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Il colore dei sogni
di Gladys Basagoitia
Note critiche di Brunella Bruschi
Un altro libro con una silloge di Gladys. È un’antologia
edita da Fara Editore con autori vari, si chiama Farapoesia
ed è curata da Alessandro
Ramberti. Gli autori si autopresentano e poi ciascuno stila una nota
per un altro commentando la sua poesia. Voci molto diverse che tuttavia
trovano accordi in questo tessuto di parole reciproche. I 26 testi di
Gladys sono molto belli, compatti, conseguenti, ed il titolo Il
colore dei sogni annuncia un diffuso cromatismo ed una costante
componente onirica, tanto da farli leggere di primo acchitto come dei
quadri attraversati da uno spazio e da un tempo infiniti o tendenti all’infinito
in un alternarsi di luci incandescenti ed ombre ipoctonie.
Sono poesie nate in lingua spagnola nell’età giovanile e
soltanto in questo anno tradotte in italiano col preciso intento di conservare
il più possibile delle originali, benchè, come si sa, tradurre
sia sempre un trans-ducere, portare al di là, in una lingua che
ormai è diventata per Gladys la seconda madre.
Avviando la lettura troviamo ampie pennellate di rosso “La terra
non potrà oscurare nella polvere le mie lucciole rosse” “inverno
sarà persino nell’incendio dell’estate” ”Vorrei
essere il fuoco perenne del tuo sangue” “Ora ci brucia il
deserto” “Ho trasmesso al fiore del tuo sangue il mio segno
di fuoco” “Lacerazione allucinata di chi scrive con il proprio
sangue” “Roventi stelle” “Dolcissime torce”
“Bruciò le mie viscere quale cactus rovente” “Gli
occhi rossi un uccello racconta il colore dei sogni” “Nella
città dei coralli si sta amando” “È nato l’amore
e sanguina tenero” “La città di amaranto” “dalle
rovine insanguinate” “sanguinosa protesta” ecc. pennellate
di rosso che sono di sangue e di fuoco (fanno pensare a un certo Gauguin),
che disegnano ferite laceranti, passioni che sono il coacervo di sentimenti
diversi e profondi: l’amore per il figlio, l’indelebile amicizia
con un grande poeta peruviano che ha accompagnato Gladys tutta la vita,
l’amore tout court, il sentirsi appartenere ad una natura satura
di calore, fatta di cactus, di fieri carrubi, di agavi, di dirupi e sole
delle Antille, rocce e lontanissime spiagge, il dolore per la morte della
sorella. Il sentimento del coraggio, della sfida, dell’élan
vital (che sono qualità tuttora presenti nella poesia di Gladys,
perché sono nel suo modo di essere ) percorrono i versi una poesia
dopo l’altra, incrociandosi con altri importanti elementi che compongono
il quadro.
Il rosso del sangue e del fuoco si accosta più volte al colore
del mare: un mare vischioso e cupo, salmastro, che incorpora in sé
il mistero, la forza inderogabile degli eventi “mari impossibili”
ma in cui non si annega ( “eccita le mie acque” “ agita
il fondale”), ma ci si muove con lucidità e determinazione.
E l’osmosi fra i sentimenti e gli accadimenti è la stessa
osmosi del sangue e del mare, del fuoco e dell’acqua: “dalla
pelle ai sogni dalle acque al fuoco” “ dalla roccia una sorgente
rossa fluirà solitaria” “ l’illuminazione vi
placherà la sete/ vi donerà il fuoco nuovo”.
Questa osmosi avviene attraverso la luce: una luce diretta, una stella
che fa da cornice alla poesia del sogno, una luce che fa essere trasparenti
prodigiosi salici, una luce emanata da una sorella che apre le mani verso
gli altri e questi divengono ali ed essi stessi luce.
La luce respira nei quadri al di là del colore, con una forza che
produce un canto, investe le immagini e il ritmo dei versi. La luce è
una strada intrapresa, è una netta marcatura di profili, o una
sguardo accecato sulla realtà, può anche smussare gli angoli.
In antitesi l’oscurità di una terra che schiaccia i morti,
che oscura nella polvere le lucciole rosse, crolli di muraglie, impronte
di gabbiani che fingono notturni arabeschi: “un concerto di luci
lacera papaveri neri”. Il mondo appare agli occhi di Gladys ventenne
come un caleidoscopio di torbide tempeste e di incendi accecanti che investono
i suoi slanci, la sua passione: l’ingiustizia, la fame, le miserie
che dominano nella realtà del suo paese più che altrove
la spingono a cercare una dimensione diversa del mondo che sappia incontrare
e accogliere il suo universo onirico.
Così questa natura naturans che attraversa le sue liriche fa da
sfondo ad una sorta di piccolo manuale di zoologia fantastica, anzi quasi
fantastica, un po’ come quella di Borges che con la classificazione
di animali quasi fantastici, appunto, recupera della poesia l’onirico
e il reale e lo porge agli uomini per la salvezza dell’anima. “Gli
occhi rossi un uccello ricorda il colore dei sogni: poche pennellate e
la creatura viva, un po’ reale e un po’ fantastica si anima
ai nostri occhi, delfini sognanti, colombe nella città d’amaranto,
condor che coltivano amore, bianchi elefanti che barriscono una protesta
e, forse per via di questo colore chiaro, mi fanno pensare a quelli di
Dalì.
Allodole, cigni che piangono, un pesce di squame luminose nelle oscure
acque, improbabili lucciole rosse. Il lupo rosso con luminose ali, messaggero
del fuoco è una vera allegoria che porta un canto trionfale e una
voracità di sogni e di vita nel miele delle sue zanne velenose.
Uccelli dai becchi rossi e le costellazioni luminose di Scorpione, Orse,
Cane, Croce del Sud.
Lo spazio, come il tempo, è stato già detto all’inizio,
tendono all’infinito, non è un caso che queste creature fantastiche
siano nella maggioranza uccelli.
Gli oggetti che popolano queste scene sono molteplici e sottolineano le
più disparate direzioni.
Il tempo non è della memoria o della clessidra, non è solo
ciclico, ma durativo, permane tutto nel presente, nulla si consuma completamente,
è il tempo di orologi di cemento deformati o impazziti, che ancora
una volta evocano quelli di S. Dalì.
È una poesia ricca di metafore, di simboli, di cui siamo ancora
una volta grati a Gladys, che pur avendo conservato slancio vitale e amore
per tutti e tutto, per esempio nel più recente Réverie,
non rappresenta questa stessa passione, ma guarda il mondo con occhi più
disincantati. Si tratta di un verseggiare vivo, palpitante, quasi viscerale,
che a me ha spesso fatto pensare, non so se a ragione, allo sfarzo del
teatro ambulante di A. M. Ripellino.
In conclusione mi sono chiesta: qual è il colore dei sogni? Ed
ho trovato rileggendo la poesia che, nonostante si possa pensare al rosso
per la sua ricca presenza in questa poesia e per il colore degli occhi
dell’uccello che ricorda i sogni, o al nero” i depositi enormi
dei sogni neri” , in realtà i sogni sono di un colore diverso,
forse fatto di tanti colori, ma indefinibile in sé, forse è
proprio quella luce che planando sulla realtà può modificarne,
ridisegnarne il profilo e farla essere contemporaneamente sogno.
Concludo per suggellare questa breve analisi con una poesia emblematica
di questa raccolta: Il canto della sera
Nelle alte montagne risuonerà il canto della sera
luci e ombre in un fondo tellurico
occhi mani e corpi sprofondati nelle acque
per imparare l’aspro linguaggio della terra
e la neve e il tempo inesorabili
ceneri di betulle – bambini solitari –
pietre che levigano spigoli umanissimi
pietre che cesellano carni minerali
dove altri esseri periscono di freddo
ichus pensierosi conficcano tenaci
trionfali le radici
vivendo e dando vita
agreste pista solchi dirupi e vigogne
il coraggio dell’uomo che perfora montagne
e la intensa risposta di un incendio di acque.
(maggio 2006)
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