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FaraPoesia
di Giancarlo
Cecchini
Si tratta di un’antologia sui generis, come viene definita
dallo stesso curatore, che raccoglie poesie di dieci poeti. Vediamo in
cosa consiste la particolarità del volume. In primo luogo, l’opera
mette insieme autori che, per nove decimi, hanno già pubblicato
con FaraEditore. In secondo luogo i poeti si auto-presentano raccontando,
in una breve premessa alle loro poesie o poemetti, le vicende e le ragioni
della loro esperienza letteraria. Il terzo elemento di spicco, che è
senza dubbio anche il più originale ed importante, consiste nel
fatto che, in una sorta di castello dei destini incrociati, i poeti si
scambiano, a due a due, le considerazioni sulle reciproche raccolte. Si
viene così a determinare come una condivisione, un’appartenenza
ad una categoria (potremmo definirla dei FaraPoeti, appropriandoci dell’auto-definizione
di Massimo Pensante,
a pag. 251 del libro), che nulla ha a che vedere con una “scuola
poetica”, perché ciascuno mantiene i suoi caratteri quasi
mai riconducibili a quel filo comune che identifica i movimenti letterari,
ma che fa, dei partecipanti all’antologia, i veri protagonisti della
raccolta. Quest’ultima infatti diviene in qualche modo soggettiva,
perdendo anche quegli aspetti, sia pure marginali, di oggetto passivo
che, finora, avevano caratterizzato le antologie rispetto al curatore.
Non ritenendo possibile addentrarmi criticamente nelle singole poetiche
dei dieci autori, non riesco, però, a sottrarmi all’impulso
di fornire, per ognuno di loro, una brevissima impressione. Poco più
di una password che è scaturita dentro di me, dalla lettura e che,
forse, mi servirà nelle successive frequentazioni che non mancheranno,
per inserirmi, come un hacker, all’interno di ciò che ogni
poeta dice e nasconde, o, per dirla con le parole di Maria
Lenti a pag. 156, per appropriarmi, se mai sarà possibile,
di quello scarto che esiste “tra la poesia da scrivere e la poesia
scritta”.
Gladys
Basagoitia, Il colore dei sogni: carnalità,
che fluisce nell’amore materno, nello scorrere del sangue e che
si travasa nell’aurora, nella natura, al cospetto delle costellazioni
immutabili, finché arriverà il Nuovo Messia.
Daniele Borghi,
Recapiti sbagliati per indirizzi falsi: tempo, come ritmo
che scorre libero fra la luce ed il buio, i colori e l’oscurità,
la verità, ora vicina, ora lontana, il silenzio e la parola, l’istante
e la costante dei tempi dell’amore.
Carmelo Calabrò,
QQ quasi quotidiana: contrapposizione, fatta di ciò
che è e che non è, agire e immaginare, vivere o rinunciare,
andare e tornare, o restare. Le giornate sono scure o sono chiare, le
cose o le azioni sono immediatamente contrapposte come le parole ai silenzi.
Paola Castagna,
Erateide… ne vorrei fare un giardino: armonia,
difficile, continua e discontinua, del corpo e dell’anima, che deriva
dai patti, dagli accordi, dagli scambi, dal volere e dall’offrire,
stabilire e limitare. Atti d’esistenza e loro tradimento, diserzioni
e proposte che si concludono nell’accettarsi, nella simbiosi, nella
tregua fatta di legami ed alleanze. Ma rimangono spettri ad ondeggiare
e solo la speranza di penetrare la corteccia.
Narda Fattori,
A che punto è la notte?: identità, di chi
non appartiene ma nulla rinnega. Di chi cura gli oscuri mali con la parola.
Identità di albero potato, di chi è senza casa e senza ristoro.
Nel definirsi non cerca la distanza e ci esorta a non fare tardi alla
nostra ora.
Maria Lenti,
Il gatto nell’armadio: progressività, nella
successione (mai elencazione) degli oggetti, delle parole, come in una
sequenza di decollo di chi s’innalza senza mai staccarsi da ciò
che sorvola, per vedere e rivedere, per vivere e rivivere le cose da cui
siamo circondati. Se non si guarda nei cassetti, nell’armadio, nelle
credenze, come si può trovare?
Roberto Mercadini,
Buriane: ritorno, come nuovo manifestarsi di ciò
che circola e ricircola. Ritorno dei germogli, farsi carne, sgusciare,
zampillare e, a tratti, stare, fissare, restare, in una cantilena che
parla all’infinito.
Ardea Montebelli,
Un’anima intera dal Cantico dei cantici: certezza,
ricercata in ciò che si annida, che obbliga. La mano va presa,
l’alba è vera, le mani conosciute, le distanze misurabili
(dal poeta). Il sogno è che l’acqua sia acqua, il buio il
buio. Esiste, però, ciò che ci spinge a toccarci, ad unirci?
Il segreto viene rivelato? O conviene sussurrare per non svegliarsi?
Andrea Parato,
Il nostro esilio quotidiano: ricerca, della vita ritrovata
dopo l’esilio, la lontananza, l’assenza, l’attesa, la
solitudine del naufrago. Il ritorno al paese cimitero, finché affiorano
i semi sparsi, i germogli, i campi seminati di pane, di vita. L’esilio
si conclude col ritrovare la casa.
Massimo Pensante,
Il bambino e l’acqua sporca Poesie salvate: percepire,
integralmente con l’udito, la vista, il palato, mentre la natura
si manifesta. Piove, c’è il sole, è notte, tira il
vento. Si esprime un mondo che, però, non esiste più, “la
vita passa sotto i ponti”, dell’iceberg si vede solo la punta.
Febbraio 2006
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