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Su Pietrisco
di Daniele Borghi
In questa raccolta di poesie si incontrano molti aspetti di Alessandro
Ramberti. Del suo scrivere, del suo vivere e del suo sentire. Questo è
già un indiscutibile pregio.
Non cercherò di analizzare le poesie, non voglio vivisezionarle
per scovarne e carpirne segreti riposti. Non farò questa operazione
per due semplicissimi motivi: segreti e verità nascoste non mi
sembra ce ne siano e comunque, nel caso ci fossero e Alessandro avesse
deciso di renderli tali, non ho alcun diritto di frugare nella sua anima
più di quanto lui sia disposto a concedere con la sua poesia. Mi
piacerebbe parlarne come se ogni lirica, pur avendo una sua specificità,
una sua musica e un suo valore, fosse la tessera di un mosaico di cui
si può apprezzare solo l'interezza. Perché porre l'accenno
sulle singole parti quando il tutto ne è la somma, l'elevazione
a potenza e l'esaltazione?
E allora, finalmente, eccomi a dirne.
Pietrisco mette a nudo Alessandro
come non mi era mai capitato di leggere in altre sue opere. Ne delinea
con cura, delicatezza e forza i contorni e le superfici. Quelle lisce
e quelle aguzze, le concavità e le convessioni. A tratti si ha
la sensazione di poter usare le liriche come una coperta calda al riparo
della quale osservare le aberrazioni che ci assediano e, in altre, quella
stessa coperta ci viene tolta brutalmente di dosso quasi a lasciarci nudi
di fronte a verità che non avevamo tropppa voglia di affrontare,
valutare, osservare con attenzione. Questa ambivalenza ha un valore ancor
più grande quando viene da un credente come Alessandro. Lui non
ha mai fatto mistero di possedere una profonda fede, ma questo non gli
impedisce di avere sguardi obliqui sul mondo. Al contrario di quanti fanno
della fede una corazza che non si può scalfire o un solidissimo
muro attraverso cui osservare l'esterno da una strettissima feritoia,
Alessandro fa della sua fede un punto d'osservazione. Ma quel luogo, quel
posto da cui guardare, è posto così in alto, così
distante dalla superficie della terra da sembrare vicino all'infinito,
consentendogli di scrivere di ogni cosa con doverosa distanza e altrettanto
doverosa partecipazione. E tutto questo senza equilibrismi, forzature
o ipocrisie. Nella maniera semplice e generosa che è propria dell'uomo
prima che del poeta.
Oltre a questo, che fa della poesia di Alessandro uno sguardo sul mondo,
ciò che colpisce sono altri due aspetti.
Il primo è la trasparenza dell'autore. Non in una sola lirica l'autore
parla di sé per il piacere narcisistico di farlo. Mai.
Ogni volta la presenza dell'autore è limitata a farsi specchio,
riflesso, riflettore puntato sull'oggetto dello scrivere. Quanti altri
poeti hanno l'autorevole modestia per compiere quest'operazione? Nel provare
a farlo è molto difficile ricordare molti nomi. E questo non vuol
dire non esporsi, significa esattamente il contrario. Se si scrive del
proprio ombelico come molti (me compreso) non riescono a evitare di fare,
non si corre nessuno rischio: l'ombelico è il mio e posso dirne
ciò che voglio, sempre e comunque. Anche se l'apparenza è
quella dell'esposizione, la sostanza è tutt'altro: si scrivono
cose comunque incontestabili, definitive. Nessuno può dire che
il tuo sentire interiore non sia quello che descrive l'autore. Alessandro
compie un'operazione più difficile. Non soltanto espone il suo
intimo e ne affronta il complesso lavoro "estetico" ma, mostrando
coraggio da vendere, scrive della sua interiorità mentre reagisce
alle cose del mondo.
Questo è l'unico modo per mettersi in gioco, non il parlare di
un amore lontano, di tramonti infuocati o di persone scomparse. Si potrà
discutere a lungo sul fatto che la poesia sia sostanzialmente più
forma che sostanza, ma, se mi si permette un opinione personale sull'argomento,
sono convinto che coniugare le due cose sia molto più utile che
esaltarne una.
L'altro aspetto che mi ha colpito di questa raccolta è la totale
assenza di un qualsiasi riferimento temporale. Se si potessero leggere
queste poesie senza conoscere la data della pubblicazione o della stesura,
credo sarebbe impossibile stabilirne una collocazione nel tempo. Questo
aggiunge valore alle liriche stesse, ne fa capire la capacità di
osservare le costanti, le fondamenta e le strutture dell'animo umano.
Nulla viene agganciato alla cosiddetta attualità, e poterne fare
a meno fa capire con esattezza e cognizione definitiva quanto il lavoro
di Alessandro sia stato profondo. In queste liriche non c'è traccia
di contingente, neppure un vago sentore di agganci alla splendida o putrida
realtà del momento. Esse sono assolute e, con un meraviglioso gioco
di prestigio unito a una splendida leggerezza, quasi in contraddizione
con sè stess non sono mai assolutistiche. Esattamente come chi,
avendo una vera morale non è mai moralista.
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