulette Balcanica:
nonostante, come avete capito, penso che sia un'ottima opera teatrale,
dubito fortemente che si possa trarre un film di alto livello. Certo non
è impossibile, ma, basandosi il dramma principalmente su una specie
di monologo, sarà dura mantenere costante l'interesse di uno spettatore.
Non è detto che un libro interessante possa diventare un film interessante:
dipenderà dal regista.
www.drazangunjaca.net/balkanskirastanci/ITA_site/ITA_index.htm www.montage.co.yu/_sgg/m2_1.htm Vi risparmio gli infiniti premi di grande importanza che il libro ha
vinto, tanto non se ne fotte nessuno dei premi, ciò che conta è
l'Arte e vi assicuro che qui l'Arte c'è. |
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