|
Guerra dopo la guerra
|
|
TRENI SENZA ORARIO
Drazan Gunjaca
Scrivere o non scrivere? Guardare o non guardare? Vedere o non vedere?
Dire o tacere? A prima vista delle domande cruciali, ma in effetti banali,
perché quando succede qualcosa possiamo tacere quanto vogliamo,
è successo ugualmente. D'altronde, se qualcuno non vuole vedere
né sentire qualcosa, sono vane tutte le immagini e i suoni di questo
mondo.
Dopo la recente guerra durata cinque anni, che ora si è temporaneamente
spostata da qualche altra parte, e la sopravvivenza nel dopoguerra che
segue inesorabilmente, molte persone a me care si sono trasferite altrove
in cerca della terra promessa, una terra senza guerra e pianto, facce
tetre e sguardi spenti. Uno di loro si è trasferito in Spagna.
Un paese che l’ha subito affascinato. Un musicista. Anch’io
suonavo la chitarra tempo fa, ma lui... le sue melodie... una terapia
per l’animo. Mi mancava così tanto delle volte, di sera,
quando il sole stanco spariva dietro all’orizzonte ed io rimanevo
solo con i miei pensieri. Mi ci sono voluti degli anni per capire cosa
vuol dire essere condannati al ricordo.
Poco dopo essersene andato mi ha spedito una fotografia nella quale, quasi
irriconoscibile, abbronzato, suonava su una grande terrazza piena di turisti
che lasciavano entrare quei suoni magici direttamente nel cuore. Beati
loro. I turisti.
Ogni anno, all’incirca in questo periodo, lui chiamava e mi pregava
di andare a trovarlo. A vedere la sua oasi di pace. A condividere con
lui almeno una piccola parte di quel nuovo entusiasmo. Avrebbe pagato
i biglietti aerei, organizzato tutto, ha un amico a Monaco di Baviera
che mi avrebbe aiutato con l’aereo per la Spagna... Ogni anno penso
di andarci e non ci sono ancora andato. E non solo lì.
Mi ha chiamato anche quest’anno. Pochi giorni fa. Non ha parlato
di biglietti aerei, né dell’amico di Monaco... C’era
panico nella sua voce, disperazione... suona così familiare. Ha
parlato di sua figlia che qualche giorno prima era andata a Madrid. Non
ha chiamato. Non si sa dove sia. Mi chiede se ho visto quella stazione
ferroviaria? Sì, chi sa quante volte, e ora nuovamente. Le immagini
hanno sempre gli stessi colori. Nel retroscena la paura combinata all’incredulità,
sguardi smarriti; un’immagine di vita spezzata negli occhi offuscati.
Lui fuori di sé. Come, perché? Perché proprio qui?
Le domande si sovrappongono. Io sto zitto. Non rispondo. Ho dimenticato
come si fa a consolare gli altri. Da molto tempo. Ascolto soltanto. Questo
non l’ho dimenticato. Anzi.
Si è interrotta la linea. Non lo so qual era l’ultima cosa
che ha detto. Mi è sembrato che parlasse di nuovo di trasferirsi.
Dove? In quale paese? Su quale treno salire? Come riconoscerà quelli
che rispettano gli orari? Se non dipende da loro.
Guardo più tardi alla TV milioni di persone che stanno dimostrando
contro coloro per cui gli orari non significano nulla. Un’immagine
grandiosa dell’impotenza umana. Tutti hanno detto tutto. Ognuno
nel loro modo. Eccetto quelli che c’erano su quel treno...
Qualcuno gli ha detto che tutti i treni rispettano l’orario. E invece
di andare a lavorare, da amici o semplicemente a fare una passeggiata,
se ne sono andati a far parte della storia. Non centra niente se a loro
la storia non interessava affatto. Erano loro ad interessare la storia.
Chi sa perché? A chi importa ormai? Solo a quelli che “fanno”
la storia. A loro nome e a nome nostro. A quelli che nella propria pazzia
infinita hanno portato il passato ed il futuro allo stesso livello, a
scapito del presente. Non gli ha detto nessuno che non esiste neanche
un errore umano che non sia stato riconosciuto dal futuro, per quanto
lo dichiarassero l’unica, sacrosanta verità.
Ah, sì. L’ultima cosa che sono riuscito a dire all’amico
era di non smettere di suonare la chitarra. Mai e per nessuna ragione.
Finché suonerà ci sarà speranza per tutti quelli
che continueranno ad arrivare con quegli stessi treni.
Drazan Gunjaca www.drazangunjaca.net
|
|