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FARANEWS
ISSN 15908585
MENSILE DI
INFORMAZIONE CULTURALE
a cura di Fara Editore
1. Gennaio 2000
Uno strumento
2. Febbraio 2000
Alla scoperta dell'Africa
3. Marzo 2000
Il nuovo millennio ha bisogno di idee
4. Aprile 2000
Se esiste un Dio giusto, perché il male?
5. Maggio 2000
Il viaggio...
6. Giugno 2000
La realtà della realtà
7. Luglio 2000
La "pace" dell'intelletuale
8. Agosto 2000
Progetti di pace
9. Settembre 2000
Il racconto fantastico
10. Ottobre 2000
I pregi della sintesi
11. Novembre 2000
Il mese del ricordo
12. Dicembre 2000
La strada dell'anima
13. Gennaio 2001
Fare il punto
14. Febbraio 2001
Tessere storie
15. Marzo 2001
La densità della parola
16. Aprile 2001
Corpo e inchiostro
17. Maggio 2001
Specchi senza volto?
18. Giugno 2001
Chi ha più fede?
19. Luglio 2001
Il silenzio
20. Agosto 2001
Sensi rivelati
21. Settembre 2001
Accenti trasferibili?
22. Ottobre 2001
Parole amicali
23. Novembre 2001
Concorso IIIM: vincitori I ed.
24. Dicembre 2001
Lettere e visioni
25. Gennaio 2002
Terra/di/nessuno: vincitori I ed.
26. Febbraio 2002
L'etica dello scrivere
27. Marzo 2002
Le affinità elettive
28. Aprile 2002
I verbi del guardare
29. Maggio 2002
Le impronte delle parole
30. Giugno 2002
La forza discreta della mitezza
31. Luglio 2002
La terapia della scrittura
32. Agosto 2002
Concorso IIIM: vincitori II ed.
33. Settembre 2002
Parola e identità
34. Ottobre 2002
Tracce ed orme
35. Novembre 2002
I confini dell'Oceano
36. Dicembre 2002
Finis terrae
37. Gennaio 2003
Quodlibet?
38. Febbraio 2003
No man's land
39. Marzo 2003
Autori e amici
40. Aprile 2003
Futuro presente
41. Maggio 2003
Terra/di/nessuno: vincitori II ed.
42. Giugno 2003
Poetica
43. Luglio 2003
Esistono nuovi romanzieri?
44. Agosto 2003
I vincitori del terzo Concorso IIIM
45.Settembre 2003
Per i lettori stanchi
46. Ottobre 2003
"Nuove" voci della poesia e senso del fare letterario
47. Novembre 2003
Lettere vive
48. Dicembre 2003
Scelte di vita
49-50. Gennaio-Febbraio 2004
Pubblica con noi e altro
51. Marzo 2004
Fra prosa e poesia
52. Aprile 2004
Preghiere
53. Maggio 2004
La strada ascetica
54. Giugno 2004
Intercultura: un luogo comune?
55. Luglio 2004
Prosapoetica "terra/di/nessuno" 2004
56. Agosto 2004
Una estate vaga di senso
57. Settembre2004
La politica non è solo economia
58. Ottobre 2004
Varia umanità
59. Novembre 2004
I vincitori del quarto Concorso IIIM
60. Dicembre 2004
Epiloghi iniziali
61. Gennaio 2005
Pubblica con noi 2004
62. Febbraio 2005
In questo tempo misurato
63. Marzo 2005
Concerto semplice
64. Aprile 2005
Stanze e passi
65. Maggio 2005
Il mare di Giona
65.bis Maggio 2005
Una presenza
66. Giugno 2005
Risultati del Concorso Prosapoetica
67. Luglio 2005
Risvolti vitali
68. Agosto 2005
Letteratura globale
69. Settembre 2005
Parole in volo
70. Ottobre 2005
Un tappo universale
71. Novembre 2005
Fratello da sempre nell'andare
72. Dicembre 2005
Noi siamo degli altri
73. Gennario 2006
Un anno ricco di sguardi
Vincitori IV concorso Pubblica con noi
74. Febbraio 2006
I morti guarderanno la strada
75. Marzo 2006
L'ombra dietro le parole
76. Aprile 2006
Lettori partecipi (il fuoco nella forma)
77. Maggio 2006
"indecidibile santo, corrotto di vuoto"
78. Giugno 2006
Varco vitale
79. Luglio 2006
“io ti voglio… prima che muoia / rendimi padre” ovvero
tempo, stabilità, “memoria”
79.bis
I vincitori del concorso Prosapoetica 2006
80. Agosto 2006
Personaggi o autori?
81. Settembre 2006
Lessico o sintassi?
82. Ottobre 2006
Rimescolando le forme del tempo
83. Novembre 2006
Questa sì è poesia domestica
84. Dicembre 2006
La poesia necessaria va oltre i sepolcri?
85. Gennaio 2007
La parola mi ha scelto (e non viceversa)
86. Febbraio 2007
Abbiamo creduto senza più sperare
87. Marzo 2007
“Di sti tempi… na poesia / nunnu sai mai / quannu finiscia”
88. Aprile 2007
La Bellezza del Sacrificio
89. Maggio 2007
I vincitori del concorso Prosapoetica 2007
90. Giugno 2007
“Solo facendo silenzio / capisco / le parole / giuste”
91. Luglio 2007
La poesia come cura (oltre il sé verso il mondo e oltre)
92. Agosto 2007
Versi accidentali
93. Settembre 2007
Vita senza emozioni?
94. Ottobre 2007
Ombre e radici, normalità e follia…
95. Novembre 2007
I vincitori di Pubblica con noi 2007 e non solo
96. Dicembre 2007
Il tragico del comico
97. Gennaio 2008
Open year
98. Febbraio 2008
Si vive di formule / oltre che di tempo
99. Marzo 2008
Una croce trafitta d'amore
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Numero 80
Agosto 2006
Editoriale:
Personaggi o autori?
Non siamo tutti inquietamente in cerca di un copione che
renda la commedia (la tragedia, per alcuni) della vita meno assurda?
A volte cerchiamo di scrivercelo da soli, ma spesso anche quello è
una finzione pessoana immersa nei nonsensi in cui si arrabatta la ragione
o nelle fughe passionali in cui sfinire, o nella sopraffazione…
le risposte sono tante e per chi "cerca" di credere ce ne
sono di definitive e totalizzanti. A queste inquietudini che da sempre
costellano il cammino delle "persone" che siamo trovate interessanti
risposte nei racconti realisticamente paradossali di Vesna
Andrejevic, Giovanni Tuzet, Drazan
Gunjaca e nei versi così diversi fra loro eppure così
capaci di mappare la condizione umana di Tiziano Fratus,
Luca Ariano, Fabrizio Centofanti
e nell'omelia di padre Bernardo.
Trovate inoltre le traduzion dal Riccardo III di Massimo Sannelli, una
rencensione di Marco Scalabrino su Tardara
di Licia Cardillo, quella di Luigi Metropoli sulla
Simmetria
imperfetta e le segnalazioni su Corpo di guerra,
Conatus e Aladar. Buone meritate vacanze e, se scrivete
racconti o poesie, vi ricordo il nostro concorso Pubblica
con noi.
Ecco
prenda in considerazione il mio caso…
di Vesna Andrejevic
... E così Le sto dicendo, reverendissimo Sig.
Editore, che si dovrebbe prestare attenzione anche a questo argomento.
Ecco, Lei da parte Sua, potrebbe usare il suo grande ascendente sui
responsabili perché arrivi il nostro turno. A noi, personaggi,
nessuno chiede proprio niente! Siamo sfruttati nel modo peggiore! Nessuno
si degna di sentire come vorremmo essere presentati in un’opera!
Se uno si è azzardato ad appropriarsi il diritto di descrivere
la mia vita, magari nel più piccolo dettaglio, come mai io non
ho nessun influsso su questa faccenda, nemmeno “consultivo”
se mi permette di usare il termine, o almeno la possibilità di
correggere ogni sviamento artificiale di trama, ogni descrizione innaturale
delle mie azioni o magari un’idea alterata e malintesa? Non c’è
libro senza scrittore ma tanto meno senza personaggi, Sig. Editore!
E non si meravigli del fatto che mi rivolga a Lei tramite la radio del
Suo computer. Sono stato costretto a farlo e ho fatto il diavolo a quattro
per raggiungerLa! Non voglio disturbarLa, per carità, questo
assolutamente no, chiedo scusa per la mia invadenza, ma ho agito solo
con l’intento di aiutare Lei, me stesso e specialmente gli “imitatori
e emendatori” della mia opera e della mia personalità.
Insomma bisogna stabilire insieme chi può “entrare”
al mercato coperto come mi piace chiamare il mondo della letteratura.
Cioè chi può essere e che cosa dovrebbe possedere un valido
personaggio letterario? E secondo la mia più profonda persuasione
io lo sono davvero!
Per provarlo, potrei adoperare due modi completamente opposti di presentarmi.
Ed ecco proprio su questo punto possiamo entrare in discordia. È
lo scrittore che deve introdurre il suo personaggio o è il personaggio
che deve far entrare lo stesso scrittore sul palcoscenico della propria
opera? Se scegliessi di essere presentato dallo scrittore che, inoltre
non ho nemmeno scelto, potrei subito direLe in faccia i miei dati che
testimoniano insindacabilmente che io sono un validissimo personaggio
letterario: davanti a Lei si trova Nikola Tesla (1856-1943), genio inventore
e scienziato di origine serba e di fama mondiale, scopritore dei dispositivi
per sfruttare la corrente elettrica alternata, il motore elettrico senza
spazzole, le onde radio, del telegrafo senza fili, della turbina idraulica
cuore delle centrali idroelettriche, dei primi impieghi sia bellici
che civili della teoria delle onde, del radar e dell’Energia del
Cosmo. Per i suoi meriti l’unità di misura dell’induzione
magnetica è stata chiamata con il suo nome. E mi creda, Sig.
Editore, questo basta non solo come presentazione bensì per disgustare
pure il piú appassionato topo di biblioteca! Nonostante la veridicità
dei dati indicati, si potrebbe ottenere un’impressione assai sbagliata
di me. I dati enciclopedici relativi alla mia personalità, sono
noiosi anche per me. Si immagini se mi presentassi in questa maniera!
Che orrore! Non dovrei essere io a parlare di me stesso ma ci vorrebbero
le mie invenzioni e i miei ideali a raccontare la mia storia. Per tutta
la vita ho detestato le presentazioni pubbliche, le grandi pompe e le
cerimonie in cui mi abbracciavano conosciuti e sconosciuti: tutto questo
mi distraeva dal mio lavoro togliendomi il tempo prezioso che sempre
manca a ogni scienziato. Ma pensa davvero che io avrei lavorato per
ben 56 anni senza riposo ogni giorno della settimana, incluse domenica
e feste, dormendo solo quattro ore al giorno per tutta la mia vita se
avessi voluto pavoneggiarmi nei salotti europei ed americani dinanzi
alle signore e ai signori? Ci ho messo quasi 63 anni per decidere di
rivolgermi a Lei e l’ho fatto non per me ma per stabilire tramite
i suoi canali un corretto rapporto con la gente. Sa, mi hanno spesso
rimproverato la modestia. Dicevano che non ero bravo negli affari e
nel trovare i finanziamenti, che ero troppo inebriato dagli ideali elevati
e poco realizzabili, ecc. Sinceramente mi meravigliavo dell’ignoranza
dei miei critici per non dire che rimasi un paio di volte ben sbalordito.
Dicevo spesso che se avessi potuto realizzare i miei ideali a beneficio
d’umanità, questa sarebbe stata la mia più grande
opera ma il più dolce pensiero era quello che questa sarebbe
stata l’opera di un serbo! Con settecento brevetti sono considerato
insieme a Faraday il piú grande inventore nella storia d’umanità,
ma né la mia umile persona né il magico Faraday avremmo
creato niente se almeno una particina di tutto quello non avesse “illuminato”
anche la più semplice azione umana. L’uomo viene sempre
prima dell’invenzione. E se è così, allora l’invenzione
si avvicina all’uomo nel modo facile. Anche l’inventore
è un uomo. E vede, si deve partire proprio da questo fatto per
la mia presentazione da valido personaggio. Ogni mio movimento, pensiero,
comportamento dovrebbe essere filtrato attraverso la mia personalità
e non attraverso quello che qualcuno ha detto o scritto di me. Sì,
sono d’accordo con Lei, il personaggio può essere descritto
dall’esterno o dall’interno, mostrando il suo comportamento,
i suoi gesti, il modo di vestire, il timbro della voce, la fisionomia
ecc. Ma cosa facciamo dell’invisibile “occhio interiore”
che ognuno di noi porta dentro di sé e che è tanto mutevole
che nemmeno lo stesso personaggio riesce a coglierlo? E se il personaggio
scoppiasse in lacrime nel mezzo della scena comica oppure, Dio non voglia,
gli sbucasse “un orzaiolo”? Inoltre, cosa facciamo con la
nostra luce interiore che muta di intensità in modi che nemmeno
i migliori generatori possono controllare? Semplice, si deve lasciare
che questa luce ci conduca e tutto sarà a posto. Sa, non si può
controllare e domare tutto. Da piccolo mi sforzavo di controllare le
mie emozioni e pensieri, dato che avevo un carattere debole e esitante,
sempre pronto a ritirarsi dinanzi alle mie varie paure e ai misteri
di natura che mi intrigavano di più: iniziai a soffocare i timori
soffocando i desideri. In tal modo mi impadronii di me stesso e delle
mie capacità mentali, morali e fisiche. Eppure non conquistai
proprio tutto per sfortuna o forse per fortuna se si pensa al mio scrittore
che dovrebbe cercare in tutta questa faccenda uno dei possibili inizi
della mia descrizione.
Se ci penso bene, per tutta la mia vita sono stato accompagnato ed inseguito
dalle varie “stranezze” e “bizzarrie” del mio
carattere e della mia sorte. Per esempio, nacqui una notte di luglio,
proprio allo scoccare della mezzanotte mentre imperversava una terribile
tempesta. La levatrice pronunciò a mia madre quasi profeticamente
che sarei stato “il figlio della tempesta” come se avesse
previsto il mio eterno interesse per l’elettricità. All’età
di tre anni maltrattavo in modo terribile il mio gattino perché
mi eccitavano tanto le scintille che l’elettricità statica
provocava nel suo pelo. Questo fenomeno conobbi molto meglio negli anni
seguenti, ma all’epoca il fatto ebbe per me il carattere mitico
di una scoperta ancora non svelata! Poi, nutrii per quasi tutta la vita
un’avversione (a me poco spiegabile ancor adesso) per alcune cose
che mi provocano forti crisi neurotiche. Per esempio provavo una grande
ripugnanza per gli orecchini e per le perle, ma non per i cristalli
di forme regolari, poi per la pesca e per la canfora, per i foglietti
immersi nel bicchiere con l’acqua, ecc. Per poter finire in pace
il mio pranzo, spesso dovevo calcolare la capacità del piatto
per la minestra e della tazzina di caffè e dei miei bocconi.
Tutte le mie operazioni e procedimenti dovevano essere divisibili per
tre e se, putacaso, avessi sbagliato in calcolo, dovevo ripetere tutte
le operazioni dall’inizio. Eppure, nonostante tutto questo non
dubitai mai della forza della mia mente e della genialità delle
mie invenzioni.
Ed ecco tutto questo rende evidente, molto meglio di tutti i miei titoli
e le mie cariche, la completa validità e consistenza del mio
personaggio. Ogni personaggio ben realizzato deve soffrire di una sovrabbondanza
la quale si rivela in una certa situazione. Di solito si dice che si
tratti di qualcosa di “deviante”, ma io la chiamerei semplicemente
“l’eccedenza di valore”. Sta allo scrittore usare
questa eccedenza, sia positiva che negativa, privandone il suo personaggio,
ma allo stesso tempo palesandolo, proprio come si fa con il fior del
latte che si toglie dalla superficie del latte per usarlo dopo per preparare
varie delizie. Ma perché è tanto importante questa eccedenza
di valore del personaggio? Proprio perché essa crea il conflitto,
sia interiore che esteriore e come è ben noto senza conflitto
non c’è una buona azione! Essa è la più potente
forza motrice dell’azione e, se mi permette, anche della nostra
vita per quanto ci sforziamo tutti quanti di sfuggirla. Per questo bisogna
sempre cogliere “l’aspetto demoniaco e geniale” nel
personaggio e nell’uomo. Questo gioco tra la luce e l’ombra,
che qualche volta potrebbe premiare il protagonista, ma a volte completamente
mutilarlo, ha un’immensa importanza per lo scrittore. Sembra paradossale,
eppure è vero che agli scrittori riescono nel modo migliore “i
personaggi defraudati” perché essi portano addosso la propria
indignazione come una sporgenza alla quale ci si può aggrappare
molto facilmente. Un bravo scrittore dovrebbe cercare anche nei suoi
più generosi personaggi un pizzico di cattiveria e viceversa,
nei farabutti più riusciti qualcosa di luminoso. In tal modo
illuminerà perfettamente la sua opera. Ed io, come posso soddisfare
pure questa condizione? Nonostante tutte le mie contrarietà interiori,
sa, io sono anche oggi il motivo di grande contesa fra due popoli che
amo ugualmente, fra quello di cui sono originario e quello in cui crebbi.
È molto interessante che serbi e croati litighino per questo
mentre per il popolo nel cui paese creai la maggior parte delle mie
invenzioni, conta solo che esse rimanessero in America. Interessantissimo!
Non le pare che pure questa sia una valida motivazione per farmi entrare
nel mondo letterario?
Ma per quanto io sia l’esempio piú rappresentativo della
mia specie, non potei essere completamente “vaccinato” contro
gelosia, sgambetti, ingiustizie e furti! Nel 1912 rifiutai il premio
Nobel, ma solo per il fatto di aver subito una grande ingiustizia tre
anni prima! Qualcuno si attribuì i miei meriti! Che vergogna!
In quell’occasione non si trattava della mia ingratitudine superba
verso l’umanità bensì ero profondamente offeso dal
fatto che la sfacciataggine e l’insolenza fossero apprezzate e
premiate più di un lavoro onesto! Per carità! Mi è
difficile parlarne pure ora, ma fui io il primo ad intuire la possibilità
di utilizzare le onde elettromagnetiche per trasmettere l’energia
e il segnale a distanza senza l’uso di fili. Ogni volta che un
fanciullo segue la sua barchetta in una pozza, tutto convinto che essa
si muove da sola o a ogni suo cenno, si ricordi che si tratta di una
simulazione del primo sperimento di utilizzare le radioonde a distanza
che io eseguii nel lontano 1897. Però questa era solo una parte
del mio progetto! Lo scopo principale era la costruzione di un Sistema
Mondiale per la trasmissione dell’energia elettrica e delle notizie
tramite l’aria. E tutto gratis! Questo era il mio piú grande
sogno! Provi ad immaginare la corrente elletrica a costo zero, o le
informazioni, le immagini gratis per ogni essere umano di questo mondo!
E s’immagini solo un’antenna parabolica sul suo tetto senza
cavi, fili e la possibilità di avere sempre la corrente quanto
vuole e quanto Le basta e le informazioni sempre disponibili che non
deve affatto pagare! Si figuri gli aerei, le macchine, le navi, le fabbriche,
le case che prelevano energia direttamente dal campo energetico dell’etere!
Tutto questo si potrebbe eseguire se si utilizzassero le vibrazioni
elettriche naturali della terra! Però, sa, col fatto che ogni
energia si potrebbe trasferire a qualsiasi posto della Terra con una
perdita non è superiore a qualche punto percentuale, si toglie
il diritto a qualcuno che si è spudoratamente proclamato responsabile
di sfruttamento del nostro pianeta che da millenni ci offre generosamente
e gratis i suoi frutti, e gli si toglie anche il diritto di convincerci
che questo dono si dovrebbe pure pagare. Io non trovai i finanziamenti
sufficienti per condurre in porto il mio progetto e se è necessario,
sono pronto a chiedere scusa a tutta l’umanità, ma non
perché rifiutai il premio Nobel. Non si possono premiare i furbi
che rendono possibile a loro stessi e a qualcuno che li ha aiutati di
guadagnare un sacco di quattrini! Il mio progetto rimase incompiuto
proprio per questa cattiva valutazione dei meriti, però non mancarono
quelli che seppero usare le parti dell’idea non mia, ma umana,
arricchendosi in breve tempo. Ogni volta che accende la radio o oppure
il televisore o si avvicina al bottone della luce, se lo ricordi bene!
Non dovrebbe pagare niente! Intanto io possiedo il certificato dei miei
brevetti registrati regolarmente. Ecco, può accertarsene da solo,
Sig. Editore! Si tratta di materiale validissimo per ogni scrittore.
Vede che cosa è scritto qui: “il brevetto U.S Patents #
645 576” registrato quattro anni prima che il mondo salutasse
il primo radiomessagio trasmesso attraverso l’Atlantico! Certamente,
avrà notato da solo che il numero del brevetto è assolutamente
divisibile per tre! Ma sa, io dovevo morire affinché si raddrizzasse
questo torto! La Corte Suprema degli Stati Uniti riconobbe nove mesi
dopo la mia scomparsa nella causa n. 369 che fu io lo scopritore delle
radioonde e della loro trasmissione senza fili! Eppure, Lei oggi come
tutti quanti paga regolarmente l’abbonamento alla radio, no? Paga
pure la multa per l’eccesso di velocità ogni volta che
la polizia La becca con l’autovelox? Ecco, da inventore del dispositivo
che aiutò la scoperta di laser, Le condono la parte mia in tutta
la facenda e così a Lei rimane solo di accordarsi sulla riduzione
della multa.
Capisce ora, Sig. Editore, quanto io sia un valido personaggio letterario:
da solo “irradio” da dentro e da fuori tantissimi contrasti
e quanto a tutto quello che feci, sa, il compito principale di un inventore,
che consiste nella impresa di sottrarre le leggi alla natura e di darle
alla gente per il suo uso, il fatto che pretendessi sempre che ci fossero
sulla tavola diciotto tovaglioli ripiegati in modo particolare oppure
il fatto che provavo ribrezzo per microbi e batteri o il fatto che corresse
la voce che mi volessi fare castrare perché consideravo le donne
una bella ispirazione per gli artisti, ma nociva per gli scienziati,
tutto questo è di un’importanza minore quando si pensa
ai corrotti pensieri di chi vede il suo unico scopo nello sfruttare
gli altri e specialmente i deboli. Tutto questo sotto nome di modernizzazione,
di sviluppo scientifico e tecnico, di promozione dei valori democratici
e gli altri blablà. Le mie idee sono forse ancora strane e poco
recepite, ma io ripeto che credo fermamente nella legge del compenso.
I premi veri sono sempre proporzionati al lavoro e sacrificio impiegati.
In qualunque momento essi vengano. Proprio per questo si deve sempre
essere tenaci e conseguenti con il proprio obiettivo, ma prima di tutto
sinceri nei confronti di sé stessi e delle nostre capacità.
Del resto quando il dono naturale si trasforma in desiderio appassionato,
l’uomo avanza con gli stivali delle sette leghe. Ecco, per questo
vorrei gentilmente chiederLe di prestare attenzione quando sceglie chi
far entrare nell’etere letterario. Lasci emergere solo i personaggi
e gli scrittori veri, vivificanti, cresciuti con la comune fatica dello
scrittore e del personaggio perché una volta fatti in questa
maniera, loro riescono a ingentilire le persone e la vita umana. Eviti
i valori falsi per quanto siano affascinanti e seducenti. E non abbia
paura, ne varrà la pena... Ops, squilla il suo o il mio cellulare?...
Ah, è il mio. Chiedo scusa, faccio presto... Vediamo un po’
il numero... Mi pare che sia qualcuno del mio vicinato...
“Pronto? Pronto?... Non sento niente! Pronto, chi è?”
Sembra che non ci sia campo qui, ma sa, ogni volta che questo coso non
funziona, non è poi male perché sono sicurissimo che i
campi elettromagnetici dei cellulari producono elletrosmog dagli effetti
cancerogeni. Però credo di poterlo eliminare utilizzando microonde...
Pronto?... Pronto? Chi e?!... Non si può mai parlare in pace...
Pronto? Sì?”
“Ciao, Nicola! Sono Marconi... Come va?”
Vesna
Andrejevic (1965, Belgrado, Serbia e Montenegro) nata nello stesso
giorno del suo idolo Pirandello, sempre in cerca di un editore e con
la modesta speranza che un giorno realizzerà almeno la decima
parte del successo del suo idolo, si occupa di traduzione multimediale
a Belgrado. È professoressa di lingua e letteratura serba e di
letteratura internazionale e fresca neolaureata in lingua e letteratura
italiana. Fra i vari riconoscimenti a lei sono particolarmente cari:
la segnalazione nel concorso Pubblica con
noi (2005), il secondo posto nel concorso Artistico Internazionale
“Amico Rom” (2005) e Premio ICON (2006). Scrive narrativa,
traduce film e i libri e coltiva i suoi sogni e aspirazioni letterari.
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da
le bocche
poema (inedito) cucito a mano
d'un uomo che si arrangia
in una città appoggiata fra deu fiumi le alpi e la pianura
di Tiziano Fratus
1 | carte di identità
il silenzio che si respira in città alle sette meno un quarto
quando le famiglie stanno consumando la colazione
i ragazzini scendono in strada per prendere l’autobus e andare
a dormire sui banchi di scuola
gli studenti dell’università si alzano col mal di testa
per la sbornia e salutano gli altri già in piedi a ripassare
le teorie della scuola di francoforte la storia della resistenza o a
discutere (pace all’anima loro) il tractatus logico-philosoficus
ad un passo dallo scatto che lancerà questa città in un’ennesima
giornata di sfide e di traguardi
alla conquista di zone di mercato ancora non occupate
di denari da portare a casa per il miglioramento (o la conservazione)
del tenore di vita
per la scalata alla macchina del riconoscimento
a noi che passiamo il tempo a sgranocchiare caramelle in svendita
che ci spostiamo con la velocità dei bradipi e l’arroganza
di un sacco di patate
a noi che cerchiamo l’amore nel sorriso del primo che incontriamo
in strada
che ci spostiamo da un quartiere all’altro in bicicletta
che saliamo sui mezzi pubblici senza biglietto e non per indifferenza
(tant’è che ci logoriamo ad ogni fermata allungando gli
occhi in vista di camicie azzurre)
a noi che ai colloqui di lavoro ci chiedono come abbiamo fatto ad arrivare
a trent’anni senza aver lavorato in una ditta in un call center
e annotano strane parole sottolineate quando gli diciamo che scriviamo
che siamo anche un po’ stanchi di essere scambiai per gente senza
futuro
ignorati dagli altri scrittori della città
dai coetanei che vendono miglia di copie dei loro romanzetti rosa
dai giornalisti che si materializzano in più punti della città
senza capire la differenza fra il campionato mondiale di scacchi le
olimpiadi o una lettura di céline la giornata della memoria
le nostre avventure d’amore le passioni furiose che ci strappano
alla vita e agli obblighi
che ci sradicano e ci gettano nelle mani del destino
il modo davvero originale che adottiamo per farci divorare dalle mantidi
della nostra città e di altre parti del paese
per poi essere abbandonati su due piedi in mezzo ad una piazza a venezia
in riva ai navigli a milano alla stazione dei treni a roma
sotto i portici di bologna o in un carruggio ombroso e umido in liguria
c he facciamo?
cosa vuoi fare?
non so che dite?
iniziano a formarsi le prime ombre sotto i passi
2 | un reduce a due passi dalla spiaggia
vivo come un reduce sopravvissuto alla propria vita
al gusto dell’abitudine
al passaggio dei gesti che ripetendosi gemmazione dopo gemmazione
hanno incrostato il mondo lasciato un segno nelle cose
scavando a fondo dentro in seno alla fisica terrestre
come quando un tuffatore si getta dalla stessa rupe
centinaia e centinaia di volte alla stessa maniera
senza variare la crescita del movimento dei muscoli
senza alterare d’un grado il coefficiente di penetrazione nelle
acque
scocciando la visione notturna dei pesci e dei granchi che colonizzano
quel tratto di mare
che anche loro alla fine proseguono a banchettare
con tutto quel trafelamento di antenne chele e vibrazioni
come un reduce resto invischiato (spesso) nel recupero della memoria
ho la stanza piena di statue lasciate a metà
incompiute
come quella vita che s’è estinta un giorno
con la perentorietà d’un gesto secco
di un no pronunciato con estrema decisione
è vera quella diceria secondo la quale
intorno ad un piccolo gesto graviti la decisione ultima di vivere o
morire
di amare o piangere
di partire per il fronte o alimentare la produzione industriale a scopo
militare
intorno a quel gesto infinitesimale si compie un olocausto del non ritorno
detta quella frase o quella parola
o non detta non fatto quel gesto (rimpianto dunque per il resto dell’eternità)
il giorno può addirittura assumere le sembianze della notte
e la notte accendersi in un luminoso ristoro dei sensi e dei colori
la verginità viene persa un sola volta
nonostante le bugie che l’uomo intende edificare all’occorrenza
esiste una coscienza del pianeta che vive in un qualche luogo estremo
non manipolabile come la profondità di un albero
dove anno dopo anno si registra la vita interna dell’organismo
ma anche i mutamenti esterni provocati nell’ambiente
così un uomo nelle sue goffe ambizioni
nel suo caracollarsi in giro per le strade
le distese di erica i deserti e la volta celeste
depredando altri essiri viventi della carne
altri esseri umani dei desideri dei sogni delle illusioni
parla con la malformazione delle gengive
l’ampiezza del sorriso
il gonfiore dello stomaco e dei glutei
il modo di baciare le labbra di un amante
a due passi dalla spiaggia
coi gabbiani che si rincorrono sulla sabbia
per rubarsi un resto rilasciato dalle onde del mare
Tiziano Fratus
(1975) ha pubblicato lumina (2003), l'inquisizione
(2004, tradotto integralmente e presentato alla Casa Fernando Pessoa
di Lisbona), il molosso (2005), la torsione
(2006). La sua poesia è stata ospite in molte manifestazioni,
rappresentata a teatro, tradotta in cinque lingue. Ha diretto inoltre
il monologo in versi l'autunno per eleni (2002), i
videopoemi nell'uomo (2004) e il picchiatore
(2005). Dirige Torino Poesia
e ManaifatturAE
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Su Tardara
di Licia Cardillo Di Prima
Editori Riuniti, Roma 2005
di Marco
Scalabrino
L’incipit è sullo Stretto. Al primo rigo
della prima pagina, Gino Roveri sul Caronte, uno dei traghetti che fa
la spola tra l’Isola e la penisola italiana, rientra dopo dodici
anni; e al secondo, la Sicilia, che emerge dal mare. Ecco diciamo subito
che, Gino Roveri, benché risulti il personaggio fulcro della
vicenda, non ne è, almeno a mio avviso, il protagonista, per
la cui identificazione dovremo ripiegare altrove. È Settembre.
Il paese di Rocca Regina è un canestro di confetti grigio perla.
In quella stanza aggredita da un silenzio penoso, le donne tutte vestite
di nero, sembrava però si celebrasse un rito antico, codificato:
la morte al buio rappresentava se stessa. Solo il morto, Renzino Puglisi,
sfuggiva alla finzione. Gino Roveri si segnò ripetutamente e
si baciò la punta delle dita. Una morte assurda, sentiva egli
sussurrare in un’aria di rassegnazione e di fatalità che
si respiravano. A Tardara – è il nome della forra, ossia
cava, burrone – e davanti al baglio, affiorano i ricordi: Renzino
e Gino amici d’infanzia, compagni di scuola. Qui si sa tutto di
tutti, ma nessuno ha visto, nessuno ha sentito, nessuno parla, sostiene
don Giuseppe. In una sorta di confessione, è messa a nudo l’anima
dei Siciliani e in discussione uno dei capisaldi della cultura e della
società siciliane: la famiglia, che è un marchio ...
lu criscenti. La famiglia è come il pane, è nuova
e vecchia nello stesso tempo, ha dentro il passato, il presente, l’avvenire.
Renzino, nessuno gli ha perdonato di non essere dello stesso criscenti
di suo padre, l’hanno ucciso perché era di un’altra
pasta, non è voluto entrare nel gioco. Oltre a Renzino Puglisi
e al suo sogno di cambiare il mondo, colpiti davanti al baglio con tre
colpi al cuore, due altri uomini nel giro di due mesi saranno uccisi:
Vito Zito, il proprietario della Tardara, e Menico Russo, che la Tardara
aveva quindi acquistato. Ma che se ne fa Menico Russo, un impiegato
comunale, di una cava abbandonata? si interroga Gino Roveri. Non vi
anticiperò, ovviamente, gli sviluppi che porteranno alla soluzione
del caso. Sappiate però che a Gino Roveri e alle sue indagini
si unirà, in un fronte di omertà che si andrà disgregando
in ragione soprattutto del ruolo capitale che assumeranno le donne –
una fra tutte Rita, la vedova di Menico Russo –, l’acquisita
consapevolezza – che sa di rivoluzione dalle nostre parti –
che la parola fa l’uomo libero, che chi non si può esprimere
è uno schiavo, che parlare è un atto di libertà,
che, come professa Ludwig Feuerbach, la parola è per se stessa
libertà. Ed ecco è giunto il momento, riprendendo l’ipotesi
lanciata in apertura e soppesate le considerazioni esposte, di palesare
il vero protagonista della vicenda, che reputo sia il “contesto”
sciasciano in cui si snoda il groviglio. E proprio questo apprezzamento
contribuisce a situare il lavoro nel filone dell’impegno, per
la denuncia, in una trama per dirla giustappunto con Leonardo Sciascia
da "materia saggistica che assume i modi del racconto", dello
ntrallazzu e della criminalità mafiosa e del clima da
essa imposto. Non mi rimane che chiudere con un ultimo stralcio, dal
timbro gattopardesco, da Licia Cardillo: la festa è un uragano
che scuote il siciliano dal torpore per farlo entrare in un’altra
dimensione: quella dell’ebbrezza.
Licia
Cardillo Di Prima è nata a Sambuca di Sicilia dove vive e
lavora. Giornalista pubblicista, è autrice del romanzo storico
Il Giacobino della Sambuca (Editori Riuniti 2000),
Premio Anteka Erice e della raccolta di racconti Fiori di aloe
(1997). Ha curato l'adattamenti teatrali e ha collaborato con il Mediterraneo
e con la Repubblica (edizione siciliana). Per il saggio Marco
Antonio Colonna ed Eufrosina Corbera le è stato attribuito
il Premio Parnaso promosso dalla fondazione Leonardo Sciascia di Racalmuto,
da Kairos a Canicattì.
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Novecento I e II
di Luca Ariano
Quei primi scioperi
- la piazza non era gremita
come nelle storie,
e il tuo pugno chiuso in foto
con l’orologio in evidenza.
Quel manipolo di sbarbati
alla mattina, al pomeriggio
e anche alla sera e poi...
poi il tempo di distrarsi
e il tuo volto non si riconosce più.
Avessi aperto un negozio di scarpe
o un locale trendy – sempre pieno;
il bambino, cocco della mamma,
sempre in palmo di mano ora non sa
a chi gridare, ora che l’eco della casa
rimbomba tira grembiuli altrove.
Lui si allontana in moto,
pare quasi una cartolina anni cinquanta,
col vento di salso che sale dall’autostrada
e tu prepari il tuo viaggio,
il tuo gommoso ritorno in treno.
Atto II
Non c’era quando la strada
s’asfaltava della schiuma oleosa
della pioggia e tu lì in quel tiepido
sole di marzo, per ogni soffio di nube.
Sceso di corsa dalla carrozza
per un biglietto quasi vergato a mano,
a sottolineare la febbre galoppante
delle sragioni.
In questa notte al Pratello Bologna
pare una canzone di Guccini
ma state solo scimmiottando i padri
e certo quei negozi pakistani
non sono osterie da rivoluzioni.
L’emulazione nel delirio collettivo
d’un bagno notturno ma è lo specchio
opaco d’un altro decennio
con ancora l’odore delle bombe sotto gli occhi.
Un vecchio osserva le cosce d’una ragazza
e ritorna ai frettolosi amplessi
tra mecerie e sirene quando un bacio
poteva esser l’ultimo prima del calar della polvere.
Luca Ariano è
nato nel 1979 a Mortara (PV), vive tra Vigevano e Parma. Ha pubblicato
nel 1999 la raccolta di poesie Bagliori crepuscolari nel buio
presso Cardano di Pavia. Numerose sue poesie sono apparse su riviste
e siti letterari tra cui Frontiere,
Faranews e FuoriCasa.Poesia
e su antologie tra cui Oltre
il tempo/Undici poeti per una Metavanguardia, curata da Gian
Ruggero Manzoni per le Edizioni Diabasis (2004) e La
coda della galassia, a cura di Alessandro Ramberti, FaraEditore
(2005). Collabora con il sito internet Pagina
Zero, Il Foglio Clandestino
e La Clessidra ed è tra i redattori della rivista Ciminiera.
Nel 2005 è uscita la sua seconda raccolta di poesie Bitume,
con la prefazione di Gian Ruggero Manzoni, per le Edizioni del Bradipo
di Lugo di Romagna.
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Il pranzo in campagna
di Giovanni
Tuzet
Parliamo seriamente. Vorrei porre alcune interrogazioni
a proposito dell’evento che si prepara, vista la numerosità
di coloro che ad esso interverranno. Sarebbe possibile visionare il
menù che ci viene riservato? Trattasi di menù turistico,
visto che non tutti siamo indigeni? È possibile parcheggiare
la macchina di fronte al ristorante? È previsto un servizio navetta?
Se sì che orari osserva il servizio? Quale sarà la disposizione
dei tavoli e delle sedie a noi riservati? Considerando 60 centimetri
medi di spazio per ogni commensale, riusciremo a stare tutti nella stessa
sala senza che nessuno dia le spalle ad altri? Si paga il coperto? Se
sì, in caso di intemperie sono previsti badili per neve? Sono
ammessi i cani? Se no, va rivisto il numero dei partecipanti? A che
ora ci troviamo in centro per la partenza? A che ora si rientrerà?
In caso di bisogno, ci sono i bagni? L’acqua corrente è
stata introdotta nell’uso della società campestre? Le posate
vengono cambiate tra una portata e l’altra? Ma poi ci sono le
posate? Onde evitare il traffico dell’ora di punta, non sarebbe
opportuno arrivare in loco per le 12.15? Non sarebbe meglio evitare
la tribù antipagana che esce da Messa? Chi è Luís,
uomo, donna o altro? Per partecipare al pranzo bisogna essere iscritti
a qualche associazione? Se un membro della felice tavolata ordinasse
consommé, verrebbe capito? È previsto l’antipasto?
È previsto l’aperitivo? Se decidessi di non mangiare il
primo, potrei donarlo a Luís? A che ora chiude il locale? Ma
è aperto? Chi se n’è sincerato? Abbiamo il telefono?
Se sì, avete chiamato? La % di polveri sottili in quella zona
è entro il limite di guardia? Ci sarà il problema delle
targhe alterne? Se il numero dei disoccupati in Italia cresce, è
colpa nostra o loro? È consigliabile l’uso di catene? Al
ristorante accettano buoni pasto? Nel caso, prendono anche quelli scaduti?
Se a un bipede non va di stare a fianco di un altro bipede può
cambiare posto? Deve giocare il Jolly? Quanti Jolly ha ogni bipede?
Il decreto che vieta il fumo è applicabile? Si fuma lo stesso?
Se sì, cosa si può fumare? In caso di meteorismo si possono
somministrare farmaci adeguati? La giornata proseguirà al cinema
parrocchiale? Che film danno? Ma c’è ancora il cinema parrocchiale?
Al nostro arrivo, verremo accolti dalla Pro Loco? Ci sarà il
Presidente? Ci sarà uno spettacolo di Drag Queen? Si possono
introdurre all’interno del ristorante macchine fotografiche? Si
possono scattare foto o saremo obbligati ad acquistare gadget? Qualcuno
alla fine dirà come ci siamo comportati? Verremo giudicati senza
saperlo? Ci sono animali feroci in libertà? Si può ruttare?
Si può ruttare con femmine a fianco? Si può rimanere a
fianco di femmine senza ruttare? A che ora è previsto il caffè?
È compreso nel prezzo? Chi paga? Colui che ha prenotato il pranzo,
ha prenotato una stanza per appartarsi? C’è ancora il proibizionismo?
Si possono bene alcolici nei locali? Se no, come fanno sessi opposti
a divertirsi fra loro? Siete favorevoli alle coppie gay? Ci saranno
coppie gay al pranzo? Se sì, chi sono? Se no, ci travestiamo?
Se qualcuno tiene alla privacy, lo mettiamo in un tavolo a parte? Dove
ci troviamo? Chi e quanti siamo? Ho già fame e Voi?
Questo scritto nasce da una lettera di Davis Romanini
che qui ringrazio.
Giovanni
Tuzet (Ferrara, 1972) è laureato in Giurisprudenza all’Università
di Ferrara e dottore di ricerca dell’Università di Torino
in Filosofia del diritto e dell’Università di Paris XII
in Filosofia della conoscenza e Ontologia. Dopo il dottorato ha svolto
attività di ricerca presso l’Università di Losanna
e l’Università di Ferrara. Attualmente insegna Filosofia
del diritto presso l’Università Bocconi di Milano. Ha pubblicato
numerosi articoli e scritti su riviste di filosofia e letteratura. Ha
pubblicato tre raccolte di poesia: Suggestioni di poesia
(Officina Grafica S. Matteo, S. Matteo della Decima, 1993), 365-primo
(Liberty House, Ferrara, 1999), 365-secondo (Liberty
House, 2000). Ha pubblicato la silloge Logiche
e mancine nell’antologia Nodo Sottile 4 (Crocetti,
Milano, 2004) e un’altra silloge dallo stesso titolo nell’antologia
La coda della
galassia (Fara, Santarcangelo di Romagna, 2005). Con A. Melillo
e C. Sciaraffa ha pubblicato la plaquette San Giorgio e il Drago
(LietoColle, Como, 2005). Ha curato il volume Simboli in versi
(Editreg, Trieste, 2004). È redattore di Atelier,
rivista di letteratura.
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Su Conatus e
Aladar
di Alessandro
Ramberti
Conatus
è una Antologia di poesia contemporanea a cura di Lorenzo
Giuggioli e Simone
Molinaroli con Prefazione di Roberto Carifi. I poeti hanno stili
e rese diversi anche se mi pare predomini un certo sperimentalismo e
la poesia-racconto a volte con rancorosi autocompiacimenti sensuali
o con poco ironiche provocazioni. Credo che fra i poeti raccolti la
classe di Martino Baldi emerga in modo netto e assoluto, il suo raccontare
in versi ha mestria e espressività che lasciano un segno autentico
e durevole: "Fu un giorno memorabili / e nessuno se ne avvide"
(p. 23); "Non le parole nude resterenno / ma il labrinto di rughe
del tuo volto" (p. 27); "E invece non muore la memoria / sono
io che mi consumo a poco a poco / sulle strade di sempre" (p. 28).
Di altri autori mi hanno colpito versi sparsi: "Ogni forza occlusa
/ sprigiona un'opprimente debolezza" (Gianluca D'Andrea, p. 38);
"M'incanta l'idea soprendente / Che tutto dall'unghia alla mente
/ Non resta mai lo stesso" (Emanuele Fant, p. 57); "Ci muoviamo
– insetti indaffarati / in mattine arrivate come rughe" (Lola
Malone, p. 64); "venti giorni fa / è scomparsa l'aria. sarà
un compleanno in apnea" (Simone Molinaroli, p. 75); "Alla
fine ho deciso: faccio il trasloco / sgombero il corpo, quindi / mi
sfilo i neuroni / cavo gli organi e le ragnatele: / scivola in mattini
di cloroformio / lungo le arterie della città / un camion lungo
come un catetere" (Santi Spadaro, p. 123). Conatus
è un libro con oscillazioni (alcuni autori sembrano dover ancora
trovare un loro stile, una forma espressiva autentica e non episodica)
ma con frammenti che non si dimenticano.
Aladar
è una plaquette (Ass
Cult Press 2003) di Giuseppe
Cornacchia redattore di Nabanassar
un sito per la letteratura del terzo millennio occidentale. Autore molto
presente nel web, ad esempio nel sito di Chiara
De Luca e in quello di Gianfranco
Fabbri. La sua è una versificazione volutamente priva di
sofisticazione, e anche i suoi messaggi sono porti senza fronzoli, spesso
con un pi’ di sarcasmo e autoironia. C’è una fotografia
di sghembo (e rivelatrice per il taglio che mette in evidenza particolari
paradossali) della quotidianetà che sa raggiungere una efficacia
comunicativa illuminante e inquietante, adoperando una sentenziosità
priva di aplomb:
“ogni domenica mattina. Vado in chiesa / mi sento
come se / partecipassi dei fratelli / pur senza stare insieme.”
“Dammi un’amica prima che accada / Un mio
peccato.”
“Ti amo nel filo dell’anima”
“Gli uomini parlano e si gonfiano / Noi donne facciamo
fatti / E loro se ne accorgono.”
“Il modo di dire le cose / senza parole inutili
/ lo chiamo Poesia”.
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Quando finiamo di porci domande
di Drazan Gunjaca
È da mooolto tempo che non scrivo. Per scrivere ci vuole un
motivo almeno sopportabile. Io non ce l’ho più. Cerco di
capire se la perdita della vena corrisponde alla perdita di senso e
mi viene la pelle d’oca alla conclusione che nasce spontanea.
Quando tiro le somme e penso a ciò che l’attività
letteraria mi ha dato, vado in depressione e mi meraviglio di come dopo
ogni caduta finisco sempre più in basso, anche se ogni volta
penso di aver toccato il fondo. Pia illusione. Il fondo non c’è.
Non esiste. L’unica costante è il cadere continuo, con
sporadici e brevi momenti in bilico sull’orlo dell’abisso
esistenziale, e le ferite, sempre più profonde. Le cicatrici
non le conto più come facevo un tempo.
Infatti, che senso ha scrivere di tolleranza, umanesimo e argomenti
simili in un mondo in cui l’unico Signore è il denaro,
e tutto il resto sono mere illusioni per coloro che non ne hanno? Guardatevi
attorno e aprite gli occhi. Quale potente della Terra, formale o nascosto,
se ne cale dell’umanesimo se non è possibile guadagnarci
su? Non uno. Qualche volta i potenti se ne ricordano, se riescono a
capitalizzarci su a spese di coloro che quell’illusione l’hanno
creata. In effetti, una buona parte di noi vive di queste illusioni,
mentre loro ci campano sopra. E ovviamente, se la passano meglio di
noi. In tutto ciò dove mi trovo io e il mio ambiente circostante?
Mi pare che da queste parti scrivere per promuovere queste illusioni
rappresenti un tentativo inutile di dare senso al nonsenso. Suona troppo
metafisico? Cavolo, da queste parti è considerata un’offesa
al pubblico pudore. Mi aggrappo a una qualche illusioncina che riesce
a durare addirittura un paio di giorni. In certi casi anche una settimana,
sempre che non la prenda troppo sul serio.
Vabbè, ora voi vi chiederete: perché cazzo sto scrivendo
questo testo? Che colpa ne avete voi per dover sopportare questo mio
sproloquio? Nessuna. La colpa è di un mio amico, scrittore di
Belgrado, che mi assilla di continuo a scrivere qualcosa sul fatto che
ho ricevuto tanti premi letterari all’estero, mentre non ho avuto
alcun riconoscimento nel mio paese. La colpa è anche di Igor
Mandic´. Perché Igor? Perché evito, scampo come
ili diavolo dall’acqua santa, gli schermi televisivi straripanti
di trasmissioni orrende e di conduttori ancor più orrendi...
domenica pomeriggio, per caso mi trovo davanti allo schermo e dentro
c’è Igor... risorto dopo alcuni anni, con il nuovo libro
e con riflessioni al confronto delle quale le mie cadute negli abissi
esistenziali sono puro ottimismo... Ma, non finisce qui. Lui ha pur
sempre qualche annetto più di me, ha più esperienza ed
è quindi più consapevole delle cose presenti e future.
Sul passato è inutile spendere parole. Esso ha detto ciò
che aveva da dire in un modo tale che anche il più ritardato
degli asini ha potuto capirlo... A dire il vero, ciò non significa
che tutti hanno compreso ciò che è stato detto. Anzi.
Dunque, Igor. Il più grosso problema del buon uomo è che
non ha avuto sufficiente coraggio per suicidarsi. Ecco, mi ci voleva
proprio un tale approccio “positivista”. Se almeno facesse
lo sforzo minimo di impacchettare questo suo nichilismo in una confezione
dono, tanto da offrirmi la possibilità di trovare un centro di
gravità per il decennio che corre e fugge. Nisba! Dopo la sua
intervista, avrei voluto suicidarmi per entrambi. E sì che mi
piace leggere i suoi libri. Però, questa volta... questa volta
mi ha fatto a pezzi. Ah, dimenticavo di dire che il buon Igor è
una delle menti più eccelse della letteratura croata contemporanea,
il che è ragione sufficiente per tutti i mezzi di comunicazione
di massa per evitarlo a chilometri... Non ho idea di come sia riuscito
a “conquistarsi” quell’intervista in TV. Sarebbe stato
meglio sia per lui sia per me se anche questa volta fossero riusciti
ad evitarlo.
Ho tralasciato la risposta all’amico belgradese. In verità
è cosi semplice e palese che esplicitarla mi sembra fuori luogo.
Però, va bene, giacché sono partito, tanto vale giungere
alla meta. Quindi, perché non ho ottenuto alcun riconoscimento
nel mio paese? Alla domanda posso rispondere in «lingua docta»
o «in volgare». O in entrambi i modi. Prima rispondo in
«lingua docta»: Perché nel mio paese le idee e l'etica
che promuovo nelle mie opere sono oggetto di stigmatizzazione. Esse
sono accettabili a livello a condizione che non tocchino le nostre consuetudini,
il nostro patrimonio culturale pre- e post-bellico, che non coincide
con i proclamati traguardi paneuropei della nostra élite al potere,
ma che ha parecchi contatti con i mezzi con cui si vogliono raggiungere
questi traguardi...
Rispondendo «in volgare»: «Nessuno se ne frega della
tolleranza e dell'umanesimo.»
Tuttavia... Grazie, amico. Finché ci sarà almeno una persona
che si porrà la domanda ha senso andare in cerca delle risposte.
Quando finiremo di porci le domande, tutto sarà finito. Da tutti
i punti di vista. Sia reali che quelli metaforici. Però…
sempre questo piccolo dannato «però». Come un sassolino
nella più comoda delle scarpe. Pero', se ponete le domande dovete
essere pronti anche ad ascoltare e a vivere con e nonostante la risposta.
Drazan Gunjaca ha pubblicato
con noi Congedi
balcanici e Roulette
balcanica.
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Italia
di Corrado
Giamboni
Salirono per le terrazze, poi per altre scale. Lontano,
nello scorcio di mare, s’alzava, tra fiamme rosa, il mosaico della
sera. Entrarono nei vicoli. Ancora quattro passi, e anche la piazza
era percorsa. Non c’era anima viva. Sui sedili di pietra, qualche
foglia d’ulivo accartocciata. Due mani erose, e tagliate ai polsi,
si stringevano sulla lastra della fontana. Il paese un tempo, a dispetto
del nome, doveva essere abitato da gente mite.
La invitò a sedersi vicino a lui, sulla pietra levigata del sedile
che rilasciava lenta il calore accumulato durante il pomeriggio. Era
stata una giornata molto calda, molto estiva.
- Sei mai stata qui?
- Mai. È un posto molto bello.
- Ci venivo spesso da piccolo, con i miei nonni. Siediti. Dimmi chi
è Italia.
- Italia e Stella sono la stessa persona.
- Perché non me ne hai mai parlato prima?
- Non me la sentivo. Oggi però l’hai scoperto in quel modo,
al telefono... Credimi, non mi è facile parlarne...
- Non devi sentirti obbligata... Siediti qui.
- Camminiamo, preferisco camminare.
Lei si alzò, assecondando un rivolo d’aria che le turbinava
vicino.
- Quando seppi che ero incinta non riuscivo a rendermene conto. Mi ricordo
solo che cominciai a sognare ad occhi aperti… io e Attilio insieme,
con la nostra bambina… Invece poi, quando lo dissi ad Attilio...
- Come reagì?
- Come terrorizzato, non disse nulla. Mi ricordo che mi avvicinai per
accarezzarlo e lui si irrigidiva come spaventato. Quando mi guardò
mi ricordo che aveva gli occhi lucidi ma non piangeva. Uscendo mi disse
che ci saremmo visti più tardi o forse l’indomani. La cosa
che mi aveva più colpito, e ferito, era che non mi aveva detto
niente, non una parola. Ho aspettato una sua telefonata quella sera,
non ho mai aspettato nient’altro così. Alla fine lo chiamai
io, ma mi dissero che non era in casa. Di certo aveva una gran paura
della reazione di suo padre, e questa era sufficiente per toglierli
ogni forza.
Erano saliti sulla terrazza più alta, che svelava per intero
il panorama del mare con i puntini accesi e ammiccanti dei pescherecci.
Non era la prima volta che egli poteva ammirare e salutare il mare da
quella posizione, ma quella sera tutto ciò divenne scenario al
racconto della bambina che non sarebbe dovuta nascere. Stella. Italia.
- Non so come feci a tenerlo nascosto ai miei per così tanto
tempo: le nausee, i cambiamenti in me, finché un giorno, passato
il quarto mese, mia madre non mi fece la domanda diretta, e io le risposi
di sì. Fu un dolore per lei il fatto che glielo avessi tenuto
nascosto così a lungo. Mi strinse, e io le dissi che mi sentivo
una bambina che aspetta un’altra bambina. Io fin da subito ho
saputo che sarebbe stata una femmina. E pensavo sempre a quel nome,
Stella. Il problema però era che non riuscivo a immaginarmela
reale, nata in questa realtà, che le era ostile. Mia madre mi
teneva stretta, mi diceva di non avere paura.
- E tuo padre?
- Per lui ci è voluto più tempo. Mia madre aveva detto
che ci avrebbe pensato lei a dirglielo, e mi accorsi che era successo
quando lui mi evitò per un po’. Tra l’altro nello
stesso periodo gli avevano comunicato un trasferimento per lavoro, il
che comportava che avremmo dovuto seguirlo tutti, ancora una volta.
- E Attilio poi come ha reagito?
- Attilio non si faceva mai vivo, ero io a rintracciarlo per telefono.
E non erano belle telefonate, io non sapevo cosa dire, lui mi diceva
che non poteva parlare, che c’erano i suoi nell’altra stanza,
e che non sapevano niente, e che se l’avessero saputo l’avrebbero
ammazzato. Non usava mai questo termine, ammazzato. Comunque si allineò
subito con loro. Mi disse che avrei dovuto prendere delle precauzioni,
mi rinfacciò le cose alle quali avrei dovuto pensare io, non
parlava mai di sé. Poi tornava a dire che i suoi non avrebbero
dovuto sapere nulla. Avresti dovuto conoscerli i suoi, suo padre, l’ingegnere,
un uomo tutto d’un pezzo, uno di quei padri che fanno salire i
figli in macchina solo se si sono tolti le scarpe. Un uomo di successo,
molto in vista, e la moglie che lo assecondava in tutto. Io credo di
essermi innamorata di Attilio anche per quella sua insicurezza profonda
che si portava dentro.
- Un bel problema un nipote inaspettato.
- Un imprevisto da non prendere neanche in considerazione. Attilio aveva
finito la maturità e si sarebbe dovuto iscrivere all’università,
ingegneria, con lo studio del padre che lo aspettava. Anzi, si era già
iscritto. A lui del resto andava bene così. Al telefono continuava
a rispondere alle mie domande ripetendomele.
- Cioè?
- Io gli chiedevo: “E adesso?”, e lui: “E adesso cosa?”.
Oppure gli chiedevo della bambina e lui diceva: “La bambina cosa?”
Deserti i vicoli, appena illuminati anche quelli che riportavano alla
piazza della fontana. Il percorso del ritorno tante volte interrotto
per adeguarsi al ritmo del racconto. Egli, mentre ascoltava quella storia,
si rese conto di quanto poco conoscesse quella donna. Ed ebbe la sensazione
che l’amore a volte chiede di essere verificato con modalità
strane.
- Tu quanti anni avevi?
- Quasi sedici. Non sapevo che cosa fare, mi sentivo molto sola. L’unica
persona che mi ha sempre dato coraggio è stata mia madre. Mi
diceva di non avere paura, che ce la saremmo cavata tutti. Ma non aggiungeva
nient’altro di concreto. A volte quando io piangevo, e mi capitava
spessissimo, piangeva anche lei. Mio padre sembrava più distante,
sembrava addirittura compatirmi quando mi passava vicino e mi accarezzava.
- E tuo fratello?
- Mio fratello era troppo piccolo. Mi ricordo però che tutte
le volte che suonava il telefono mi gridava: “E’ per te!”.
Un raro passante, frettoloso, concentrato sui propri passi, ruppe l’isolamento
della piazza, animata solo dalle fonazioni amplificate dei televisori,
al di là delle finestre spalancate. Era una bella serata d’estate.
- Poi ci fu il mio compleanno, che tristezza, pochissimi gli invitati,
solo Rosa fra le mia amiche, e Attilio all’ultimo momento non
venne. Non mi ricordo neanche se mi fece il regalo. Mi ricordo però
che a un certo punto fui contenta che non ci fosse, davvero, ed ebbi
anche chiaro che potevo fare a meno di lui. Fu una grande liberazione
ed insieme un grande dolore, come uno strappo di crescita. Mia madre
continuava a dirmi che in qualche modo ce la saremmo cavata anche senza
di lui e la sua famiglia. Che nel frattempo era venuta a sapere, ma
non si era fatta sentire.
- Che triste, però.
- Poi un pomeriggio ci fu la telefonata dell’ingegnere. L’ingegnere
cercava mio padre, ma lui non c’era. Perché l’ingegnere
era il datore di lavoro di mio padre. Può dire a me, gli dissi.
Non perse tempo e mi disse che sarebbe stato meglio pensare all’aborto,
e che comunque, al di là di tutto, mi mettessi in testa che la
storia con suo figlio non aveva un futuro.
- E tu?
- E io niente, rimasi zitta. Capii che dovevo fare tutto da sola. Che
dovevo abortire me lo consigliarono in più di uno. Ero troppo
giovane, dicevano. Era stato un errore e non c’era che una soluzione
realistica, e che la soluzione veramente sarebbe stata il pensarci prima,
ma che ormai il male minore… Però io non ero convinta.
A volte mi sembrava anzi di essere felice, una parte di me non era mai
stata così felice, ma non lo dissi a nessuno, neanche a mia madre
che sempre più spesso piangeva anche lei. Non sapevo che cosa
fare ma sapevo che non volevo abortire.
- E alla fine è nata.
- Alla fine è nata, e tu l’hai scoperta in quel modo, mi
dispiace. Ma era stato così anche per me due settimane fa. Te
l’ho detto, l’avevo data in adozione che aveva pochi giorni.
Praticamente l’ho abbracciata appena nata, poi l’ho salutata
regalandola alla vita. Sai quella frase che dice che i nostri figli
non sono figli nostri, per me è stato così da subito.
Comunque, almeno era nata. Mi avevano assicurato che la famiglia l’avrebbe
trattata bene, e io ho cercato di chiudere in fretta quel capitolo,
di ripartire da zero. E’ stata dura, ma grazie anche ad alcune
persone ho ricominciato. E grazie anche a te. Poi la sua telefonata,
inaspettata. Sono Italia, ha detto, all’inizio pensavo fosse uno
scherzo. Ha voluto rintracciarmi lei, l’ha voluto come regalo
per il suo diciottesimo compleanno. Quando ho capito che era lei mi
sono sentita morire, di felicità. Ha detto che sa che io esisto
da quando ha dieci anni, e ha detto che vuole vedermi.
- E tu?
- Non lo so, sì che lo voglio, ma non so come reagirò.
E sai qual è la cosa più buffa? E’ che è
stata adottata da una famiglia di immigrati. E l’hanno chiamata
Italia. Credo avessero i nonni o i bisnonni italiani, e ora sono ritornati.
So che sono brasiliani, lei sa il portoghese e sa anche ballare benissimo,
e vuole fare l’insegnante di ballo. Io che non sono mai stata
portata per il ballo. Mi ha fatto impressione quando ha detto che ha
il fidanzato, ma in effetti se lei fosse stata come me, a quest’ora
io sarei già nonna.
Abbiamo
parlato molto al telefono.
Sì, ho molta voglia di vederla.
Stella Italia, sembra un po’il
nome di un albergo, no?
Corrado Giamboni
è scrittore
e, con l'eteronimo Massimo
Pensante, poeta: "Negli ultimi dieci giorni ho incontrato amici
a cui ho letto in pubblico cose che avevo scritto anche per loro; ed
era la prima volta. Ho incontrato Claudia Cardinale, esattamente. È
morto un mio amico e maestro, don Tullio Contiero. Non ho saputo realmente
spiegare a mio figlio perché un miliardario ha preso a testate
in mondovisione un altro miliardario, poiché è anche questo
o soprattutto questo che mio figlio si ricorderà dei Mondiali.
Queste cose hanno influito su di me negli ultimi giorni, più
altre, precedenti, che forse verranno fuori in qualche modo.."
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Su Corpo di guerra
di Lucilio Santoni
Stamperia dell’arancio, Grottammare (AP), 2002
di AR
13 fotogrammi poetici di un eccidio, seguiti dalla descrizione “filmata”
di un corpo violato, torturato, morente. Un libro privo di retorica,
e intenso come lo sanno essere le parole che vanno a toccare la verità.
Riportiamo alcuni frammenti la cui forza comunicativa (“com-munis”
in latino significa portare il peso assieme, condividere una responsabilità,
una carica) non ha bisogno di commenti:
“La luce d’oggi non lascia immaginare un poter
essere, né un essere presente, né un essere stato. Resta
solo uno scivolare verso il fondo, per cercare chi ancora non s’è
fatto ombra, silenzio puro.” (p. 11)
“I vostri occhi torneranno all’orizzonte,
per non vederlo, / in un inutile dolore sommerso dall’etnia della
polvere.” (p. 19)
“Non è giusto che le cose durino al lungo, / pensò
guardando il disertore che non voleva cadere.” (p. 21)
“e farò in modo che le tue opere vengano
in processione da me, nel mio corpo / che vuole risorgere e non importa,
no, nient’altro.” (p. 25)
“Giace con tutte le dita delle mani slogate. Gliele
avevano ritorte e quasi frantumate affinché non potesse usarle
per difendersi, per scacciare da sé quegli orrendi soldati resi
goffi dai pantaloni abbassati, simili a pinguini in calore. Giace lei,
ora, legata al suolo da filamenti di sangue e liquidi organici.”
(p. 38)
Su questi testi è stato realizzato un CD
del Manifesto
Lucilio
Santoni ha tradotto da Melville, Stevenson, Lorca. Coordinatore
della Scuola di Scrittura Moby Dick, ha diretto la collana video Poeti
Marchigiani Contemporanei. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo
Dopo le orde dei numeri (N.C.E., 1991), Il guerriero
fantasioso (Clueb, 1993), Apologia del perdente
(Guaraldi, 1995).
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Due poesie
di Fabrizio
Centofanti
poetica cinetica
dicono che il suono dell'arpa
sia segno di poesia, ma in altre corde,
che turbano il sonno di mezzanotti fonde,
oscurità dormienti di tormenti legati
a respiri, a incanti, il poeta si riposa,
come protesta contro la lira stanca,
l'arpa che sbanca nei divani
di trepide signore, le teste appesantite
da millenni di biscotti in polvere.
terre emerse
sognare è sapere, dicevi, per questo
dormire è cambiare, vedere fanali improvvisi,
su strade d'azzurro. il palazzo ha un giardino
di pietra, cancelli melodici chiudono
ritmicamente la via.
sapere, trovare il guardiano che grida
da porte di ghiaccio.
è solo la luce, pensavi, che fende,
che scricchiola piano, la tenebra
il tutto che illumina,
invano.
Fabrizio
Centofanti è laureato in Lettere moderne con una tesi su
Italo Calvino. Sacerdote diocesano a Roma dal 1996, opera soprattutto
nel campo della spiritualità e dell'approfondimento della Sacra
Scrittura. Ha pubblicato due volumi su Calvino e Rebora, oltre a numerosi
saggi e articoli di natura letteraria. Nel 2005 è uscito il volumetto
Le
parole della felicità (Laurus Robuffo).
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Frammenti del Riccardo
III di Shakespeare
tradotti da Massimo
Sannelli
GLOUCESTER
Oggi l’inverno del nostro scontento
diventa gloria nel sole di York.
Le nubi che oscuravano la Casa
stanno, morte, nel seno dell’oceano.
Ecco alle tempie i segni del trionfo,
e le armi trasformate in ornamenti,
e i nostri allarmi tetri in dolci incontri,
le brutte marce in danze di piacere.
Ora il dio Marte rilassa lo sguardo;
perché non vola sui cavalli ornati
per atterrire l’altra schiera, e ora
si atteggia piano in camere di donna:
Marte asseconda qui il liuto lascivo.
Ma io non sono nato per gli svaghi
né per servire lo specchio amoroso.
Mi ha fatto un rude stampo; senza grazia
che vada dietro ai fianchi di una ninfa,
io che non ho la bella simmetria
e in cui Natura ha fabbricato l’uomo
al contrario, deforme e non finito,
mandato dentro il mondo che respira
con mezzo corpo appena, cosa storpia
odiata anche dai cani – benché cane.
Nel tempo della pace effeminata
la mia sola delizia è la mia ombra:
perché ne osservo la deformità.
Poiché non sarò mai il buon amante
che sa parlare con i giorni miti,
io decido di agire da cattivo,
per l’odio contro l’ozio del bel tempo.
E ho tramato intrighi e altri pericoli
piegando profezie, calunnie e sogni:
tra re Edoardo e Clarence mio fratello
dovrà nascere l’odio; e se Edoardo
è buono e giusto quanto io sottile
e traditore e falso, oggi Clarence
entrerà in una cella: è stato scritto
che un certo “G.” ucciderà gli eredi
di re Edoardo. Giù, pensieri, giù!
Fino all’anima, giù! Arriva Clarence.
GLOUCESTER
Non può vivere. E non deve morire,
prima che George non sia volato al Cielo.
Andrò da lui, per eccitarlo ancora,
in odio contro Clarence, con calunnie
fasciate bene di argomenti seri.
Se l’idea riuscirà, a Clarence resta
solo un giorno di luce; e il giorno dopo
il Dio pietoso accolga re Edoardo,
e lasci a me la fatica del mondo.
Voglio anche sposare l’ultima figlia
di Warwick. Importa che abbia ucciso
io suo marito e suo padre? Per farmi
scusare le sarò marito, e padre.
Voglio questo: senza l’amore vero
e per un altro fine, che io raggiungo
con questa unione… Ora corro troppo!
Clarence respira ancora e il re è re:
ma, appena andati, conterò il mio avere.
ANNA
Lasciate l’alto carico
(se una gloria può stare
racchiusa nel sudario).
Lasciatelo! Io dirò
il lamento del santo
Làncaster, morto presto.
Povera Forma nuda
del re sacro, grigia ombra
della Casa di Làncaster,
reliquia senza sangue
del sangue del mio re:
sia giusto che io chiami
la tua anima, io povera
Anna, che fu la sposa
di Edoardo, ucciso,
che fu tuo figlio, ed una
sola mano vi perde.
Nelle stesse finestre
da cui uscì la vita
cola il balsamo vano
dei miei poveri occhi.
Maledetta la mano
che fece questi tagli;
maledetto lo spirito
che volle osare tanto;
maledetto ogni sangue
che sparse questo sangue.
Sopra l’odiato autore
della tua morte, cada
una sorte peggiore
di quella che io voglio
per i serpenti e i ragni,
i rospi ed ogni cosa
velenosa che vive.
Suo figlio sia un osceno
aborto innaturale,
e distrugga ogni grazia
a sua madre, e sia erede
della stessa rovina.
Sua moglie sia distrutta
dalla morte di lui:
più distrutta di me
tra il mio re e il mio signore.
E ora andiamo a Chertsey
insieme al sacro carico
che viene da San Paolo,
e lì sia seppellito.
Fermatevi, se il peso
vi ha stancati: mentre
su questo corpo io piango.
IL FANTASMA DI ANNA
Riccardo, la tua sposa,
la disgraziata Anna,
la tua sposa non ebbe
con te una sola ora
di pace: e colma ora
di mostri il tuo riposo.
In battaglia, domani
pensa a me, sii senza
la tua inutile spada,
dispera, muori!
E tu
anima quieta, Richmond,
dormi sereno, sogna
il successo e il trionfo:
per te la moglie del nemico prega.
GLOUCESTER
Datemi un altro cavallo! curatemi!
Gesù, pietà di me… No, era un sogno.
La fiamma brucia, è blu. La notte è piena.
Sulla carne che trema sudo freddo.
E ho paura? Paura di me?
Sono solo. E Riccardo ama Riccardo:
io sono io. C’è un assassino? No.
Sì: io. Allora fuggi. Da me stesso?
La vendetta è migliore? Io su di me?
Ma io mi amo. Perché? Per qualche bene
che io mi sono dato? Veramente
odio me stesso per i delitti e l’odio.
Sono un uomo cattivo. Non è vero!
Parla bene di te, pazzo; e, da pazzo,
non ti gonfiare. La coscienza ha mille
lingue, ogni lingua ha una storia diversa,
ogni storia mi chiama criminale.
Il giuramento rotto e l’omicidio
più crudo, ogni peccato in ogni grado,
vanno alla sbarra e gridano: «colpevole,
colpevole». Da ora in poi non spero nulla.
Non ho l’amore di nessuna anima,
né la pietà del cuore, se muoio oggi.
E mi è dovuta? Io stesso non la trovo,
qui in me. Prima, sembrava che ogni anima
di ogni ucciso fosse in questa tenda:
giuravano vendetta, sul sangue di Riccardo.
Massimo Sannelli
(qui sopra con Chiara Daino in uno spettacolo su Emily Dickinson)
vive e lavora a Genova. Scrittore, traduttore e critico, è in
uscita il suo Philologia
Pauli. Il corpo e le ceneri di Pasolini, con una prefazione di Gian
Ruggero Manzoni e l'aggiunta di un poemetto-improvviso. La traduzione
di frammenti di "The Tragedy of Kink Richard the Third" di
Shakespeare è stata commissionata dall'attrice-autrice Chiara
Daino e dal regista e attore Roberto Bobbio, per uno spettacolo nell'autunno
2006. I suoi siti personali sono www.microcritica.splinder.com
e www.sequenze.splinder.com
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Mistica fedeltà
vs idolatria dell'istante (omelia, cattedrale di Prato)
di Bernardo Francesco
M. Gianni
Luce gloriosa della gloria santa del Padre immortale,
celeste, santo, beato, o Cristo Gesù!
Giunti al tramonto del sole, scorgendo la luce della sera, cantiamo
il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, Dio.
Tu sei degno in ogni tempo di essere celebrato da voci sante. Figlio
di Dio, che doni la vita, per questo il mondo ti dà gloria!
Carissimi e carissimi dell’amata chiesa che è
in Prato,
In quest’ora vespertina che è di incontenibile emozione
per il mio cuore, non ho altra ricchezza da offrirvi che questa sublime
e antichissima glorificazione della divina trinità che proprio
24 ore fa, al calar del sole, nella cattedrale di Firenze, il patriarca
ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I cantava nella mirabile liturgia
bizantina dei vespri.
Vorrei far iniziare da questa lode donataci dalla tradizione orientale
il mio ringraziamento (la mia eucaristia) al Signore e a tutte le membra
della Chiesa di Prato, a iniziare dal suo venerabile e sapiente Padre,
l’amatissimo Vescovo Gastone che mi onora di questa immeritata
accoglienza qui, presso la Sua autorevole ed ascoltata cattedra episcopale,
qui presso le spoglie venerate del Suo predecessore il mai dimenticato
Vescovo Pietro, qui in questa stupenda basilica cattedrale che, custodendo
da secoli la veneratissima Sacra Cingola della Beata Vergine, appartiene
non solo alla gente di Prato ma anche alla chiesa intera, anzi vorrei
dire a tutte le diverse chiese, e in specie proprio alle chiese orientali,
le chiese della comunione ortodossa così devote di Maria Santissima
Madre di Dio.
Sono profondamente grato alle diverse, tantissime membra della chiesa
pratese per la fervida intercessione con cui tutti voi, in parrocchie,
in comunità religiose, in tante famiglie, avete accompagnato
e sostenuto me e il mio confratello don Stefano in questo recentissimo
dono di immensa grazia che è il nostro ministero ordinato, dono
che è grande responsabilità sia verso il Vangelo di Cristo
sia verso tutto il popolo di Dio e come tale: responsabilità
bisognosa di essere assunta con il sostegno misterioso ed efficace della
preghiera di tutti coloro che – come voi – hanno a cuore
il vero bene della chiesa e della credibilità della sua testimonianza
di amore di fede e di speranza nel nostro mondo
Con risoluta e umile dedizione vorremmo infatti contribuire ad una abbondante
fecondità di frutti nella vigna che il Signore ci ha voluto affidare.
In questo senso ognuno di noi ha ascoltato oggi una parola assai impegnativa
ma anche consolante da parte del Vangelo di Giovanni. Nella tradizione
dei profeti la vigna era infatti la suggestiva immagine con cui si evocava
il popolo d’Israele; un popolo però che tradendo la parola
di Dio e dedicandosi all’idolatria lasciava morire i vitigni genuini
donati dal Signore per trasformarsi in tralci degeneri di vigna bastarda,
come con severa enfasi accusava il suo popolo il profeta Geremia. Fratelli
e sorelle ci sia di grande consolazione sapere che questa vigna è
divenuta lo stesso Signore Gesù: egli è la radice vitale,
fedele e immortale di questo nuovo popolo, di questo nuovo Israele,
di questa nuova vigna che è la chiesa: non tuttavia per questa
gratuità di amore non dobbiamo sentire interpellate la nostra
libertà e la nostra responsabilità: vi è infatti
una decisiva condizione per fruttificare in questa nuova vigna: saremo
tralci capaci di portare frutto se rimarremo in Gesù: rimanere
è un mirabile verbo molto caro a Giovanni, il discepolo prediletto:
questo verbo bene esprime la perseveranza e la dedizione fiduciosa e
del discepolo che non vuole mai scostarsi dal petto ardente del Suo
maestro e al contempo l’amorosa fedeltà del nostro Signore
Gesù che con piena reciprocità ci dice che “chi
rimane in me e io in lui fa molto frutto”.
Dopo molti secoli sono certamente cambiate le idolatrie che tanto facevano
arrabbiare i profeti e tanto rattristavano il Signore Iddio: “rimanere
in Gesù” , un verbo che esprime una mistica fedeltà
che dobbiamo assumere nella nostra vita quotidiana, è un impegno
che ci deve vaccinare da altre seducenti idolatrie: giusto pochi giorni
in un importante quotidiano nazionale il filosofo francese Marc Augé
metteva in guardia dalle cosiddetta dittatura dell’incerto presente,
questa sorta di idolatria dell’istante, del presente, del contingente.
Essa sgretola due dimensioni fondamentali del cuore credente, la memoria
e la speranza, che sole aprono all’eternità, al gusto,
alla passione, alla fatica di aprire il cuore all’eternità,
un cuore memore dei benefici ricevuti e aperto alla speranza di un futuro
pienamente in Cristo.
Rimanere in Gesù significa dunque educare il cuore a passioni
e a desideri che assomigliando al Signore e alla sua parole hanno in
sé il gusto e l’esigenza dell’eternità, una
eternità beninteso che non si astrae mai dalla nostra storia
ma nella verità si fa carità operosa e concreta: abbiamo
infatti ascoltato dalla prima lettera di Giovanni questa bellissima
esortazione che deve diventare la specialità di ogni credente:
figlioli non amiamo a parole, né con la lingua, ma coi fatti
e nella verità: la verità che è la Rivelazione
dell’amore del Padre che viene narrato dal Signore Gesù,
i fatti che sono quella capacità permanente , austera e perseverante
di rimanere fedeli , di rimanere costantemente vicino alle esigenze
forti di amore, perdono e riconciliazione che sono proprie del Vangelo.
Questa logica non è la logica del mondo: non a caso il Vangelo
ci ricorda che per amore il Vignaiuolo pota non solo i tralci che non
fanno frutto, ma anche quelli che fruttificano perché possano
fruttificare ancora di più. Questa è la logica paradossale
del Vangelo di Cristo, ma potremmo dire di più: dell’intero
mistero pasquale , paradosso di una morte su di un legno secco e severo
che è la croce ma che in forza dell’obbedienza misteriosa
del Figlio e dell’amore del Padre diventa albero fruttifero di
vita nuova.
Il grande scrittore francese Léon Bloy sintetizzava con efficacia
questo paradosso: “O Cristo che preghi per quelli che ti crocifiggono
e crocifiggi coloro che ti amano.”
Fratelli e sorelli sappiate sempre, nell’ora oscura della sofferenza,
quando i vostri cuori conoscono soltanto la lama della cesoia, che l’amore
fedele del Padre non mancherà di trasformare in fecondità
l’apparente sterilità del vostro dolore: coi vostri patimenti
completate ciò che manca alla sofferenza di Cristo e con la vostra
fede paziente e perseverante educate il vostro prossimo a rimanere in
Cristo, ad attendere con lui e da lui frutti di una nuova primavera
di risurrezione, dopo essere stati uniti alla morte di Cristo stesso,
nell’inverno di questo mondo e del tempo presente, come con grande
suggestione scriveva Origene.
Del resto ci conforti la stessa paradossalità che ritroviamo
nel brano degli Atti degli apostoli: Paolo corre il rischio di essere
ucciso dagli ebrei che lui voleva convertire e tuttavia subito dopo
l’apostolo Luca osa scrivere che la chiesa era in pace per tutta
la Giudea, essa cresceva e camminava nel timore del Signore, colma del
conforto dello spirito santo. Lasciamo dunque dilatare dallo spirito
santo il nostro cuore sovente incerto, dubbioso e pauroso, tante volte
ragionevolmente sofferente eppure capace ancora di lasciarsi stupire
dalla fedeltà di Gesù, dalla sua presenza che è
radice vitale ed efficace di frutti stupefacenti di vita nuova, di perdono,
di amore.
Ve lo posso testimoniare giungendo oggi da quel piccolo laboratorio
di speranza che è ogni piccola comunità monastica, scuola
di carità, di riconciliazione, di perdono, di conversione.
Dalle finestre del mio monastero, dalle grandi porte della nostra basilica
ogni giorno non posso non volgere lo sguardo sulla pianura che si distende
ai piedi della collina: so che là tutti voi vivete, tutta la
nostra città di Prato si lascia abbracciare dalla terrazza di
San Miniato, e sono ad assicurarvi e in primo luogo ad assicurare il
padre vescovo Gastone che ogni sera guardando il sole che tramonta oltre
le colline del monte albano, scorgendo le ombre della sera, invoco per
tutti voi un nuovo oriente, una rinnovata luce di vita nuova, quella
che solo ci sa donare il nostro Signore Gesù, radice verace,
feconda e vitale di tutta la storia dell’uomo. Amen
Bernardo Francesco
M. Gianni è nato a firenze il 28-xi-68. Laureato in Lettere
antiche su un testo umanistico di Coluccio Salutati, entra in monastero
nel 1996, a San Miniato al Monte. È monaco benedettino olivetano,
professo perpetuo dal 2001, "prete" dal 2006. Per contatti:
Abbazia di San Miniato al Monte
Le Porte Sante, 34 – 50125 Firenze
tel. 055.234.27.31 - fax 055.234.53.54 - mail: sanminiato@tin.it
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In una rete di linee che
s’intersecano: La simmetria imperfetta
di Luigi Metropoli
Il prisma scompone la luce, ne restituisce colori fulgidi,
abbaglianti densità cromatiche che accarezzano la materia, rivelandone
inaspettati particolari, sorprendenti trompe l’oeil.
Johan Thor
Johansson non è Alessandro Ramberti, ne è solo la
proiezione fantastica, l’imperfetta simmetria dell’uomo.
È il suo trompe l’oeil, la mistificazione che aleggia con
la fantasia.
Johan Thor Johansson mostra un mondo in cui l’inverosimile (con
la sua portata rivelatoria) è un aspetto piuttosto consueto del
reale, ne è la prospettiva più autentica (inautentica?),
quella che si avvicina al vero (al falso?). Così i giochi prospettici
e i rovesciamenti evidenziano le sfaccettature segrete delle cose nonché
i recessi più remoti di noi stessi (Johan Johansson è
Alessandro Ramberti nella sua realtà parallela, forse il prodotto
di un’allucinazione davanti allo specchio).
Il protagonista della storia è egli stesso uno che cerca (“ein
Suchende”, potremmo dire, per entrare immediatamente in area germanica),
all'interno del suo essere e agire, in relazione a ciò che accanto
a lui accade e a chi accanto a lui vive.
Allora eccoci nel cuore del libro in cui specchi, labirinti si moltiplicano
all’infinito, rimandando a nessun altro che a se stessi: lasciano
scappar via il senso, quasi in una dimensione borgesiana e combinatoria
(La√ è il titolo speculare di alcuni capitoli
del libro), di letteratura al quadrato. Poi la grotta e la scalata impervia
di una montagna, tipici topoi romantici della letteratura tedesca, situazioni
da viandante goethiano verso lo Harz o di discesa nella profondità
della terra (ma leggiamo: anima), tipica di quegli straordinari poeti-scrittori
tra Weimar e Jena, nei quali misticismo e contemplazione misterico-alchemica
della natura si fondono (alcune atmosfere ricordano racconti come Der
Blonde Eckbert di Tieck, esperienze mistiche che rimandano alla
formazione “esoterica” di un novalisiano Heinrich von
Öfterdingen).
In più risulta fortemente straniante l’ambientazione: l’Islanda,
che naturalmente riporta alla mente i Canti dell’Edda,
esplicitamente citati nel libro; con le sue divinità pagane,
le enigmatiche kenningar che muovono ad un senso altro delle cose; con
i suoi ghiacci che nascondono incandescenti fluidi magmatici (e affiora
alla mente Hebbel che riassume allo stesso modo, nei suoi diari, l'unicità
dell'Hekla, il vulcano di ghiaccio dell'isola).
Tuttavia non è solo letterarietà quello che brilla ne
La simmetria
imperfetta, ma anche una serie di vicende ed esperienze alle quali
l'autore attinge e che fanno parte del vissuto del Ramberti uomo: l'avventura
giovanile di scout che lo hanno condotto ad un confronto con la natura
(scalate di rocce e escursioni per grotte), i viaggi per studi e ricerche:
letteratura e vita, anima ed esattezza.
Ancora una volta, dunque, i riverberi della letteratura sulla vita e
i riflessi di quest'ultima sulla prima.
Nell'intera vicenda si cala, senza il minimo contrasto, l’anima
profondamente cristiana dell’autore (ma chi dei due? Alessandro
o Johan?) ed emerge prepotentemente l’aspetto etico-religioso
di tutto il libro (ne siano testimonianza le citazioni di Confucio,
dal Paradise Regained di Milton, la carità
“paolina” che chiude il libro) tale da rendere la fiaba
una parabola morale.
Nell'intreccio di una letteratura autenticamente naturale, popolare,
primitiva, ingenua (tanto per restare ad un romanticismo tedesco di
marca schilleriana) con la controparte ”sentimentale”, con
il massimo di artificio risiede la ragione dell'opera, così come
dall'incontro di una nordica tensione speculativa e di una mediterranea
genuinità religiosa germoglia l'orientamento etico che ne sottende
la funambolica architettura.
Così tra il linguista islandese Johansson e il linguista mancato
Ramberti (per sua stessa ammissione: e si vedano a tale proposito gli
intarsi linguistici che popolano il racconto, anche a mo' di chiave
enigmistica dell'opera) si crea la sottile continuità, l'imperfetta
simmetria, dello scrittore-moralista che vede la letteratura come “etica
al quadrato”.
Luigi Metropoli
è nato nel '79 in provincia di Salerno. È il più
tipico prodotto dell'italica
precarietà, specie in area meridionale: sta svolgendo uno
stage presso il proprio comune di residenza come collaboratore di un
assessorato, collabora con un consorzio sociale, all'occorrenza impartisce
lezioni private e, nel tempo libero, si tiene occupato con un dottorato
in italianistica, naturalmente senza borsa. Tutto nella massima indeterminazione
economica. Essendo, pertanto, fuggiti tutti gli dèi, i santi,
i protettori e i navigatori si autodefinisce agnostico, latouchiano,
utopista e cuoco. Ha solo tre attitudini: leggere poesie, vedere film
il più possibile introvabili e inguardabili (è un inguaribile
frequentatore dei notturni salotti ghezziani nei fuori-orario della
tv) e, in ultimo, bere vino (con conseguenti elucubrazioni sul prezioso
nettare, noiose e sfiancanti per i poveri malcapitati che ne subiscono
l'ascolto). Nessuna delle tre è utile alla propria vita lavorativa,
ma in compenso esercitano gravi ripercussioni sull'attività del
proprio fegato. Gestisce il blog www.vocativo.splinder.com,
collabora con il blog di (divulg)azione poetica LiberInVersi,
scrive astrusi articoli enologici per l'e-zine Collettivo Soda.
Per chi fosse interessato al suo curriculum la sua mail è fosfeni@hotmail.com
(il numero di cellulare non ve lo dà solo perché non è
in grado di parlare al telefono).
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