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Intervista a Giuseppe
Callegari
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L'amore si sporca le mani
di Mimmo Basile
Le piccole storie di Giuseppe Callegari, racchiuse a mo’ di scrigno
in L’amore si sporca
le mani, vanno colte come grani di un rosario. Carezzate, il tempo
di un’Ave Maria, con intensa leggerezza, fra i polpastrelli: avvertirne
l’intima sostanza tra la pelle e la rugosità dei grani.
Un rosario di emozioni in affanno, assaporate pigramente, un rosario profano,
dove la disperata consapevolezza dell’umana irreversibilità,
zavorra pesante verso l’immanente, fruga ogni flebile inerzia trascendentale.
Laceranti vissuti quotidiani narrano il consumarsi continuo di una vita
troppo vuota e troppo piena. Vegliardi fragilissimi, gioventù indifesa,
adulti destrutturati s’infrangono contro lo tsunami del potere,
della verità, dell’ipocrisia, fatta convenzione sociale e
perbenismo benpensante.
Incerte suggestioni oniriche si dissolvono in malcelati silenzi siderali,
sospesi tra l’angoscia di vivere e l’inquieto, inesorabile
piombare del destino.
Le avventure di vita narrate, incalzano il lettore vibrando come vento
capriccioso che scompiglia i capelli, in un rapimento, tra i fastidio
del confronto con la dura realtà ed un mistero inafferrabile, una
pervasia malia che scorre carsica, insinuandosi tra i racconti. Giuseppe
Callegari coglie con il suo “immaginario occhio di bue” l’essenza
dell’animo umano: un velo leggero, un sudario che traspare.
Roma, aprile 2005
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