Intervista a Giuseppe Callegari
autore dell'Amore si sporca le mani
Chi è Giuseppe Callegari, puoi dare una descrizione di
te stesso in poche righe?
Fin da piccolo ho sempre scelto di stare dalla parte del più debole.
Quando vedevo due persone che litigavano istintivamente mi mettevo dalla
parte di chi ritenevo fosse più in difficoltà. Odio i luoghi
comuni e l’ipocrisia travestita da mediazione. Amo la relazione
schietta e diretta mettendo in conto che può provocare anche dolore.
Non amo la tecnica da quando è diventata padrona del mondo: non
ho il cellulare e ritengo che gli sms sanciscano la fine della comunicazione
fra gli esseri umani. Infatti, come dice Baudrillard, il diritto sancisce
la diseguale distribuzione di un bene. Fino a cinquant’anni fa non
si parlava di diritto all’aria pura perché ce n’era
a disposizione per tutti. Nello stesso modo il cellulare, con i messaggini,
dando la falsa idea di poter essere dappertutto in qualsiasi momento,
rende l’uomo orfano del territorio in cui concretamente dovrebbe
vivere.
Il tuo scrivere risponde ancora alle stesse domande o ha il desiderio
di trovarne di nuove?
Scrivo soprattutto per me stesso perché il foglio rappresenta
un modo per passare dal soliloquio al colloquio. Da questo colloquio interpersonale
si sviluppano poi i rapporti e le relazioni con le persone, le cose e
gli eventi della vita quotidiana. Non a caso, parecchie volte, mi è
capitato di modificare la mia rappresentazione del mondo come conseguenza
delle relazioni quotidiane.
La scrittura è anche confessione ma non è certo la tua una
rivelazione ombelicale: come si possono attirare i lettori distratti,
come fargli capire che conoscere è anche un modo di essere più
liberi?
Il libro è un modo per conoscere sé stessi e le proprie
caratteristiche. Ho finito a fatica di leggere Cent’anni di
solitudine perché troppo lontano dal mio modo di vedere e
di sentire. Ritengo che la lettura debba assolvere proprio il ruolo di
monitor e non c’è bisogno di leggere Tolstoj e Dostojevskij–
anche se sarebbe auspicabile – anche Dago o Nippur, due fumetti
che appaiono su Lancio Story, possono permetterci di sviluppare questo
percorso.
A chi consiglieresti in particolare la lettura del tuo libro?
Consiglierei il mio libro, sicuramente, a chi mi conosce, ma anche a
chi desidera leggere una carta d’identità non contraffatta,
frutto di un dialettico interscambio fra il foglio di carta e la vita.
Quali sono stati i tuoi autori di riferimento? Sono cambiati
nel tempo?
Amo tantissimo Joseph Roth – ho letto tutto di lui – che
con una frase riesce a rappresentare l’universalità del particolare.
Mi viene in mente "è più facile morire per il popolo
che vivere con i popolo", parole pronunciate dal protagonista de
Il profeta muto. Per decine di volte ho riletto La Ribellione
e Giobbe. Anche un bellissimo libro, come Reparto N. 6
di A. Cechov è di una incredibile attualità.
Fra i poeti voglio citare un nome poco conosciuto: Umberto Bellintani,
mantovano di S. Benedetto Po. Il torrente Che Guevara e Poi
fu la luce immensa sono, secondo me, pietre miliari nell’ambito
della poesia, non solo italiana.
A cosa stai lavorando per il futuro?
Per adesso insegno, e la cosa mi occupa e mi appassiona tantissimo, lavoro
nell’orto con i miei cani e mie gatti. Per il futuro sarà
"il giorno dopo giorno" ad indirizzarmi e a consigliarmi.
(Fara Editore, autunno 2004)
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