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AA. VV. Le voci dell'arcobaleno

dello stesso autore
La simmetria imperfetta

 

Su Pietrisco

di Carmine De Falco

Il rischio di qualsiasi poeta che commenti un altro poeta è quello della scarsa obiettività. C’è sicuramente una tendenza a vampirizzare l’opera dell’altro, a farne le parti che sembrano somigliarci proprie emanazioni, o addirittura (attraverso le annotazioni) trasformarle e indirizzarle verso il proprio “cammino”. Il rischio dell’autocompiacersi è sempre molto forte. È solo a partire da queste considerazioni che ti posso mandare un commento seppur breve.
Mi pare questa una poesia che se da un lato si riallaccia a un filone “medio” italiano presente da diverso tempo, dall’altro aspira a toni alti, che in qualche modo si lasciano alle spalle il fine ‘900, coi suoi toni di volta in volta dimessi, rinunciatari o elencatori. Si supera insomma sia la post-avanguardia, sia il filone neoclassico romano legato a temi troppo soggettivi. Ci si lascia alle spalle il post-materialismo (anche se non del tutto il post-nichilismo, se ancora la noia fa da contraltare agli slanci di vita, ma qui come esempio in negativo, come denuncia che lanci oltre la siepe).
Sarà compito di questa prima parte del secolo ricostruire? Fondare nuovi “grandi” sistemi stilistici e di linguaggio? Forse questa raccolta è avviata su questa strada.
Ho molto apprezzato tutta la prima metà. Qui la lingua diviene il mezzo per la costruzione, (“di’ forza e rendi potente l’atto / o bello e fa’ buono il reale…”, “parole (…) farne l’ossatura di una storia”) punto di partenza da cui scaturire le cose, l’io, il noi, attraverso la mediazione del pensiero, in un percorso appunto che parte dall’interiorità, si concretizza nella parola e costruisce il fisico. (forse/forte, sembra il riflesso breve e poetico di un trattato di grammatica generativa. Ma a questa “metafisica” della parola – che asprira a squarciare i veli del fenomenico – si giustappone un percorso che è un approssimarsi all’altro, in un cammino fatto di “peso”, toccarsi e staccarsi. Qui emerge il bisogno di una lingua per l’altro (e in questo senso etica) o una lingua dell’altro senza però che si stemperi il valore costruttivo del linguaggio – costruttivo del proprio sé e ri-costruttivo della voce di chi ci è vicino – emerge allora una volontà di unione, un lanciarsi panico dell’io interiore nel mondo esterno, comprendendolo e trascinandolo con sé (saldami alla roccia). La lingua infine si concretizza nel corpo, non solo nelle azioni fenomeniche sottese all’articolazione fonetica, ma affondando fin dentro i propri organi, giungendo a un’implosione finale in cui arriva a inghiottire la corporeità stessa. E il campo, ritratto qua e là con i mezzi marcati di un dipinto post-cubista, va trasformando i tagli in ellissi e i distinguo si proiettano l’uno nell’altro mirando a una sintesi e a una semplificazione essenzializzante (con un’aspirazione alla storia attraverso la vita “riassunto delle umane / storie assimilate” evitando “l’inutile già detto” e limitandosi a un vocabolario minimo, la cui massima aspirazione – inconscia/inconsapevole – e perdurare nei secoli). E qui, ritornata prepotentemente l’aspirazione metafisica sottesa a tutto il cammino di questa ricerca poetica, il cerchio potrebbe essere chiuso. E quasi a conferma di ciò, di questo punto di arrivo, nel prosieguo del testo aumentano le parti maggiormente aperte, ariose, talvolta narrative, dove il verso sembra aspirare con sempre maggior forza a una ricerca del divino, e alle parole è affidato un alto gradiente di salvezza (al di là delle singole forme strettamente religiose o di tipo gnomico), ma escatologica sembra anche la forza che induce ad avvalersi della matematica della metrica. Però proprio in questa seconda parte paiono emergere ripensamenti, il discorso paradossalmente si disarma ed affiora quella difficoltà che pervade “la vita in relazione” con l’altro e il potere della lingua di cui si sembrava certi, viene rimesso in discussione. La lingua è ora inerte (ma resta l’aspirazione a “schiacciarsi” nell’altro, addirittura nei suoi scarti), ora è ri-scrittura che si apre all’altro, a tutti, in un’anelazione di cosmica unione, ora è il non scritto, ora una luce abbagliante, ora il nulla.

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