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Roulette balcanica di Drazan
Gunjaca sarebbe una farsa se non fosse una tragedia: a Pola,
in una notte dell'autunno del 1991 due capitani dell'ex-esercito jugoslavo,
Petar - serbo - e Mario - croato - discutono della loro situazione.
In particolare Petar, fino a poco prima rispettato rappresentante della
forza pubblica, e ora improvvisamente membro di un esercito invasore,
abbandonato dalla moglie croata che se n'è andata portandosi via
i figli, è disperato. L'unico a rimanergli amico in quella che
era la sua patria e ora è suolo è il vecchio comilitone
Mario che non si lascia ingannare dalle nuove ideologie nazionalistiche:
s'è tolto la divisa e pensa di cercarsi a shelter form the storm,
un rifugio dalla tempesta in arrivo. Petar invece, troppo distrutto dal
crollo dei valori in cui credeva, dal disfacimento della famiglia, non
potendo più trovare rifugio dal dolore nel salutare cinismo della
razionalità, s'abbandona alla "roulette balcanica", una
roulette russa fatta con una pistola automatica invece che con una rivoltella,
una roulette in cui è impossibile "perdere". Progressivamente
altri personaggi vengono coinvolti nell'azione drammatica, tutti militari/poliziotti
che sono costretti da Petar a mettersi di fronte alla frantumazione dei
Balcani e - in varia misura - a prendere coscienza dell'assurdo fatalismo
con cui tutti ora accettano ciò che aborrivano appena prima. Alla
fine, però, il vero abisso in cui incappa
l'uomo comune-Petar non è la metamorfosi delle ideologie o delle
uniformi, quanto piuttosto il fatto che tali ideologie, tali uniformi
vesotno anche l'anima delle persone e neppure i sentimenti più
profondi possono vincere tali cambiamenti. Questo breve testo
teatrale dovrebbe dunque servire da monito a chi sobilla divisioni e regionalismi,
ed essere fatto leggere a tutti i nostrani leghisti nella speranza che
ne possa rinsavire qualcuno.
(Francesco Mazzetta pol860@agonet.it,
Il Mucchio Selvaggio, 25-31 marzo
2003)
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