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AA. VV. Le voci dell'arcobaleno

 

Verrà l'anno

recensione di Caterina Camporesi

I mutamenti, avvenuti negli ultimi trenta anni nelle categorie di spazio e tempo, che la contemporaneità ha ora di fronte, sono tanto radicali quanto ancora poco elaborati. Un tempo, dilatato in un eterno presente, sembra potere fare a meno della memoria, interamente affidata oramai al cervello del computer.
La poesia che si nutre, invece, di luoghi e tempi passati e futuri, ancora ricorre a questa straordinaria funzione della mente umana, allorquando anche si affida al frammento, piuttosto che alla continuità.
La poetessa, della quale ci stiamo occupando, in un’intervista su «Le Voci della Luna» (n. 20), riconosce alla memoria un valore primario per il pieno sviluppo umano e artistico, sia individuale che collettivo.
La memoria si allaccia in parte alla tradizione e rappresenta per ciascuno di noi la casa che ci segue dovunque andiamo. Essa è colma di presenze, assenze, conoscenze, emozioni, affetti che appartengono al passato, tuttavia, riserva ancora spazi per domande aperte sul futuro: "sognavo una casa sulle spalle / come una lumaca dicevo / le lumachine non si stancheranno? / ma poi pensavo vuoi mettere / la comodità di partire / con dentro il corpo le pareti / per avvolgerlo?"
La de Oliveira costruisce la casa alla stessa maniera con la quale costruisce la propria identità: giorno dopo giorno, avvalendosi di ogni esperienza, riflessione ed elaborazione, cimentandosi con la perdita, il dolore, l’esilio accompagnati da amalgamanti rinascite.
Un unico filo segna il cammino del tempo nel tempo ed un unico filo impasta la luce con l’ombra, la razionalità con l’istinto, il sogno con la realtà.
La casa-memoria di Lucia è tanto colma di saggezza che può liberamente aprirsi al mondo per accogliere nuovi stimoli, come può anche richiudersi per diventare luogo di raccoglimento, e di silenzio. L’acquisita solidità può lasciare fuori la frenesia dei festeggiamenti e lasciare sdraiati su comodi e colorati cuscini per apprestarsi a gustare “il sacchetto di dolci” che il nuovo anno porta sulle spalle.
Il giusto contatto con la propria casa psichica aiuta a disseppellire, fra macerie accatastate, i gemiti e le emozioni che anelano a parole per essere detti e condivisi.
Solo affrontando lo smarrimento dell’esilio e della solitudine si diventa se stessi e ci si abita, alimentandosi delle “praline di tempo” che ogni volta hanno un sapore nuovo.
La poesia contemporanea non ha più pretese metafisiche e l’io del poeta diventa eroico nel suo apparire antieroico: esistere significa anche resistere e la poetessa si è affidata ad un tempo scandito dal battito in sintonia col ritmo personale: "il calendario fu inventato da un sadico / certi giorni sono fatti per essere sempre sabato / altri giorni un giovedì altri una domenica / sicché ci sono giorni che non sono mai quello / che sono solo quello che avrebbero voluto essere."

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