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Recensioni opere prime: Paola
Turroni, animale
di Giaunluca Bocchinfuso
"Quando
scrivo non decido di farlo, è indipendente, qualcosa
che scatta nel corpo come un flipper. Non è una comunicazione
concreta, è per esprimere qualcosa che sta fra i fatti e i pensieri"
(pag. 42).
Il cammino della scrittura, lo sforzo della parola che diventa tante
cose, che si allarga nell'universo dei significti per rendere eterno
un verso, un racconto poetico. È questo il senso più riposto
della intensa silloge di Paola Turroni, già segnalata sul numero
58 di questa rivista.
L'autrice pone al centro della sua ricerca la parola, un atto di forza
espressiva che allenta le distanze del mondo, che scandisce il ritmo
del tempo, che permette di poetare in maniera libera su ogni cosa, "Voglio
scrivere tutto / voglio crescere alberi. lana e foglie / qualcuno che
non si metta in fila agli altri / ma qualcuno che svuoti nuvole sulle
zolle / la solitudine entra nei buchi e fa compagnia " (pag. 11):
non c'è limite alla possibilità che la nostra mente ha
nel descrivere ciò che ci appare; basta la fantasia dell'essere
umano, quella volontà che non si ferma davanti al dato immediato.
Questo senso di universalità della parola non traccia spazi predefiniti.
Con l'autrice viaggiamo nel tutto non circoscritto che crea il senso
della vita animata e inanimata: "devo riuscire a prendere respiro
e scrivere tutto / per difendermi da questa gabbia no ho costruita un'altra
/ sì è vero avevo scelto / quella sensazione di ineluttabilità
che andava oltre il contingente / so cosa ho scelto" (pag. 12).
Lo sforzo poetico della Turroni è immediato. L'autrice naviga
nel labirinto dell'esistenza con la consapevolezza di cercare un linguaggio
di vita, un "respiro" alla propria anima e al proprio corpo,
momento uniformante di tutto un processo che vede l'uomo soggetto-oggetto
del proprio agire, prima schiavo di sé stesso e dei suoi bisogni,
poi autonomo "animale" guidato dalla specifica indole, fuori
dal recinto dei sentimenti: "Un'ora come questa / il mio io animale
/ sotto la scorza e la storia / l'ora del sole d'estate dalle sette
alle otto di sera / quando gli uccelli urlano / incastro / i sensi insieme
/ ronzano libertà al ritmo del ronzio / atrofizzati, vacillano
/ l'ora intensa, torbida soavità di colori e odori / l'ora in
bilico / attimo di trapasso / come le rose nella forma che sono un attimo
prima di sbocciare / lo stesso bilico dell'attimo prima di appassire"
(pag. 89). Questo io che si mescola con la storia non è,
come apparentemente potrebbe apparire in alcuni versi, senza amore;
anzi, la passione è smisurato attaccamento a tutte le forme di
essere che si muovono con l'uomo-animale. L'amore riflette il senso
dell'altro, il colore caldo delle cose, in un processo continuo di cambiamenti
che è il vero tesoro che la vita ci permette quotidianamente
di svelare nell'ondeggiare incessante delle stagioni. L'amore riempie
di anima e senso il corpo che, altrimenti, rimarrebbe negativa e insensata
scatola vuota: "amore è sapere / il sapere dell'altro /
saperlo fino a tutti gli angoli (
) Ti conosco, ti entro dentro,
posso farlo, se so dove ti faccio bene e dove ti faccio male | se non
lo so non ti amo / così, come si fa / si gira per la stanza tagliando
via gli angoli / si lasciano le porte aperte per vedere e non guardare
/ l'amore è prendere" (pag. 90).
La poeisa della Turroni porta implicito l'invito all'indagine interiore:
non possono esistere sensatezza e passionalità umane senza la
ricerca personale del proprio io, dell'equilibrio individuale
che sta alla base della crescita singola e generale.
L'uomo che non si guarda dentro, è un uomo che non vive il proprio
mondo e non cresce con esso. È un uomo morto, annoiato dalla
sua ripetitività, spento nel suo sguardo: come ripete l'autrice,
corpo senza anima.
La voglia di andare oltre, di coniugare quanto più è possibile
le ricchezze dell'esistente, si lega anche con il suo modo di fare poesia:
l'autrice cerca insistentemente di occupare tutti gli spazi della pagina;
ha voglia di sentire il respiro completo degli angoli del foglio, con
una tecnica che in molti momenti confonde poesia e prosa in un balletto
di stile originale e immediato.
La sua lingua è caldo racconti di immagini che sono il nostro
mondo, susseguirsi di discese e salite che rappresentano la realtà.
Non resta che cantare in libertà il sogno del vivere che cambia
quotidianamente ogni essere che sempre diverso s'affaccia al giorno
che verrà, seguendo "una strada in cui camminare / (avere
ricordi, essere memoria)"' (pag. 85).
(«Il
Segnale», n. 36, 2002, pagg. 48-49)
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