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Dello stesso autore
La simmetria imperfetta
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Su In Cerca
di Narda Fattori
Il viaggio è un luogo letterario molto frequentato, con molti
e diversi scopi, con molti e diversi stili. Ramberti ci parla di un viaggio
come ricerca ed è un viaggio estroflesso nel mondo e interiore
attorno alla propria sensibilità esistenziale. Anzi, come è
già detto nei commenti collocati a fine opera, la ricerca è
tema e contenuto, scopo e presupposto, dato e ricercato. La ricerca è
sempre sapienziale, quindi non stupisce che spesso la poesia si risolva
epigrammaticamente o attraverso aforismi che sono descrittivi ed evocativi
al contempo, un distillato del percorso, un'illuminazione, una sorta di
messa a punto, perché la meta è altrove, certa e sicura,
ma qui c’è un farsi che ha bisogno di decifrarsi, di incontrarsi
con l’io che muta e sposta le traiettorie.
Così incontriamo il Ramberti che si gioca la polisemanticità
della parola “cerca”, voce del verbo cercare, ma anche frutto
- esito della ricerca stessa ( la cerca dei frati) e, con pudore e scarno
dettato, ci mette al corrente di questi esiti che sono sempre provvisori,
che non sono mai approdi, che appartengono solo al soggetto ma sono prodotti
di interazioni con l’altro, con gli altri, con il divino nella sua
enorme, insondabile sapienza.
Chi è in cerca, ma sa dove comunque è collocata la sua meta,
conosce l’inizio del percorso, soffre la necessità delle
soste, barcolla quando sente la sua fragilità, ne trae forza e
consolazione quando la commisura alla forza vera: “Io ti dirò
chi sono / a braccia aperte / come un bambino / che non sa recitare /
il silenzio della vita...” Anche la fragilità della carne
dell’uomo ha una sua dignità e delle sue ragioni, inscritte
nell’essere uomo: “La voglia di anfratti / di carne è
diffusa / dai pieghi dell’anima.”
Non è immune il poeta e l’uomo Ramberti alla cedevolezza
dello spirito in certi momenti che quasi dispera: “Svolgo la sintesi
/ seleziono l’analisi / spero nell’eco.”
Altri incontri come questo mi sollecitano a pensare che egli non soffra
lo smarrimento nella ridondanza del vivere di questi tempi, dove l’esistere
è tronfio e si colloca a sostituzione dell’essere. Anche
se “francescanamente” Alessandro può affermare “Come
un dado rotolante col destino / ho lasciato poche tracce del passaggio”
(e chi mai oserebbe affermare il contrario se solo dotato di un minimo
di buon senso) pure ciascuno di noi è di una sacralità e
di una intangibilità che non necessita di atti di fede per proclamarsi:
è uno e unico, misura di sé stesso e di tutte le cose nei
terrestri mercati (la condivisione è il riconoscimento della stessa
sacralità all’altro) e nelle solitarie riflessioni. Ci è
toccata in sorte questa consapevolezza che è dolorosa da portare
nel farsi del tempo.
Il tempo… Il tempo è una dimensione assente nella poesia
di Ramberti: chi è in cerca non ha un passato né un futuro,
vive un presente vigile che travalica le strettoie della cronologia.
Non stupisce, perciò, la disomogeneità stilistica del succedersi
dei testi: se per la gran parte brevi e conclusivi, non mancano testi
di pura riflessione che si dipanano in volute più ampie; tutta
la raccolta si tesse con una trama antilirica, riflessiva, appunto, e
quieta, sommessa ma ricercata nel lessico, nel ritmo, nell’accostamento
delle parole nell’apparente discorsività. C’è
grande maestria in questo poeta che ci fa dono della sua fatica e della
parva laetitia della sua cerca.
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