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Scheda: Paola Turroni |
Posfazione di Renato TurciLe prime considerazioni che si possono fare leggendo i testi di Paola
Turroni riguardano la fisicita', il pensiero del corpo, come se l'autrice
volesse essere di piu', ma in modo migliore, tendesse ad essere
semplicemente, non nel senso impositivo, ma nella vittoria delle
pulsioni che sono in tutti noi, equilibrate tra fisicita' e spiritualita',
o, se si vuole dirlo con parole piu' precise, tra corpo ed anima. Cio'
e' avvertibile dal mutamento del titolo delle due stesure che lĠopera
ha avuto: da ani-male / di / scrvivere che era nella prima, al
piu' semplificato animale; una sintesi violenta del disagio tra
il puro esistere e l'anima, divisa tra forte volere e remissivita' o accettazione
serena del peggio, qualcosa che sta al di qua, ma anche supera la caparbieta'
di essere, come se ogni dicotomia possibile fosse risolvibile e finalmente
risolta nella scrittura, che le e' del tutto indispensabile. Non che l'autrice
del libro voglia imporre a tutti il suo essere a modo suo. Non ho mai
conosciuto persona piu' di lei tenera, ma in cosi' forte tensione tra
buon senso kantiano (lo si puo' dire?), di vita goduta in tutte le sue
migliori aspirazioni, e il rischio di non farcela, che l'ha fatta soffrire,
e porta a soffrire chi la legge. Si puo' essere timorosi persino nel parlarle,
e, piu' ancora, nello scrivere di lei, come dinnanzi ad un essere in se'
condizionato, ma che pure coglie le possibilita' del molteplice, le diversita'
del possibile, per cui, in fondo, ci si rinfranca, con speranza. Non so
di altri modi piu' autentici di essere nella poesia: non voglio considerare
i puri e sicuramente gratuiti estetismi che talvolta certi nutrono. Si
possono scegliere tra le sue carte passaggi, o frasi, o pensieri e immagini,
o gruppi di versi a caso, e ci si accorge subito che tutto e' legato a
una quiddita' di valori veramente umani e letterari, che non si riscontrano
in molte altre anime. Si puo' pensare forse a una Saffo, munita della
sola voce, privata della sua cetra, a una Dickinson che abbia piena coscienza
della solitudine in cui era, a una Virginia Woolf, piu' lucida riguardo
alle proprie capacita' scrittorie, a una Marina Ivanovna Cvetaeva, tormentata
anche nella fisicita', a una Patrizia Valduga, che alcuni anni sconvolse
il mondo letterario con versi d'amore di una fisicita' estrema, soprattutto
come recitati dalla sepoltura. L'idea dell'oltre e' sempre presente in
Paola Turroni, come quella dell'intersecazione dei tempi della propria
vita con quella di tutti, lei lontana e pure vicinissima. Ho scritto mesi
fa una presentazione di alcuni suoi testi, e non ripudiero' nulla di cio'
che ho scritto; purtroppo il lavoro e' fermo presso una rivista, che non
oso forzare perche' troppo vicina al cuore, e, nel frattempo, l'autrice
ha portato ai suoi testi delle varianti confacenti al suo piu' recente
stato. Credo che riprendero' piu' volte a dire di lei, se la scrittura
dell'autrice si concretizzera' in altri libri, come sicuramente sara';
e se il tempo mi durera', devo anche dire. Fra me e l'autrice c'e' una
grande divisione di eta', ma non ne avverto troppo la pena, cosa che non
e' solo merito mio: gli anni giovani della scrittrice sono stati colmi
di conoscenze intellettuali e di tali meditazioni, da riempire e saturare
tutte le diversita' e le differenze possibili. Ho come l'impressione che
Paola Turroni stia reprimendo molto del suo mondo precedente, volgendolo
verso una migliore accettazione dell'Io, evitando di premere sul pedale
della ribellione, a favore dell'essere normale di tutti. Di certo, non
perdera' mai il terribile ricordo della autodistruzione rasentata. A quali
altri autori porta a pensare la presente raccolta? a due, essenzialmente:
Antonin Artaud e Arthur Rimbaud. Per Artaud gli accostamenti sono da vedere
nella coesione del pensiero alle parole, e nella crudele possibilita'
che essa ha tuttora circa l'autolesionismo e l'autolacerazione. Per Rimbaud,
mi si ripropone sempre il dubbio se egli fosse conscio della propria autenticita'
e verita' di poeta: era poco piu' che sedicenne, quando travolse Verlaine,
che si apprestava a vivere una vita da tranquillo borghese. Ho un po'
la medesima perplessita' riguardo all'autrice. Mi domando se essa e' pienamente
cosciente di essere una delle voci piu' nuove della poesia, non solo italiana.
E' una constatazione che mi sono fatto, e che mi e' rimasta per tutta
la rilettura di questa opera prima. Vedo la stessa naturalezza di scrittura
di Rimbaud. La stessa estrema sensibilita' ricettiva. La Turroni e' come
da sempre nata per questo modo di scrivere: la vita sua, da molto tempo,
sin dalla nascita, l'ha portata a questo. |
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