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Scheda:
Fabrizio Chiappetti
Visioni dal futuro.
Il caso di Philip K. Dick
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Intervista a Fabrizio Chiappetti
autore di Visioni dal futuro.Il caso di Philip K. Dick
Come riassumeresti in 12 righe la tua biografia?
L'idea di riassumere in poche righe quello che mi accade o quello
che faccio, vicino o lontano che sia nel tempo, mi blocca istintivamente.
Pensare ad un istante particolare e fissarlo nel ricordo significa, per
me, trascurarne tantissimi altri e, alla fine, tradire anche quello che
penso di ricordare. Posso dire di aver studiato per quasi vent'anni, tra
elementari e università, e di
aver capito che la vera saggezza inizia e finisce con l'ammettere la propria
ignoranza. Potrà sembrare poco, ma mi fido sicuramente più
del poco che del nulla, dove per nulla intendo tutto ciò che tende
a nascondere, escludere, se non addirittura eliminare l'umanità
degli uomini.
Cosa intendi dire?
Mi spiego: lo strapotere del mercato che ci vuole
flessibili e consumisti per poter far girare il meccanismo della produzione
e della crescita economica (e bisognerebbe sempre chiedersi crescita di
chi e a
scapito di chi altro) non ci lascia essere uomini liberi, creativi, generosi.
Il mercato ci vende i surrogati di
quello che autenticamente e profondamente
desideriamo e non osiamo chiedere più: prodotti spirituali come
al supermarket, fatti su misura per te
con gli scarti di tradizioni millenarie; oppure viaggi e vacanze pensate
anche per chi, fra un part time un licenziamento e un contratto di formazione,
avrà pure il diritto di non pensare sempre alle proprie sfighe
Uso volutamente la prima persona plurale a dispetto della deriva individualistica
che stiamo, chi più chi meno, vivendo in questi anni. Lo considero
un punto fermo del mio modo di vedere le cose: nell'isolamento si vedono
soltanto quelle verità che si vogliono vedere, o si vogliono ammettere.
Ha scritto Leonardo Boff: "Il mio singolo punto di vista deve stare attento
a non
diventare la visione di un punto!" Credo che soltanto
dal confronto, dalla non riduzione di ciò che è e deve restare
molteplice possa emergere quello che siamo,
che per me è sempre una scoperta-anticipazione di ciò che
saremo. La verità va pensata al futuro, non come qualcosa da riesumare
e collocare sul piedistallo di un museo ad impolverarsi o, peggio ancora,
su qualche pulpito pericoloso. Nella mia esperienza personale la tendenza
a privilegiare percorsi che, per loro natura, invitano al proseguimento,
al non accomodarsi tranquilli e sereni, mi ha fatto avvicinare alla fede
cristiana. Per me essere cristiano significa avere una bella storia da
raccontare, una storia d'amore e di speranza in un Dio che non lasci cadere
assurdamente lacrime e polvere e silenzio sulla vita di questi animali
coscienti, che abitano un punto del Suo universo. Credo al Vangelo, questa
storia incredibile perché, nonstante i secoli, resta una storia
di pescatori: concreta, semplice, come un tronco d'ulivo abituato a resistere
e a donare frutti preziosi.
Hai dunque dei precisi punti di riferimento per quanto riguarda la
tua visione del mondo; ma cosa ti ha portato ad interessarti di letteratura
di fantascienza?
Do ragione al vecchio Shakespeare quando fa dire ad Orazio che "esistono
più cose fra cielo e terra di quante non ne contenga tutta la nostra
filosofia", presente passata e futura (aggiungo io). Dell'arte, della
letteratura, e in particolare della fantascienza ammiro il potere di anticipazione,
la capacità di portarci davanti a mondi, a dilemmi, a situazioni
che, pur soprendendoci,
ci suonano stranamente familiari. In fondo tutto
comincia con una domanda semplicissima: "E se
?" Le favole, i viaggi,
i sogni, i drammi d'amore, gli incubi, il timore di nuove appararizioni
e dissoluzioni improvvise: le cose che inventiamo non sono poi così
diverse da quelle che diciamo di vivere. "Nulla si sa, tutto si immagina",
disse Fellini durante un'intervista. Forse, vivendo con meno frastuono
attorno, aprendo un libro o ricordandoci di andare a trovare un amico
che non vediamo da troppo tempo, potremmo cominciare a capire qualcosa
di più, quello che davvero ci interessa,
ci appartiene e che eppure ci sfugge sempre troppo facilmente.
Ma in particolare qual è il fascino di un autore come Philip
Dick?
Per Lawrence Sutin, autore di una biografia molto particolareggiata,
la forza, il fascino di Philip Dick si concentra nelle domande che è
in grado di suscitare,
più che sulle risposte fornite.Io andrei un po' oltre: Dick non
è un bravo scrittore perché, in un modo o in un
altro, ci provoca e ci spinge a riflettere. Dick ha pagato
di persona la sua ricerca spregiudicata della verità; un desiderio
quasi morboso, che lo ha "costretto" a scrivere tutte le notti, per anni,
pagine su pagine, senza mai potersi accontentare delle colclusioni possibili.
(Fara Editore, marzo 2000)
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