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Intervista
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Verso Occidente
di Vincenzo
D'Alessio
Nel vasto panorama della letteratura nazionale la voce di Fattori segna
una nota alta sul pentagramma del secolo che chiude e su questo che si
apre alla marea dei cori che giungono da di fuori.
La scelta di raccontarsi, nel personale, ed elevare questa scelta a patrimonio
poetico, crediamo faccia parte di molti autori che rappresentano il secolo
scorso. Le nuove tendenze, dopo “minimalismi”, “new
wave”, “controtendenze”, “jene” e altro
ancora sorprendono per un ritorno profondo della parola quale sofferta
necessità di comunicazione di fronte all’aberrante volume
di immagini.
Le immagini poetiche che risalgono dall’infanzia/esistenza dell’autrice
seducono e ricambiano le chiuse stanze della mente umana, prigioniera
del silenzio evocato dalle immagini e dalla routine martellante delel
notizie giornalistiche o pubblicitarie.
La parola che prende corpo nel “racconto” della Fattori è
patrimonio vero della civiltà contadina, della civiltà millenaria,
che ha concesso all’intera umanità di sopravvivere a pestilenze,
carestie, guerre, violenza e morte.
Trama sicura di una rete antica che riconosce nella parola l’armagheddon
per sconfiggere gli spettri che si annidano nella mente e nel cuore della
gente, del lettore.
I testi poetici di Verso Occidente
costituiscono un vademecum forte per intraprendere il viaggio verso l’infinita
linea dell’orizzonte occidentale che non guasta in questi tempi
di forte tensione.
Il lettore dovrà essere attento, deciso nell’indossare l’
“abito nuovo” e condividere in questo modo il dualismo che
permea l’intera raccolta attraverso anafore, assonanze, onomatopee.
Due sezioni, per questa raccolta, che vanno alla ricerca dei codici arcaici
dell’esistenza, dell’ontologia, preziosa, inalberata nella
forza vitale dell’amore.
Amore verso la terra, amore verso la madre: Maria.
Maria è la madre per eccellenza del genere umano, vista in chiave
cattolica.
Donna di fronte alla donna che fa presa nei versi: “La pazienza
delle donne è santa” (p. 44).
Quanto cammino ha compiuto la poesia dell’autrice e quante soste
prima di ricomporre il pentagramma poetico.
Bene ha evidenziato Andrea Brigliadori nella prefazione quando ha voluto
offrire al lettore le coordinate dell’arrivo/partenza: “Luogo
reale, dunque, prima ancora che metaforicamente e simbolicamente poetico.
Luogo della vita vissuta prima che della parola scritta.” (p. 10)
Vengono in mente tutti gli scrittori che hanno contribuito a determinare
il “luogo”, immaginario/dell’anima, da cui si parte
e dal quale, realmente, nessuno si allontana definitivamente: l’infanzia.
Un lavoro lungo e solitario, questo della concertazione poetica dell’autrice,
ripreso nell’uso della parte più emblematica del lavoro femminile
“le mani”, “i palmi delle mani”. Una civiltà
contadina pregna di tutti i limiti che può avere offerto nel corso
dei millenni ma ricchissima di quel contatto perenne con le stagioni,
l’armonia della terra, la lotta con i fenomeni naturali.
Ogni essere vivente ha alle spalle una genesi, una madre, una donna. Quei
luoghi chiamati per nome, le figure reali della natura, il rosso dei ricordi,
il pettirosso, i sensi annusati nella polvere del tempo, riscattano il
dolore della fine, “il male non vuole ripartire” (p. 58),
il crepuscolo (pascoliano) di un’esistenza in lotta con sé
stessa, e donano alla vita la metafora del cerchio che si apre e si chiude
nell’acqua infinita.
(settembre 2004)
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