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Il libro
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William Stabile
Contrappunti e tre poesie creole
recensione di Emilia
Dente
Cammino scalza nella selva intricata delle parole di William
Stabile. Calco incerta, in precario equilibrio, le orme dei pensieri
impresse sulle spiagge bianche dell’anima e nel tortuoso cammino
inciampo tra grovigli di figure e situazioni, abbagliata da lucenti, meravigliosi
paesaggi. È un tragitto avventuroso questo sui passi del poeta
viaggiatore. Egli però tende subito la mano all’amico lettore
confidandogli presto, nella varietà dei toni e degli umori, la
trama ed il tessuto fine delle sue esperienze di viaggio. Un viaggio reale
e spirituale, impegnativo, sincero, audace. Il coraggioso peregrinare
fuori e dentro di sé, il solitario percorso del viandante inquieto
per le vie dei sensi, delle percezioni e dei sentimenti, nei boschi ombrosi
delle emozioni e nei lidi assolati di paradisi esotici e lontani. Il viaggio
è la dimensione naturale di William
Stabile, l’essenza autentica, il respiro profondo. È
la non-permanenza, l’espressione dinamica della ricerca, l’istinto
irrinunciabile all’osservazione partecipante, all’immedesimazione,
alla conoscenza empatica, alla condivisione umana.
William
riflette la sua immagine nelle storie e nelle persone e lascia che esse
si riflettano in lui ed attraversino la sua scrittura mediandole poi al
lettore nei colori vividi che le sue creative potenzialità linguistiche
gli consentono. Il poeta si trasfonde negli esseri animati ed inanimati
che lambisce nel cammino e, ingordo della vita, mai sazio, curioso e tormentato
continua a sussurrare “lasciami essere il granello di polvere nel
vento… lasciami essere la grinza sul guanciale scomposto…
lasciami essere la valle del tuo corpo… lasciami essere come non
sarai mai.”
Misteriosa capacità di frangersi nelle minuzie, di liquefarsi nella
libertà dell’acqua, di perdersi e ritrovarsi nella ricchezza
dell’incontro e nel confronto sereno in cui egli si nutre dell’alterità.
È la forza di riconoscersi Creolo, di essere Creolo laddove, nelle
argomentazioni di Jean Bernabè, Patrick Chamoiseau e Raphael Confiant
la creolità è “una specie di involucro mentale al
cui interno (noi Creoli) costruiremo il nostro mondo nella piena consapevolezza
del mondo” e laddove l’Autore stesso, nell’intervista
di Luigi
Metropoli, riconosce questa condizione come “un moto interno,
il veicolo di espressione del mio essere poeta nel mondo, di trasformarmi
ogni volta in un uomo nuovo”. Nella lirica “Nodi” egli
vigorosamente sostiene “Ho trasformato. / Ho variato suoni e / melodie
/ mischiato umori. / Ora sono Creolo. / Colui che Creolo / dalla natura
nasce e torna. / E allora Creolo, sì /Creolo voglio essere!”,
rivelando con l’appartenenza creola pure il legame fortemente radicato
con la natura, intima cornice e rocciosa essenza del suo essere.
Altrove poi, in quelle “Lettere dall’Asia” nelle cui
pagine ho inseguito l’uomo e lo scrittore Stabile, per meglio conoscere
il poeta, egli poi dichiarerà risoluto:” È compito
dell’Uomo Creolo tenere alta la guardia”, manifestando la
responsabilità del diverso sentire, la lucida consapevolezza della
necessità di agire e ribellarsi pure raccontando,testimoniando
il malessere dell’Uomo Invaso, del Povero Uomo irretito nelle maglie
strette del consumismo e della società massificata e corporativa
in cui l’individuo, l’individuale e gli ideali soffocano tra
mura di cemento. “Uomo del mio tempo, dopotutto, che cosa ti rimane?”
è l’incresciosa domanda che l’uomo si pone e che apre
nella mente e nel cuore squarci profondi. L’approdo in cui riparare
è forse la speranza di quell’impasto di media consistenza,
fatto di libero arbitrio, casualità e volontà che rende
l’Infarinatore un Essere Unico, un “man in action” ,
protagonista attivo, “avanguardia cosciente”, creatura in
grado di pensare, agire, forse pure di far lievitare l’impasto sociale
(ma chissà poi se l’Infarinatore è “solo”
un uomo…); o forse la risposta è custodita nell’amara
riflessione dell’ineluttabile caduta della goccia d’acqua
su un filo che scorre via, priva di valide difese, trascinata dalla forza
possente del Destino, o, forse, ancora meglio, ciò che rimane all’Uomo
è “solo” un prodotto “tanto inutile quanto essenziale”
che è la poesia, quell’energia dirompente che porta William
Stabile a gridare forte “POETAPOETA VIVI / Prendi atto, finalmente.
/ Non aver paura dei Grandi / Tu vivi in questo e in quello / e in loro.
/ (…) / Il sistema non ti masticherà / con mascelle da cammello.
/ Sarai contundente, ma alleggerirai la trama del tessuto / con il rastrello
sul velluto/ per purificarlo fino in fondo / da ogni impurità.”
Le risposte si intrecciano sui piani obliqui dell’esistenza e alla
fine, veramente, “dipende tutto / da che punto della scogliera /restiamo
aggrappati; / per poi cadere, fluttuando, / (senza lasciare traccia) /
come fogli sull’acqua.”
L’ultima fuga di William
Stabile: “io così risorgerò me stesso/ (…)
scivolando come goccia d’acqua/ a raccontare il solco nella mano
fresca di un nego:/ la selvaggia forza della verità / di un mattino
nel Pantanal”
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