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In cerca
La simmetria imperfetta
Tela
di bordo
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Su Pietrisco
(Epilogie di Luca Ariano, Caterina Camporesi, Chiara De Luca, Matteo
Marini, Alessandro Moscè, Luca Nannipieri, Teresa Zuccaro)
di Maria Lenti
Se nel precedente In cerca
Alessandro Ramberti aveva proceduto, forte delle sue convinzioni e della
sua formazione classica, a ricercare, sondare, indagare (sperimentando
anche moduli stilistici diversi) una possibile strada, una via –
possibile per l’oggi – da fermare e da aprire, in quest’ultima
sua plaquette (Pietrisco, FaraEditore,
2006) sembra chiedersi se e come possa darsi un incontro con sodali e
pellegrini: quel viaggio, infatti, ha bisogno di altro, prima che inizi.
Anzi, chissà se potrà, e quando, cominciare. Insieme, ché,
altrimenti, la solitudine si taglia davvero con il coltello.
Le domande sono stringenti e costrette ad uscire dal calore del proprio
esserci e versarsi nell’aridità, nella difficoltà,
nel silenzio del pietrisco. Dal desiderio di interlocuzione, insito negli
interrogativi, precipitati da sé, ma come testimonianza, sugli
altri, attraverso risposte mancate, si figura nel mezzo il vuoto. Che
è da riempire: perché lo richiede la propria vita, perché
fare comunità è più di uno, perché un afflato
interiore, di origine anche religiosa, attende naturalmente di essere
percepito e accolto.
Pietrisco, persino un ossimorico tra l’assunto perfino passionale
del testo e il titolo, dà il senso di una poesia dipanata nel tratto
necessità di dire-urgenza di dirlo: i tempi spingono verso un asciugamento
totale, verso sentimenti in perdita e in deriva e, dunque, sembrerebbe
urgere anche la necessità di arrestare la deriva, riprendendo a
guardarsi, ad amarsi, a lasciare cadere maschere o infingimenti. Ma…
Come è potuto accadere tutto questo? O, meglio, come si è
giunti a questo punto? Un venir meno del sentimento amoroso-cristiano
(a largo raggio, anche), ravvisabile nella umana convivenza? Un allontanamento
dall’origine dell’amore (di Dio, di Cristo, pur mai nominati)?
Una overdose di immersione acritica (e quindi di coartazione) nella società
odierna? Una contaminazione, di quelle a caduta libera, da un canale troppo
grande per le capacità tutte nostre di reagire?
Non è della poesia di Ramberti dire dove sia il male, il punto
della sua origine; essa non accusa un reggitore, i reggitori, i potenti
di varia natura e specie: dice, riferisce, partecipa il senso di vuoto
a volte in maniera imperiosa, apodittica, come una verità che non
ha bisogno di essere dimostrata e spiegata.
Allora il male esiste in sé? E se non si ha la forza di andare
contro questo male-mare? Il dolore, anche per la paura ("La paura
è un acconto di dolore / l’inganno sfrutta forza e debolezza
/ i sogni hanno cesure / la verità una porta… "), il
disagio del vivere odierno – e più nella esistenza che nella
quotidianità – ("Sfogliare i nostri strati di persona
/ è anche un compito sociale"), lo spaesamento e l’essere
tremendamente soli nonostante il chiasso e l’enfasi del contorno
- o forse proprio per questo – nei versi di Alessandro Ramberti
spesso si risolvono in preghiera ("Lo so che è tardi / eppure
se vuoi / c’è ancora tempo / per accoglierci").
Sembra (come in altre poesie) una preghiera rivolta a un Dio buono, creatore
e padre che, però, ci lascia una matassa da sbrogliare in profonda
solitarietà, essendo noi incapaci da un lato di infrangere la barriera
della solitudine e dall’altra di bucare il muro che l’intorno
ha eretto ed erige incessantemente, mentre gli altri – peraltro
e supponiamo – soffrono la medesima condizione. Nel vuoto che si
fa tra i due stati e stadi la malinconia ha preso dimora. Pieno della
consapevolezza di tali stati e stadi, il vuoto potrebbe ospitare incontri
reali di anime, di persone, di beni contro mali. Ma il condizionale regna
indisturbato. E forse segna e sottolinea la condizione delle persone tutte.
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