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AA. VV. Le voci dell'arcobaleno

Libri Nuovi


Guerra senza fine
Congedi balcanici

ed. or. 2001, trad. Srdja Orbanic e Danilo Skormenic

di Gliulio Maria Artusi

Il protagonista del romanzo si chiama Robi. Fa l’avvocato a Pola (Pula in croato), esattamente come l’autore del romanzo. Come questi ha alle spalle un lungo periodo di servizio nella marina militare dell’ex Jugoslavia e come l’autore non riesce ad abituarsi all’idea di una guerra che divide le famiglie, spezza i matrimoni, avvelena i rapporti tra amici. È l’inizio degli anni Novanta, la frattura interna della Federazione diventa guerra aperta. Croati e Serbi tornano a combattere, fedeli a una tradizione che li ha visti nemici per lungo tempo. Soprattutto vittime della "tradizione balcanica", dice Robi:

"Gli altri appartenenti alla razza umana non si sono mai e mai si adatteranno ai Balcani, e tanto meno capiranno la sua gente […]: non possono capire la forza delle nostre numerose verità storiche, degli ancora più numerosi miti viventi e degli inganni attuali che nessuno conta più. […] In tutti i Balcani non puoi trovare due persone che la pensino più o meno allo stesso modo. Non ha importanza a che nazione appartengano. In mancanza di un’idea comune la guerra è soltanto un altro modo di condurre la politica.

Robi pensa che la guerra sia un inganno ma non riesce a convincersi che esista un modo per fermarla e impedirla, proprio come i suoi amici, tutti ex commilitoni, unito a loro da un fatalismo molto simile a un incantesimo. La difficoltà di immaginare un mondo senza guerre, omicidi, vendette li accomuna, filtra come un veleno nei rapporti personali, nei ricordi, nella vita di tutti i giorni. Molti tra loro hanno sposato donne serbe e si trovano definitivamente separati da mogli e figli, improvvisamente alla deriva. Il ritorno alla vita militare appare per molti un’occasione, una speranza maledetta, un modo per reagire a una situazione incomprensibile. Partono per il fronte, qualcuno per difendere la patria rinata, i più, almeno in apparenza, perché è impossibile pensare di non farlo.
La guerra ha segnato la vita dei loro padri, dei loro nonni. La guerra è una perfida madre ma regala uno scopo definito e nitido che ha a che fare con la vita e la morte. Qualcosa di più importante e assoluto del vivere la mediocre vita di tutti i giorni. È un rifugio alla solitudine e, forse, ai pensieri. Una menzogna raccontata in primo luogo a se stessi.

"[…] tutte le guerre hanno talmente tante cose in comune che non ha proprio senso parlarne al plurale. Dunque, non capiamo che la guerra ci bussa alla porta non perché le nostre serraturine la possono fermare, ma per giocare con la nostra ingenuità. Anche la guerra è una creatura piena di curiosità. Le interessa sapere fino a dove arriva la cecità degli uomini. E poi, quando capisce che non ha limiti, non ne può più della sua elementare educazione (che all’inizio rispetta sempre) e ritorna alla sua natura originale.
Intendiamoci, non è che fa finta di essere qualcos’altro all’inizio. Anzi. Probabilmente si diverte un po' per il fatto che la gente le dà diversi nomi, tutti eccetto quello vero. Ed il suo vero nome è guerra. Niente di troppo difficile da ricordare o capire. Almeno sembra così. E quando finalmente la chiamiamo col suo nome, e dobbiamo farlo, prima o poi, allora per molti è già troppo tardi." (da Si chiama guerra)

Robi non parte, non vuole ritornare al mondo militare. Non ha abbastanza paura da voler ritornare soldato. I suoi amici partono, l’uno dopo l’altro. Fuggono, si nascondono, scompaiono. Si congedano da lui e dalla vita. Mario, barista fallito, Denis, cadetto posseduto dall’idea di eroismo e di patria respirata in casa. Damir, uomo reso retto dalla vicinanza alla morte. Vite comuni divenute inestimabili per la loro unicità, che Robi, recalcitrante, disperato, è costretto a ricordare senza risparmiarsi nulla.
Non c’è un solo filo di retorica in questo libro, nessun Grande Mistico Insegnamento, niente fervorini morali né giudizi o certezze. Soltanto incredulità, amarezza e lucida disperazione.
Robi beve, è mediamente pigro ed egoista, ha rapporti non troppo facili con l’altro sesso e ha una certa tendenza a lasciarsi andare alla deriva, a rifiutare emozioni e sentimenti troppo intensi e coinvolgenti. Ma nonostante questi difetti non riesce o non vuole sfuggire alle sue responsabilità. Stramaledicendo il mondo, gli amici, i parenti e la guerra fa fronte agli eventi come può e riesce, senza esaltarsi o cercare di raffigurarsi migliore di quello che è. È un testimone, una mente che pensa e scrive, affidando a noi lettori la responsabilità di dare giudizi o cercare i colpevoli.
Paradossalmente Congedi balcanici è un libro spesso divertente, forse atrocemente divertente, quando racconta di vecchi odii mai sopiti ma della cui ragione si è in realtà dimenticato il motivo, di litigi e storie di eredità, di piccole e grandi astuzie, di soprusi, di tradimenti e del disappunto degli operatori turistici dalmati. Per un lettore italiano c’è davvero molto di familiare in questo vivere la guerra in casa, in posizioni politiche o scelte ideologiche prese in odio a qualcuno piuttosto che in base a una scelta meditata.
Nei Balcani ci si lascia vivere e morire senza troppo protestare – racconta Gunjaca –, accomunati dall’inconscia convinzione che la vita sia una semplice parentesi, un momento che, come un abito da cerimonia, deve essere indossato con un minimo di dignità. Il suo scopo non è importante, ammesso che vivere abbia uno scopo di qualche genere. Vivere è un momento che segue l’altro: amicizia, passione, paura, poi di nuovo passione, amicizia, paura, poi ancora. Il carosello termina, deve terminare. È normale sia così e sarebbe idiota negarlo.
Robi condivide questa visione della vita. È nato nei Balcani e sa come vanno queste cose. Ma non riesce a farsene una ragione. Si stupisce ancora, prova sincero dolore, si chiede se sarebbe stato possibile qualcosa di diverso. In questo sta la forza del suo personaggio e anche la grandezza profonda del romanzo.
Drazan Gunjaca è scrittore, poeta e commediografo. La sua familiarità con la forma teatrale è facile da intuire anche nel testo narrativo, ricco di dialoghi vivaci e coloriti senza alcun ricorso a stereotipi o a onomatopee, gerghi o falsi "realismi".
In Italia ha ricevuto numerosi riconoscimenti, sia per la trilogia dei Congedi Balcanici composta dall’omonimo romanzo e da A metà strada dal cielo e Amore come pena (inediti in Italia), sia per la raccolta di poesie Quando non ci sarò più (2002) e per il dramma Roulette balcanica (2002), pubblicato da Fara.
Il suo sito internet è: www.drazangunjaca.net

(Libri Nuovi, n. 28, dicembre 2003)

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