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Gianfranco Bertagni. Architetture Utopiche

Il libro

Intervista a Leonardo Innocenti autore de
Il Primo Pensiero

Cosa puoi dire di te a chi ti sta leggendo?

Innanzitutto vorrei essere sincero con gli altri e soprattutto con me stesso. Non posso e non oso definirmi uno scrittore, mi ritengo soprattutto un osservatore delle cose e delle persone che cerca di fermare sulla carta le sensazioni e le percezioni che vive. Provengo da tutto un altro mondo, da sempre appartengo al mondo del sociale, dall’associazionismo cattolico prima (Gi.O.C.) alla Cooperazione dopo (Coplhand). All’interno di questi mondi credo di avere accumulato tanta di quella conoscenza che mi ha permesso di costruirmi un personalissimo bagaglio di esperienze fatto di vite.

Quando e perché hai iniziato a scrivere?

Sono convinto che quando uno scrive lo fa solamente per se stesso. Non credo troppo alla balla dello scrittore che scrive per gli altri, per la "società". Questo fa parte semmai della vanità propria di far vedere agli altri quello che si produce, di ricevere complimenti, di inorgoglirsi di fronte agli amici e ai parenti.
È nell’intimo che bisogna ricercare il vero bisogno di scrivere, di raccontarsi, di esporsi. Questo almeno è successo a me. Quando mi sono trovato di fronte al mio computer, infatti, non ho pensato minimamente che dovevo fare una bella figura, che dovevo scrivere in un italiano perfetto. In quel momento ero solo davanti a me stesso e dovevo tirare fuori il coraggio di dire delle cose soprattutto a me stesso, tant’è che il libro, appena finito ho fatto fatica a farlo leggere se non alle persone più vicine (3-4 in tutto). Mi sembrava di avere concluso il ciclo. Io avevo scritto, chi doveva leggere aveva letto. Ero a posto con il mondo.
Solo dopo scopri che l’esperienza del singolo può essere patrimonio di molti, che la storia, per quanto intima possa essere, attiva sempre un linguaggio universale. Ho imparato che la parola serve per comunicare, che un libro non è solamente vanità.

Come è nata l’idea di scrivere Il Primo Pensiero? Pensi di avere inviato un "messaggio particolare" scrivendo questo tuo primo romanzo?

Ognuno scrive quello che sa. Pur avendo letto tantissimo e di tutti i generi non credo che sarei stato in grado di raccontare una storia che non mi appartenesse. Ognuno racconta quello che conosce. Questo non vuole dire che si devono raccontare solamente delle grandi autobiografie, ma penso che molto parta sempre dalle proprie esperienze personali, dai propri sogni, dalle proprie paure. Mi è capitato, mentre aspettavo che Alessandro (ndr l’editore) mi chiamasse per darmi la notizia che il mio libro era finalmente arrivato nelle librerie, di leggere Delitto e Castigo di Dostoevskij. Sono fatto così, quando sono in tensione per qualcosa cerco di fare qualcosa che non c’entri niente con quello che sto vivendo, qualcosa che mi trasporti in un’altra dimensione. D’altronde anche a Natale invece di regalare un anello a mia moglie come mi ero ripromesso ho portato a casa un acquario marino con tanto di pesce pagliaccio e anemone. Ho sempre bisogno di fare qualcosa di diverso, di strano (ci sarebbe da scrivere un libro!!!). Dunque mentre leggevo Dostoevskij mi sono detto: adesso è chiaro e lampante che io non potrò mai fare lo scrittore, vedermi lì un malloppo di oltre 800 pagine scritte piccole piccole, raccolte in 2 volumi… c’era proprio da telefonare ad Alessandro e mandare tutto a carte quarantotto. Eppure sono straconvinto che anche quell’autore, in quel momento storico, in quella parte del mondo, stava raccontando se stesso, stava raccontando la sua vita attraverso i suoi personaggi, nulla di più. L’abilità di scrivere è un’altra cosa e quel russo là ne aveva tanta, ma l’importante è sapere arrivare alle persone con delle storie vere.

Quale tipo di lettore credi possa essere particolarmente interessato al Primo Pensiero?

Non credo ci possa essere un pubblico adatto e uno meno adatto. Spero solo che nelle 160 pagine del libro ci sia almeno un passo, una frase in cui ognuno si possa immedesimare ed emozionare come è capitato a me scrivendolo.

Hai progetti nel cassetto?

I cassetti bisogna sempre averli pieni zeppi di progetti, di sogni se no è la fine. Quello che si farà poi non sta a noi prevederlo. Le idee ci sono, la volontà non manca, ora bisogna fare i conti con la bontà di voi lettori e del nostro editore.

(Fara Editore, luglio 2005)

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