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AA. VV. Le voci dell'arcobaleno

 

Il sito dell'autore www.drazangunjaca.net

Un libro onesto sulla guerra nella ex Jugoslavia

Congedi balcanici di Drazan Gunjaca
Dieci storie di gente qualunque come esempio per tutti

di Anna Calonico

Drazan Gunjaca: primo ufficiale della Marina Militare Jugoslava a Spalato, ora avvocato a Pola. Una ventina d’anni fa ha scritto un romanzo, A metà strada dal cielo, che non ha mai pubblicato; ha dato alle stampe invece il secondo romanzo, Congedi balcanici, e il suo seguito, Amore come pena (2002). Tutti libri sulla guerra, scritti non per esporne la cause, che anzi l’autore lascia chiarire ad altri più competenti, ma per sperare che un conflitto come quello che ha vissuto nella sua terra non si ripeta più.
Per quanto riguarda Congedi balcanici (Balkanski rastanci), uscito in Italia nel 2003 presso Fara Editore nella traduzione di Srdja Orbanic e Danilo Skomercic, va detto che ha rappresentato per Gunjaca un ottimo esordio, elogiato, premiato e pubblicato in Germania, Bosnia Erzegovina, Serbia, USA e Australia. È un romanzo contro la guerra, in particolare contro tutte quelle difficoltà che la popolazione coinvolta deve affrontare, come, soprattutto, l’impossibilità di mantenere i legami affettivi ben saldi. Si tratta quindi dei problemi degli individui, presi singolarmente perché più indifesi. Nella narazione di Gunjaca non si parla di divise, perché ognuno dei suoi personaggi intreccia il suo dramma con quello dei suoi nemici. Non ha importanza se il protagonista è serbo o croato, se la sua donna è serba o croata; la sofferenza di cui ci parla Congedi Balcanici è al di sopra di queste distinzioni. È stato notato che la trama di questo romanzo è fatta quasi "a spirale". Ogni personaggio entra nel racconto in un momento preciso, ci mostra la sua storia e poi si "congeda", tutto nello stesso capitolo. Sembra che il suo ruolo sia completo, che Aca, Boris, Mario o gli altri non tornino più in scena, ma ecco che più avanti nella narazione si trova lo stesso personaggio, "cresciuto" con la guerra e quindi cambiato, così che l’autore può portare avanti il discorso continuando la sua storia. Naturalmente, per alcuni dei personaggi ci sarà un secondo congedo, questa volta definitivo, e nell’introduzione Gunjaca dedica il libro proprio a questi amici scomparsi: "Riposino in pace ovunque siano stati sepolti... è solo grazie a loro che credo sinceramente nell’esistenza di un'altra vita, qualsiasi forma essa abbia, perché se la sono meritata”. Quasi le stesse parole che mette in bocca a Robi, il protagonista: “Per noi, nati nei Balcani, la seconda vita è una garanzia, perché la prima non conta un cazzo. Annullata in anticipo". Obiettivo di questo lavoro era raccontare che cos’è stata la guerra nei Balcani e l’introduzione ci avvisa che l’obiettivo è stato centrato: il libro "ha soltanto dieci capitoli ma poteva averne pure trenta. Comunque, mi sembra che tutto quello che volevo dire in questi dieci capitoli l’ho detto". Leggere per credere.
Questo romanzo di duecento pagine parla di un luogo dove nessun male è temporaneo, ma solo le cose belle lo sono; dove può succedere qualunque cosa, perché tutto è sfuggito alla logica e alla ragione; dove un uomo non può meditare da sobrio sul proprio passato, o, peggio, sul proprio futuro; dove nessun ideale si può realizzare, perché qui gli ideali durano solo "dall’oggi al domani", e per quanto lungo possa essere questo "dall'oggi al domani", arriva una scadenza. È un luogo in cui sono successe così tante cose, si sono combattute così tante battaglie, da poter riscrivere più volte una nuova Iliade; "Dio solo sa in quanti sono morti in quelle distese di granturco" e forse Dio solo sa quanto deve essere grande l'altare della patria su cui devono stare seduti tutti gli eroi che per lei hanno dato la vita. È Robi che medita su questo, ed è sempre lui a chiedersi come la "liberazione" possa restituire tutti quei martiri e figli scomparsi ai loro parenti che non essi hanno perso il mondo intero, a prescindera dalla nazione in cui si sono trovati a vivere: dal dolore e dalla sfiducia il protagonista passa alla rabbia, pensando alle centinaia di giovani che sono stati mandati a morire, e anche chi è sopravvissuto si è trovato con la vita distrutta per sempre, ma nulla di tutto ciò è successo ai rampolli dei grandi capi, che tornano "in patria" dall’estero solo per qualche festa, senza neppure prendere coscienza che "in patria" c’è la guerra.
E vittime assolute risultano essere solo i giovani volontari come Denis, pieni di forza, speranza e coraggio, persone contente e piacevoli... finché non è arrivata la guerra, coi suoi morti, i suoi feriti, e i suoi traumi psicologici, addirittura snobbati e persino condannati dai tribunali "civili" che non hanno conosciuto il fronte. Vittime assolute sono anche i bambini, che si ritrovano a dover colmare il vuoto lasciato dal loro padre con oggetti muti, con l’ultima lettera dal campo di battaglia. Bellissima, anche se forse un po’ patetica, la scena dello "scambio di figli" tra il serbo Aca e il croato Damir. Suggestiva anche perché sembra creare la speranza di un bene possibile. Ci sono, in tutto il romanzo, delle storie "a lieto fine", ma ci sono anche personaggi che crollano proprio quando sembra che abbiano raggiunto la loro gioia, o mentre stanno superando gli ultimi ostacoli.
Significativa la scena del bombardamento: cosa si può fare sotto un lancio di granate? Pregare. E se Robi ha scordato le preghiere? Comincia a pregare lo stesso, bomba dopo bomba gli torneranno im mente: sei ore sono un tempo sufficiente per ricordare il Padre Nostro. La gente comune può soltanto subire la distinzione tra amici e nemici, e, soprattutto, diventare esperta di questioni militari, come a Sarajevo, "come sopravivere nel tragitto dal rifugio del mercato. E viceversa, chiaro!"

(TRIESTE Arte & Cultura, n. 75, maggio 2004)

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