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dello stesso autore
La simmetria imperfetta
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“Scrivere
è un atto etico al quadrato”
Suggestioni su Pietrisco
di Maria Rosa
Panté
Tra i temi di riflessione, tra le ricche emozioni che il libro Pietrisco
di Alessandro Ramberti regala a chi lo legge, ho prediletto il percorso
sulla parola (poetica e non).
La parola è in primo luogo un oggetto, un simbolo, un ideogramma.
Proprio la lirica “Ideogramma” (p. 24) rappresenta, in un
certo senso, il manifesto di Alessandro Ramberti sia nelle vesti di poeta
che di editore.
L'autore in modo, a mio avviso, mirabile riassume in un verso l'essenza
della poesia (così come l'ha concepita anche Dante nel canto V
dell'Inferno, la vicenda di Paolo e Francesca). “Scrivere è
un atto etico al quadrato”.
Nel verso, innanzi tutto, c'è la coscienza che scrivere è
agire e dunque implica un'assunzione di responsabilità, anche per
le “storture globali” che ciascuno nel suo dire porta inevitabilmente
con sé. È importante, però, precisare come talvolta
l'autore paia dubitare (forse provocatoriamente) della possibilità
fattiva della parola; in “Sistema per messaggi brevi” (p.
10) scrive infatti: “mentre, una gravidanza converte il futuro /
nel presente”, dove l'avversativo “mentre” contrappone
questa nascita (di Cristo, d'ogni vita?) alla vuota funzione del moltiplicatore
(“di quanto digitiamo rimane il moltiplicatore”).
La parola si costruisce, poi, nella concatenazione sintattica, che le
conferisce un ulteriore e diverso valore e senso. Talvolta la parola fatica
ad uscire, rimane incollata al palato.
In ogni caso le parole toccano, dicono i temi della vita, dei percorsi
di ognuno, qui il pietrisco del titolo è tutto quello che il vivente
ogni giorno porta con sé, come un fiume.
In questa riflessione sulla vita e sul dire la vita, fondamentale, per
me, è il discorso che Alessandro Ramberti conduce sulla “misura”,
cioè il metro poetico, ma anche il metro di ogni esistenza. La
misura trasversalmente tocca la poesia, la filosofia, la religione e la
vita quotidiana (che spesso fa capolino tra le poesie del libro, bellissima
è la poesia “L'Abitudine” p. 17). Dunque la misura
(somma virtù secondo la cultura “classica”) pare essere
proprio quello di cui costantemente abbiamo più bisogno, infatti
costantemente tendiamo a perdere l'equilibrio, il senso del limite.
In “Questioni di misura” (p. 16) violare il limite del tempo
“è denudare il cosmo”, d’altra parte per calarsi
nel complesso l’autore suggerisce di “misurarlo / prendendo
le distanze” (“La natura delle cose" p. 18).
L’equilibrio, la bilancia, dunque il senso della misura e del limite
(spesso legato e conseguente alla capacità di distacco), sono presenti
sin dall’inizio del volume in “Stoicismi laterali” (p.
9): è sacrosanto il monito di Alessandro Ramberti a dare il giusto
peso a ciò che non dipende da noi: “è solo l’equilibrio
che è importante / e a tutto è indifferente la bilancia
/ tranne che al peso”.
Pure nel libro c’è spesso un andare oltre, un superare il
limite, un essere oltre la misura, nel libro infatti costante è
anche la presenza del nostro oltre, di ciò che ci supera e ci completa
cioè il divino.
Il divino giunge all’uomo che si affaccia sull’orlo del nulla
che è anche l’infinito: “In questo niente il tuo durare
è / tutto”, all’uomo che incontra la morte: “(le
nostre sono linee intermittenti, / dei nomi sulla pagina del mondo)”
("Buco Nero" p. 14). E l’uomo si rivolge a Dio o affidandosi
a lui ("Rinnovami" p. 14) o chiedendo la sua azione “rivestimi
con la tua forza” ("Siamo negli altri tutti" p. 32), oppure
in una richiesta di disvelamento “Dimmi chi sei” ("Preghiera"
p. 38).
E alla fine Ramberti ci rivela che anche la parola con la sua misura,
diviene nel divino parola oltre ogni misura perché: “Colui
che ci pronuncia è altrove”, ma anche noi siamo assorbiti
in questo oltre “non c’è più / sopra o sotto,
prima o poi, / profondità larghezza vicinanza… / un bagno
luminoso allaga / l’intero schema della rete” ("Rete
sintattica" p.37).
E in questo bagno luminoso, bellissima immagine poetica, sta la speranza
dell’uomo.
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