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su Il Colore dei sogni
Scrivere per Gladys,
che ho avuto modo molte volte di ascoltare, è scrivere per un’assenza.
Perché Gladys è
persona carismatica e vivificante, che trasmette con la sua persona energia
e luce. Perché allora di fronte all’antologia che si apre
con le sue opere (Fara
Poesia), ho sentito vibrare come un suono lungo, di violino in fondo
a un luminoso corridoio?
Gladys, mi sono detta, canta allora da lontananze, non con voce da sirena,
ma con le modulazioni del vento. Giunge fino a te integra, pura, lavata
dal ritmo di una pioggia che scandisce i suoi versi come un metronomo.
L’architettura delle parole a volte è simile a una scala
che ascende, altre inaugura archi e volte
dove il senso si ritrae per essere colto in flagrante reato di stupore.
L’assenza di maiuscole, i numeri, creano una suggestione quasi cabalistica,
un continuum che neppure il grassetto dei titoli riesce a scalfire. Le
sue poesie sono autentici bassorilievi, a volte sculture a tuttotondo
perché le immagini sono tangibili, non solo visive. Suscitano emozioni
e suoni profondi. Gladys unisce alla delicatezza della sua persona la
forza di un guerriero di luce che sfida la sorte a viso aperto. È
il suo coraggio, la sua grande dignità e generosità che
la rendono cara.
Maria Pia Moschini
8 febbraio 2006
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FaraPoesia
di Vincenzo
D'Alessio
La nuova antologia forgiata dalle edizioni Fara di Rimini depone a favore
di una linea seguita intensamente dal curatore: seminare, seminare, seminare,
nuove voci, nuova semenza perché dall'insieme delle voci nel coro
affiori l'assolo.
Questa sembra essere la chiave di lettura dei poeti contenuti in questa
nuova antologia. L'incipit è affidato a una voce "altra"
del panorama letterario, una delle voci che traduce – da una lingua
diversa dall'italiano – sé stessa con il vigore della terra
natale: è la poetessa Gladys
Basagoitia. Peruviana di nascita, italiana di adozione, raccoglie
in questa Colore dei sogni l'ardore per le vibranti necessità
dell'umanità in questo secolo, versi epigrammatici, forti, essenziali:
il fuoco, il sangue, il mare, il pesce, la fede, il rito, sono tante similitudini
sofferte per annunciare il Capo d'anno e Il nuovo Messia:
inizio e fine di un anno senza tempo, cercato nel ventre della terra.
Donna che vive la propria femminilità intensamente, profondamente,
perché – come lei stessa scrive nella presentazione –
"ma vivo anche il dolore che l'amare tutto questo mi procura"
(p. 19).
I versi di Daniele
Borghi sono complessi e corrosivi come la scrittura in prosa. Dietro
la musicalità si nasconde l'uomo scrittore che continuamente mette
in discussionela sua esistenza nel cosmo che lo circonda. Ma musica scandita
da questi protoversi sono la sintesi di una lunga scrittura programmata,
ancorata alla duttile personalità di Borghi (che non ama molto
la critica letteraria): "La mente s'accortoccia sul passato / inutile
gendarme spaventato" (p. 50). Non occorre grande artifizio per seguire
la parola ascendente di questa poesia tutta protesa a contrapporre l'essere
al divenire: "perché il vero profondo del silenzio / ha parole
che la voce non pronuncia" (p. 56). Sono molte le metafore, le similitudini,
le provocate assonanze per alleggerire la pena sempra presente: "A
volte si tengono per gli occhi / e si stringono le mani" (p. 66).
L'indirizzo utile al poeta di una raccolta opposta resta l'attesa.
La voce fuori dal coro è quella di Carmelo
Calabrò, poeta dall'infanzia che cresce con la sua bella poesia:
leggera, impalpabile, ironica, mistica, mitica, lussureggiante d'amore
in ogni oscillazione metrica. La raccolta Quasi Quotidiana
è una indicibile (perché non tutto della poesia è
spiegabile) forza di sospensione che annulla i cardini ottundenti delle
solitudine che oggi, nei nostri giorni, uccide come le guerre sparse sul
pianeta. L'incipit della raccolta è affidato al tempo: "Il
tempo spesso non parla / aspetta parole e silenzi" (p. 74). Il seguito
è alimentato da un quotidiano esercitato sempre come "l'altrove"
fuori dalle rotte ordinarie e dai folli miti messi in onda da questi tempi
oscuri di ipocrisia. La poesia che della raccolta illumina il presente
e mette in moto il collegamento con la poesia del mondo, degli uomini
che ricordano è questa: "Guardi mai / Il passo della formica
/ O il sonno del passero? / Il fiume che scorre / E la pianta che muore?"
(Cittadino, p. 82). Non c'è attacco migliore per svegliare
l'egemonia degli esseri umani sull'armonia del mondo.
La poesia incorporea di Paola
Castagna vibra nel ronzio di un corpo reso pesante dalle prove dell'esistere
nell'esitenza di quella che la poetessa definisce "… nenia
di un quieto vivere" (p. 101). Sono le condanne di un corpo umano
che vuole somigliare sempre di più a un corpo naturale, tutt'uno
con la natura che ci chiama a convivere con l'io e il noi. Bene ha scritto
Gladys Basagoitia per questa
formula di Erateide: "Con i suoi versi, lei si dà,
generosa ci viene incontro, ci abbraccia" (p. 127). L'ascolto resta
la formula di comprensione dei versci che formano la corporeità
in questa nuova raccolta.
Chi, come noi, ha letto le poesie della raccolta Verso
Occidente della stessa autrice ritrova la parola che "costruisce
certezze" di Narda Fattori,
poetessa nel senso vero che questo sostantivo determina. La tessera nell'antologia
FaraPoesia che reca
il quesito A che punto è la notte? illumina come
un faro il viaggio del lettore, lo implica nelle metonimie messe in moto
dalla parola generata come "significato" per medicare l'ansia
tenebrosa dei nostri acidi giorni: "Io non appartengo al tempo /
ormai antica per sapienza inetta" (p. 133); "i cani aspramente
lo compattano / unisono belato chenon sa più ridere / e non ancora
piangere" (p. 136). Non riusciamo, come lettori, a saziarci della
lettura di ogni nuova raccolta della Fattori.
Sono tante le corrispondenze, le assonanze, le necessità che ci
fanno sentire come nostre le esigenze della poetessa. Tutta l'armonia
di un'arpa antica quanto la parola scagliata a suffragio universale: "…
si faccia conto solo della mia fedeltà / a quel che resta di me
/ della mia intelligenza della giostra / che tutti ci porta via –
in tondo: con un semplice refrain" (p. 134). Come non pensare per
similitudine all'immagine che il regista Ingmar Bergman offre nel suo
primo film Il settimo sigillo quando la Morte e i personaggi
ballano insieme?! Sono tante le immagini evocate, i dolori e le necessità
che innalzano insieme ai versi di questa raccolta. E anche noi, come tutti
i bambini sofferenti nel mondo che conosciamo ci chiediamo: a che punto
è ancora questa maledetta notte dell'uomo?
Il gatto nell'armadio di Maria
Lenti poemetto interfacciale composito variegato sbilancia il lettore
dall'inizio alla finedel suo estroso racconto: "… non sa morire
nemmeno sa campare / quasi che in cauda al suo perbene / nasconda e s'alimenti
di venenum" (p. 159). Ma non c'è da correre, altrimenti gli
oggetti posti lungo il cammino poetico farebbero inciampare la ragione
e far fluire nell'incomprensibile, imprendibile, temporalità il
gesto del dono che la poetessa ci fa: "… e il gatto con le
unghie". Il vissuto e il probabile vivere sono in questo semiserio
animale inaffidabile e libero.
Roberto Mercadini logora la parola
parodiando l'infinito. Lega le sue esperienze linguistiche ai versi, traccia
una mappa seducente per un cammino di versi in attesa di colpire il lettore
lungo la discesa alla sua poetica. Versi pervasi da un'antica musicalità,
da ancestrali passi biblici, da accordi doppi, da passi di danza leggera:
"… un raglio che viene / dai fondali del tempo / più
antico del logos / assoluto" (p. 197). Una poesia colta, che nelle
Buriane ride, ride con tutti i denti messi in fila indiana.
Ardea Montebelli, Andrea
Parato e Massimo Pensante fanno parte
dell'antologia con la loro poesia bella e pervasa da poemi, stanze vuote,
parabole.
Montoro Inferiore, novembre 2005
per contatti:
Vincenzo D'Alessio
via Sala 29 - frazione S. Felice
83025 Montoro Inferiore (AV)
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