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Scheda:
Paolo Galloni
Donal d'Irlanda
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Intervista a Paolo Galloni
autore di Donal d'Irlanda
Come riassumeresti la tua biografia?
Sono nato il 30 giugno 1964 in un paese dell'appennino parmense. Oggi
è un posto famoso per i prosciutti, per me significa soprattutto
sentire di avere il mio primo strato di identità (ce ne sono poi
innumerevoli altri) legato all'Appennino, un paesaggio di colline a misura
d'uomo, di piccole frazioni con la città a portata di
mano. Significa avere avuto la possibilità di un'infanzia
in cui a poche centinaia di metri da casa c'era il bosco dove fingersi
esploratori (fingersi poi mica tanto), dove fare incontrare paesaggio
e immaginazione. Sono nato
lo stesso giorno (non dello stesso anno ovviamente)
del poeta Milosz, e l'ho scoperto solo dopo avere deciso che era uno dei
miei poeti preferiti. Ho apprezzato la coincidenza, ma non credo che significhi
molto,
altrimenti che dire del fatto che il 30 giugno è nato anche Mike
Tyson?
Non ho avuto una gioventù ribelle, ero piuttosto conservatore,
sono più contestatore oggi, dolcemente però.
Sono laureato in storia ed è di storia che perlopiù scrivo.
Scrivere di storia è viaggiare nel tempo, nel mondo dei morti per
dirla onestamente (il passato è il regno dei morti), e riportare
dei messaggi qui e ora.
Il mio piccolo romanzo Donal d'Irlanda è un completamento
di questa esperienza di viaggio nel passato.
Come nasce il desiderio di scrivere (ci sono state occasioni biografiche
particolari che ti hanno portato a diventare scrittore?)
Il desiderio di scrivere nasce dall'esperienza di lettore appassionato
alla quale si è aggiunta la voglia di raccontare, di essere qualcuno
che parla ai lettori. E'
come lettore che ho imparato quanto lo scrittore possa essere amico e
maestro di chi legge, come e più di chi
è presente in carne e ossa. Una presenza in carta e parole.
Hai dei punti di riferimento letterario per quanto
riguarda lo stile e/o i contenuti?
Nel caso di Donal d'Irlanda i modelli sono volutamente arcaici,
altomedievali. Un linguaggio scandito, come
colpi di scalpello sulla pietra, un linguaggio che cerca di mettere al
servizio dell'immaginazione pensieri e forme mentali non miei, ma di un'altra
epoca. Essere un mediatore, per mezzo delle mie ricerche e della mia immaginazione,
tra epoche diverse. Questo ho cercato
di fare, non se ci sono riuscito.
Vedi un futuro per il libro tradizionale?
Personalmente, voglio continuare a tenere fra le dita questo oggetto
concreto. Un futuro ci sarà, non so se minoritario. Male che vada
ci sarà una minoranza di contestatori felici che varcheranno le
soglie delle biblioteche per toccare con mano le parole. Confido che se
un giorno l'eccesso di virtualità, ovvero di disincarnazione, genererà
contestazioni saranno gli oggetti a guidare la rivolta. Nel romanzo tratto
di un
tema che sto studiando anche dal punto di vista della saggistica storica,
quello della parola come parte del corpo, cosa, oggetto, dotata di una
materialità che non percepiamo più.
A quale tipo di lettori pensi di poter più facilmente comunicare
qualcosa?
Sorprendentemente per me, una prima stesura di Donal
è stata letta e commentata e apprezzata, ovviamente non da tutti,
in una classe delle scuole medie. Non me
lo aspettavo. Io non lo so a chi comunicherò qualcosa, non so dove
troverò amici che mi porgeranno l'orecchio
e replicheranno. Ma so che qualcuno ci sarà e questo, veramente,
è straordinario e mi basta.
(Fara Editore, marzo 2000)
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