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Il Mucchio Selvaggio
Congedi balcanici
di Francesco Mazzetta
Di Drazan Gunjaca abbiamo già parlato di Roulette
balcanica. Congedi balcanici, ora pubblicato sempre da Fara, non si
discosta molto da quell’opera. Sebbene Roulette abbia la forma di
dramma ed invece Congedi quella del romanzo, occorre osservare che in
quest’ultimo prevalgono i dialoghi e quindi i due libri non differiscono
molto per questo aspetto. Di più: fondamentalmente Roulette è
lo sviluppo in forma teatrale proprio del capitolo iniziale di Congedi.
Entrambi hanno come oggetto la guerra che ha smembrato la Jugoslavia trasformando
improvvisamente parenti ed amici in stranieri ed antagonisti. Se vogliamo
sottolineare una differenza allora occorre indicare piuttosto il sentimento
che ispira le due opere. Roulette
è un testo breve, compatto, con un respiro ed un esito tragico.
Congedi è invece
una narrazione ampia, e se si deve sintetizzare con una parola il genere
a cui tende, occorre parlare di farsa.
Farsa perché la vicenda viene vista attraverso gli occhi di Robi,
ex ufficiale della marina jugoslava che vive a Pola, porto relativamente
tranquillo, che guarda sfilare davanti a sé amori ed amicizie travolti
dalla bufera della guerra. Essi si congedano da lui diretti o verso il
fronte o verso un rifugio sicuro in terra straniera. Continuamente sollecitato
dagli uni e dagli altri, Robi è da un lato troppo convinto della
futilità di una guerra che lo contrapporrebbe ad ex commilitoni
per consegnarsi alla guerra, e dall’altro incapace di lasciare la
propria terra pur martoriata dalle assurdità del potere. L’unica
soluzione è il fatalismo, il considerare inevitabile il destino
di guerre e di lutti per i Balcani in modo che le tragedie si trasformino
in qualche modo in farsa, in eventi assurdi e addirittura ridicoli ma
senza per questo perdere un grammo della loro drammaticità, come
il soldato uscito di testa che passeggia per le trincee con l’unica
difesa d’un ombrello aperto o l’amico Mario che dopo essere
scampato ad innumerevoli battaglie muore cadendo in un fosso.
Sembra di trovarsi davanti ai dischi folk-etnici di Goran Bregovic (altro
bel “mostro” pan-slavo: nato a Sarajevo da padre croato e
da madre serba). La sua musica, realizzata per matrimoni e funerali, è
l’omologo sonoro della scrittura di Gunjaca: un fatalismo in parte
grondante dolore ed in parte cinico, ma mai freddo, anzi perennemente
riscaldato dall’alcol, dalle sigarette e dalla buona musica.
(Mucchio Selvaggio, n. 553/2003,
p. 49)
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