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Intervista
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Verso Occidente: viaggio dentro il dolore del mondo
di Danilo
Mandolini
Si ha la netta percezione, leggendo Verso
Occidente – l'ultimo libro in versi di Narda Fattori,
di percorrere un tragitto ben delineato, una via che (il titolo in qualche
modo lo afferma) tende ad una destinazione precisa, ad un traguardo che
è, allo stesso tempo, lontano e certo. Il titolo, si diceva…
L'occidente del titolo sembra essere proprio quel luogo nascosto nella
linea dell'orizzonte andando incontro al quale il sole tramonta, la luce
tende a farsi buio e, metaforicamente, la vita volge al suo termine. Il
percorso di cui si è appena detto è indubbiamente quello
del divenire. Esso appare angusto, lastricato di dolore e di amarezza
(quella stessa amarezza che viene efficacemente sintetizzata negli ultimi
versi di alcuni testi. Un esempio su tutti: "… È inverno
/ sempre dove i vivi piangono i vivi.") e come contenuto tra pareti
fatte, alternativamente (in qualche caso, addirittura nello stesso testo),
di specchi e di vetro. Grazie agli specchi collocati lungo il cammino
tracciato dalla raccolta, l'autrice permette al lettore di conoscere i
tratti salienti del proprio mondo interiore. Un mondo interiore dove memoria
e vivere si compenetrano (come dice Maria Lenti nella nota di postfazione)
e dove il ricordo del tempo trascorso si mostra come patrimonio irrinunciabile,
come promontorio sul quale costruire l'avamposto da dove resistere ai
quotidiani assalti della sofferenza e del bisogno di dimenticare o, a
volte, di annullarsi. La presenza, nella silloge, di quelle che in precedenza
si sono definite come delle pareti di vetro, invece, testimonia il desiderio
di Narda Fattori di guardare anche al di fuori di sé stessa; di
guardare agli altri e a quella che si potrebbe definire come la comunità
globale degli uomini. C'è di più, in realtà, in questo
aspetto che si sta ora analizzando. Nel passaggio finale della prima poesia
del volume ("… – non gridate non piangete / – per
favore non morite / non sparite sostenete questa fatica / immane del giorno
/ vittime e carnefici al tramonto / inestricabile che si chiama vita.")
e nelle ultime composizioni della prima delle due sezioni – quella
che dà il titolo al libro – l'autrice manifesta infatti con
forza il desiderio di voler condividere con i propri simili l'esperienza
indecifrabile dell'esistere; esalta la necessità di dover determinare,
insieme a tutti gli altri uomini, una sorta di itinerario di ricerca dove
la poesia sembra essere uno strumento inadeguato a fornire risposte, ma
capace comunque – come asserisce Andrea Brigliadori nella nota introduttiva
– di "leggere, nella privazione di cui soffre una individuale
esistenza, la privazione di vita di cui soffre il mondo".
In Canto per Maria, la seconda ed ultima parte
del volume, si narra proprio della privazione di una vita. La dimensione
che contiene l'omaggio dell'autrice alla propria madre scomparsa è
profondamente intima e colma di un intenso sentimento di pietà.
È comunque possibile sentire, in questi versi dolorosi e a tratti
commoventi, tutto il peso della sofferenza che la vita ci dona quando
si è costretti a sopportare l'indicibile esperienza di essere madre
o padre e, al tempo stesso, figlia o figlio di un genitore che sta per
lasciarci ("Mai come adesso io sono tua figlia." "Io madre
ora e senza parole intere per il figlio..."). Per questo suo parlare
diretto al cuore del lettore attraverso la descrizione tormentata di un
vissuto comune ai più, Canto per Maria
sembra proprio rappresentare quel punto di vicinanza con l'intera umanità
dal quale partire nel viaggio che porterà, come si è detto
in precedenza, a riconoscere nel dolore del singolo, il dolore di tutti.
"Dobbiamo accendere grandi lanterne / per fare anima sulle strade
del mondo." dice Narda Fattori a chiusura di un suo testo. Questa
ennesima incitazione a non chiudere gli occhi di fronte ai patimenti imprescindibili
del mondo; quest'ultimo appello a cercare di sviluppare una coscienza
sensibile in grado di guidare gli uomini nel futuro, sono l'essenza della
vocazione civile della poesia di Verso
Occidente. Una vocazione che si può definire civile
soprattutto perché ha il compito di ricordare, in quest'epoca di
esclusiva corsa al possesso e al consumo, che ciò che gli uomini
realmente possiedono, che dovrebbero aspirare a possedere, è la
vita ed il vivere stesso.
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