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AA. VV. Le voci dell'arcobaleno

 

 

Astrid, Cardarelli e quella lontana estate sul lago

di Martino Baldi su La Nazione – ed. Pistoia/Montecatini, 26 febbraio 2006

Un bel romanzo è cosa da festeggiare. Se si tratta di un romanzo d'esordio è cosa da festeggiare due volte. I festeggiamenti dovrebbero poi moltiplicarsi in Valdinievole, se l'autore del romanzo in questione è un montecatinese doc. Insomma, certamente non
mancano i motivi per brindare alla pubblicazione di Lettera dalla Norvegia (Fara Editore, pp. 182 , € 12,00), opera prima di Andrea Pellegrini, classe 1971, montecatinese residente a Massa e Cozzile, noto in città soprattutto per la sua attività di insegnante di italiano all'Istituto Alberghiero “Martini”.
Il primo romanzo di Pellegrini, già autore di diversi racconti, dispersi in riviste e in parte riuniti in una silloge autoprodotta, è opera lieve e salda, nutrita di cultura letteraria ma attenta soprattutto agli impercettibili “moti dell'anima”: ciò che, in poche parole, si direbbe
un bel romanzo tradizionale. In controtendenza rispetto alla maggior parte degli autori della sua generazione, impegnati in roboanti tentativi di rappresentare la disarmonica molteplicità del postmoderno, Pellegrini sceglie infatti di puntare su un intelligente
understatement stilistico, mettendo una scrittura misuratamente lirica ed elegiaca al servizio di una storia d'amore e memoria, costruita su impercettibili sfumature e sulla fusione di realtà e finzione: un lavoro da scrittore consumato più che da esordiente, anche per i tempi lenti e per la saggezza di fondo.
La vicenda della Lettera è quantomai semplice. Una sera del dicembre 1974, in una fredda casa di cura di Oslo, l'ottuagenaria Astrid Heyerdall comincia a scrivere una lunga lettera a Vincenzo Cardarelli, uno dei maggiori poeti italiani del Novecento, morto da oltre quindici anni. Astrid rammemora un'estate di mezzo secolo prima. Ne sono protagonisti, insieme al poeta e all'allora giovane norvegese, le amiche che la accompagnano sul Lago di
Como, l'artista Carlo Carrà, gli altri avventori dell'Hotel Suisse di Bellagio e, soprattutto, la magia del luogo e del tempo. Gli eventi sono quelli già narrati dallo stesso Cardarelli (autore su cui Pellegrini ha scritto la propria tesi di laurea) nel racconto Astrid ovvero un temporale d'estate, ma visti stavolta dal punto di vista del personaggio femminile e con un sorprendente svelamento finale.
Alle pagine di rievocazione Astrid alterna brevi annotazioni sulla malattia che la sta portando alla morte; così, impercettibilmente, mentre il racconto di cinquant'anni prima si trasforma da festosa cronaca di una vacanza in crudele rivelazione, l'apparente “romanzo di formazione” assume le tinte di una delicata e dolorosa danza funebre. In questo e negli altri ribaltamenti in atto nel romanzo sta la componente moderna della Lettera. Il gesto di
Pellegrini non è tanto quello di volgere il proprio sguardo al passato ma quello di provare a soffiarci dentro di nuovo la vita, sottraendo eventi lontani non solo alla dimenticanza quanto anche a una conoscenza annoiata, praticando una affettuosa smitizzazione. Il cuore del libro è dunque in una memoria e in una conoscenza vivificate per mezzo di un intelligente “teatro dei sentimenti”. Lettera dalla Norvegia riesce così a essere un atto di
amore, di fedeltà e di fiducia nei confronti della propria cultura, sfuggendo ai pericoli di una ricostruzione passiva, malinconica o celebrativa. Questo distingue la scrittura di
Pellegrini dal passatempo di un giovane eremita collinare un po' snob e ci spinge a considerare questo esordio una consapevole e responsabile rappresentazione di ciò che
sono l'uomo e la vita, sotto ogni cielo e in ogni tempo. Insomma, una cosa seria.

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