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Il libro
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Il digiuno aiuta il destino
di
Domenico Settevendemie
Sarà un bagno rapido della fortuna
la luce alla vigilia del giorno,
scopre le fiamme per colarvi il pensiero
della foresta natale,
e sul bianco dell’alta falesia si arresta
il basso raggio tra i pericoli della notte
per timore di calpestare lordure vere,
di qui scappano cani idrofobi
per ogni uomo che viene in questo mondo
vestito a festa nella postura corretta
con la magnitudine giusta della testa,
in concorrenza, rovistando trova un braccio solo
ad indicare la fuga dallo splendore del trono,
prima di mettere piede nell’approdo perfetto
non ha più luci materiali come il sole o le lampade
né guaiti da svezzare
imbattendosi nel proprio corpo abbandonato.
(dall'autopresentazione)
Vorrei veder riconosciuto il diritto in capo a chi lo voglia, di poter
fare ancora un tratto di strada in compagnia di chi ci ha lasciato. Potermi
intrattenere con costoro, naviganti forse senza mare, in discorsi sugli
argomenti innumerevoli che riempirono le nostre vacanze che furono i giorni
trascorsi insieme. Rido, se penso che queste mani, riducibili allo stato
di pure articolazioni tenute semplicemente alla funzione del servire,
si ostinano a sparigliare in collage di parole, pensieri di cui altri
individui prima di me battezzarono l’esistenza entro fortezze millenarie
di senso e fede. Muoiono amici un po’ dappertutto, di alcuni ricordiamo
il nome e l’assenza. È questo che, al fondo, ci fa stare
veramente male. Similmente la poesia è quel vuoto fisico, che la
parola acconsente di riempire di memoria psichica incoerente. Ma non demordo.
I cinque scritti che pongo all’attenzione, sono una dichiarazione
di guerra nei confronti di un non definibile aggressore che ha già
sferrato l’attacco. Rappresentano quindi un paradosso nel metodo,
di principio. Sono temporalmente superate, eppure valgono proprio per
questo, per la loro originaria inadeguatezza, intempestività e
non possono aspirare ad altro che ad una disciplina della forma monca,
zoppicante. L’unica possibile. Vale l’esercizio della prova
disperata, del volenteroso tentativo di risorgenza. La chiave della comprensione
di cui l’uomo ritiene di essere in possesso, la si deve in realtà
ad una falsa rappresentazione della verità, di natura patteggiata,
mediata, perché raggiunta a tempo scaduto, ad eventi già
scatenati e conclusi.
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