Intervista a Simone Mazza autore deLa camera maledettaPerché scrivere racconti per ragazzi quando sono così pochi a leggerli (se escludiamo le grandi saghe con versione cinematografica)? Per lanciare un messaggio, per fornire uno svago alternativo? Forse solo per inclinazione professionale, dal momento che svolgo la professione di insegnante e mi sembra importante incentivare il gusto dei giovanissimi per la lettura; a parte questo, anche se la fascia dei teen-ager (12-19 anni) resta piuttosto scoperta rispetto alle attenzioni della letteratura, si sta dimostrando anche piuttosto ricettiva, se seriamente motivata. Comunque, non parlerei di "missione culturale": mi sono riproposto solo di cimentarmi su un genere che potesse destare interesse per quel pubblico, senza scendere a livelli piuttosto infantili o scontati. Il genere scelto (noir psicologico) può realizzare bene questo obiettivo? Non necessariamente meglio di altri generi; tuttavia trovo che vada rivalorizzato, perché ha un fascino "tipico" e che si presta alla trattazione di tematiche peculiarmente adolescenziali, come l’indagine di sé e degli aspetti della realtà più nascosti e trasfigurati dai propri stati d’animo, i propri pregiudizi, le proprie paure. Come ti sei avvicinato alla scrittura e quali sono state le letture fondamentali, quelle che poi ti hanno spinto a scrivere in prima persona? Sono un lettore piuttosto onnivoro: amo i classici della letteratura (classica e moderna, poesia e prosa, italiana e straniera), ma anche scrittori contemporanei meno tradizionali; mi ispiro anche a testi di canzoni o sceneggiatori di fumetti. Sono un appassionato di fiabe popolari. Leggo moltissimi saggi (psicologia, arte, antropologia, storia, filosofia, religione…). Per questa raccolta, potrei dire che le mie muse sono state Poe, Hodgson, King, Howard, Lovecraft, Quinn, Wellman, Conan Doyle, ma anche Bradbury e Sacks. E a proposito dello stile? o dei contenuti? Come ti vedi e come pensi di essere visto? Cosa puoi dire di te a chi sta leggendo questa interivsta? Faccio molte cose e molto diverse: il mio stile risente di questa versatilità (ma forse di più in altre opere su cui sto ancora lavorando); non so se questo mi agevoli nell'acquisizione di una "identità" come scrittore, d'altra parte si dice non esista più la letteratura di "genere". La realtà di oggi è troppo complessa perché l'arte non sia anch'essa molto "contaminata": uno stile "semplificato" non potrebbe reggerne l'urto o sostenerne un'interpretazione plausibile. Oggi lo stile deve essere come i personaggi che sono rappresentati: complessi, ambigui, lunatici, schizofrenici. Devi avere sempre una gamma di opzioni, come in un ipertesto. Nella mia narrazione c'è descrizione e interpretazione, superficie e approfondimento, visione e allegoria. Le storie di questa raccolta - come credo la nostra vita - sono piene di fantasmi, ma questi, più che spaventare, invitano all'introspezione e all'indagine di ciò che c'è dietro lo specchio o l'apparenza delle cose. Questa indagine ha una soluzione finale? Ne La camera maledetta c'è il tentativo di "risolvere" ed emerge il debito che ho con la letteratura gialla classica (ancora Doyle, poi Christie, naturalmente; ma anche Resnicow e Hoch). Ma il noir prevale sempre sul giallo, perché, anche se esiste sempre un problema e un'indagine, è evidente da subito che si tratta di situazioni senza soluzione e alla fine non si sa mai se si è ancora dentro o fuori dall’incubo. Per chi pensi la tua narrativa possa essere particolarmente interessante? Per coloro che pensano che l'animo umano non sia solo un mezzo di conoscenza, ma, al contrario, l'oggetto prediletto dell'indagine, un'inesauribile fonte di occasioni di conoscenza. (Fara Editore, novembre 2006) |
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