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Libretti tascabili e non e' un modo di dire:
col loro piccolo formato 13,5 x 7,5 cm. Ognuno di essi sta comodamente
nella tasca di un cappotto, di una giacca, in una borsetta, perfino nel
taschino di una camicia o nelle tasche dei calzoni. Pronti dunque a viaggiare
con noi e a distrarci nei tempi morti di treni, autobus, metropolitane.
Gli autori sono, francamente, sconosciuti. Ma in fondo e' meglio cosi':
non si potra' dubitare dei crediti eventualmente assegnati.
Partiamo dai racconti di Giamboni.
Si tratta di sogni e ricordi di una gioventu' anni '80 a Rimini narrata
con la scrittura diretta e naif che riempie i cassetti della maggior parte
degli aspiranti scrittori. E se amori e disavventure sono comunque divertenti
in questa forma, quando con l'ultimo racconto viene tentata la strada
piu' impegnativa del surreale, il risultato frana clamorosamente [ma vedi
recensioni in Stradanove,
in Pickwick
e altre recensioni, n. di Fara Editore].
La De Sa', brasiliana, immerge
i suoi tre racconti (presentati con testo portoghese a fronte) in un'aura
onirica che a tratti rimanda a Borges. Pur senza gridare al capolavoro
i tre racconti, avvolti come sono in spirali metanarrative (una biblioteca
sferica - e percio' infinita? -, un lettore assassinato e occultato, un
ascensore collegato ad un'altra dimensione), sono in grado di sconvolgere
piacevolmente il lettore.
Ma il migliore e' sicuramente l'ultimo: una sorta di
romanzo storico scritto simulando
le cronache medievali senza pero' mai rinunciare alle prerogative letterarie
della contemporaneita'. La storia parla di Donal, ragazzino irlandese
svelto d'ingegno ma umile di natali in un periodo imprecisato al tramonto
del primo millennio. Il casuale incontro con un monaco teologo errante
svegliera' in lui la sete di sapere che si trasformera' in una serie di
peripezie in un'Europa barbara e grondante di umanita'. Riesce soprattutto
ad emozionarci la serenità' con cui Donal affronta le sue prove,
serenita' che non e' bovina stupidita' ma consapevolezza di se' e della
propria fede sia davanti a vichinghi pagani che alle gerarchie della religione
secolarizzata. Una prova narrativa riuscita e particolarmente appetibile
se paragonata all'indigesta ipertrofia dei romanzi storici che vanno per
la maggiore.
(Francesco Mazzetta, «Il Mucchio
Selvaggio», 15-21 maggio 2001)
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