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Il libro
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Contrappunti
e Tre Poesie Creole
recensione di Narda Fattori
Un altro giovane si cimenta con l’ardua arte della
poesia, chiamando a sé esperienze, suggestioni, incontri, riflessioni
per trarne un’opera che dia una qualche risposta alla ricerca di
una identità che da più parti viene assalita, umiliata,
che si vorrebbe coartata e maneggevole, quasi fosse una utilitaria, pratica,
di pretese modeste, supportata e supportabile.
Stabile ha compreso le avide
leggi dell’economia che traducono l’uomo in un ente di poca
coscienza e dal valore consumabile.
La sua poesia, pur disadorna e disomogenea (ma un’opera prima raramente
ha caratteristiche di ritmo e vocalità salde e completamente acquisite),
censisce oggetti ultimi, senza pregio, in sprezzo al luccichio per gazze
e di una data sapienza del mondo e di sé.
Estrapolando qua e là trovo graffio, unghia, grinza, spiga,
sale, pozza, passero monozampa, pesce remora, jacaranda e un russare tenue,…;
eppure nel meno si nasconde il più, nella minuzia si cela l’unicità,
il proprio sentirsi in azione non agito. Vi sono versi che quasi provocatoriamente,
ad un iperattivismo coatto, contrappongono la fierezza di una personale
definizione, quasi un epitaffio: “inoccupato permanente / sopravvissuto,
perché sprecava tempo / a scrivere poesia.”
E anche quando dell’abbandono dice “Mi è rimasto il
canale, la costa / e il solco di mare bianco”, William sa che è
quanto basta per definirsi vivo, per farsi nuovamente attraversare dalla
vita, con la sua pienezza di luci, di ombre, di dolori, di insensataggini.
Va ancora fiero delle sue armi “l’uomo del mio tempo”;
ancora uccide, sfrutta, reca dolore e patisce; meglio tenersi allora per
testa “un ananasso come chioma primitiva”, meglio attraversare
i confini fra la vita e la morte ballando una bachata, e vedere la caduta
dell’anima “sul marciapiede vigentino”.
Ma l’uomo Stabile e il poeta Stabile convivono in una contiguità
che si fa ethos e pathos insieme e il poeta, non meno dell’uomo,
ha gravami da portare senza cedimenti, senza fiabe a consolazione; eppure
entrambi hanno bisogno dell’altro, del simile, quasi che specchiandosi,
si riconoscessero e acquisissero una nuova andatura, un passo più
certo, una consapevolezza più chiara. L’altro è spesso
l’amata, ma facilmente costei potrebbe apparire una metafora della
vita, soprattutto quando si fa “grinza” sul cuscino, “deposito
di sale ai bordi / d’una pozza d’acqua marina”, “
Il cavallo azzoppato”, “la fibra spezzata”. Ma la dolenzia
dell’esistere crea una fierezza identitaria creola, cioè
impura, mischiata, ampiamente e totalmente umana.
Questa opera che raccoglie poesie di tempi e luoghi diversi, creata più
sulla marea delle suggestioni e delle riflessioni che sulla coscienza
di voler gettare un laccio accattivante verso i lettori, si aggruma dunque
attorno ai due temi dominanti: la ricerca dell’identità con
l’acquisita certezza di una diversità che sta nei comportamenti
difformi e la denuncia di una società che mal sopporta il pensiero
critico e divergente, che non ha scrupoli a rendere l’uomo nemico
all’uomo , mercificando e riducendo a mera salmodia e iconografia
mercenaria precetti e persone “contro”.
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