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FARANEWS
ISSN 15908585
MENSILE DI
INFORMAZIONE CULTURALE
a cura di Fara Editore
1. Gennaio 2000
Uno strumento
2. Febbraio 2000
Alla scoperta dell'Africa
3. Marzo 2000
Il nuovo millennio ha bisogno di idee
4. Aprile 2000
Se esiste un Dio giusto, perché il male?
5. Maggio 2000
Il viaggio...
6. Giugno 2000
La realtà della realtà
7. Luglio 2000
La "pace" dell'intelletuale
8. Agosto 2000
Progetti di pace
9. Settembre 2000
Il racconto fantastico
10. Ottobre 2000
I pregi della sintesi
11. Novembre 2000
Il mese del ricordo
12. Dicembre 2000
La strada dell'anima
13. Gennaio 2001
Fare il punto
14. Febbraio 2001
Tessere storie
15. Marzo 2001
La densità della parola
16. Aprile 2001
Corpo e inchiostro
17. Maggio 2001
Specchi senza volto?
18. Giugno 2001
Chi ha più fede?
19. Luglio 2001
Il silenzio
20. Agosto 2001
Sensi rivelati
21. Settembre 2001
Accenti trasferibili?
22. Ottobre 2001
Parole amicali
23. Novembre 2001
Concorso IIIM: vincitori I ed.
24. Dicembre 2001
Lettere e visioni
25. Gennaio 2002
Terra/di/nessuno: vincitori I ed.
26. Febbraio 2002
L'etica dello scrivere
27. Marzo 2002
Le affinità elettive
28. Aprile 2002
I verbi del guardare
29. Maggio 2002
Le impronte delle parole
30. Giugno 2002
La forza discreta della mitezza
31. Luglio 2002
La terapia della scrittura
32. Agosto 2002
Concorso IIIM: vincitori II ed.
33. Settembre 2002
Parola e identità
34. Ottobre 2002
Tracce ed orme
35. Novembre 2002
I confini dell'Oceano
36. Dicembre 2002
Finis terrae
37. Gennaio 2003
Quodlibet?
38. Febbraio 2003
No man's land
39. Marzo 2003
Autori e amici
40. Aprile 2003
Futuro presente
41. Maggio 2003
Terra/di/nessuno: vincitori II ed.
42. Giugno 2003
Poetica
43. Luglio 2003
Esistono nuovi romanzieri?
44. Agosto 2003
I vincitori del terzo Concorso IIIM
45.Settembre 2003
Per i lettori stanchi
46. Ottobre 2003
"Nuove" voci della poesia e senso del fare letterario
47. Novembre 2003
Lettere vive
48. Dicembre 2003
Scelte di vita
49-50. Gennaio-Febbraio 2004
Pubblica con noi e altro
51. Marzo 2004
Fra prosa e poesia
52. Aprile 2004
Preghiere
53. Maggio 2004
La strada ascetica
54. Giugno 2004
Intercultura: un luogo comune?
55. Luglio 2004
Prosapoetica "terra/di/nessuno" 2004
56. Agosto 2004
Una estate vaga di senso
57. Settembre2004
La politica non è solo economia
58. Ottobre 2004
Varia umanità
59. Novembre 2004
I vincitori del quarto Concorso IIIM
60. Dicembre 2004
Epiloghi iniziali
61. Gennaio 2005
Pubblica con noi 2004
62. Febbraio 2005
In questo tempo misurato
63. Marzo 2005
Concerto semplice
64. Aprile 2005
Stanze e passi
65. Maggio 2005
Il mare di Giona
65.bis Maggio 2005
Una presenza
66. Giugno 2005
Risultati del Concorso Prosapoetica
67. Luglio 2005
Risvolti vitali
68. Agosto 2005
Letteratura globale
69. Settembre 2005
Parole in volo
70. Ottobre 2005
Un tappo universale
71. Novembre 2005
Fratello da sempre nell'andare
72. Dicembre 2005
Noi siamo degli altri
73. Gennario 2006
Un anno ricco di sguardi
Vincitori IV concorso Pubblica con noi
74. Febbraio 2006
I morti guarderanno la strada
75. Marzo 2006
L'ombra dietro le parole
76. Aprile 2006
Lettori partecipi (il fuoco nella forma)
77. Maggio 2006
"indecidibile santo, corrotto di vuoto"
78. Giugno 2006
Varco vitale
79. Luglio 2006
“io ti voglio… prima che muoia / rendimi padre” ovvero
tempo, stabilità, “memoria”
79.bis
I vincitori del concorso Prosapoetica 2006
80. Agosto 2006
Personaggi o autori?
81. Settembre 2006
Lessico o sintassi?
82. Ottobre 2006
Rimescolando le forme del tempo
83. Novembre 2006
Questa sì è poesia domestica
84. Dicembre 2006
La poesia necessaria va oltre i sepolcri?
85. Gennaio 2007
La parola mi ha scelto (e non viceversa)
86. Febbraio 2007
Abbiamo creduto senza più sperare
87. Marzo 2007
“Di sti tempi… na poesia / nunnu sai mai / quannu finiscia”
88. Aprile 2007
La Bellezza del Sacrificio
89. Maggio 2007
I vincitori del concorso Prosapoetica 2007
90. Giugno 2007
“Solo facendo silenzio / capisco / le parole / giuste”
91. Luglio 2007
La poesia come cura (oltre il sé verso il mondo e oltre)
92. Agosto 2007
Versi accidentali
93. Settembre 2007
Vita senza emozioni?
94. Ottobre 2007
Ombre e radici, normalità e follia…
95. Novembre 2007
I vincitori di Pubblica con noi 2007 e non solo
96. Dicembre 2007
Il tragico del comico
97. Gennaio 2008
Open year
98. Febbraio 2008
Si vive di formule / oltre che di tempo
99. Marzo 2008
Una croce trafitta d'amore
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Numero 101-2
maggio-giugno 2008
Editoriale:
I vincitori del concorso Prosapoetica 2008
Questo numero doppio è dedicato ai vincitori (prossimamente
pubblicati in un volume a loro dedicato) e agli autori menzionati fra
quelli che hanno partecipato alla VII edizione del concorso
Prosapoetica
terra/di/nessuno. Di ogni autore si danno una breve presentazione,
i commenti dei giurati
e l'incipit della loro opera che potrete leggere integralmente nel volume
dedicato ai vincitori. I nomi selezionati dai giurati per la pubblicazione
in volume sono 11 (a partire dall'opera che ricevuto più consensi,
alcuni autori sono stati votati ma non hanno ricevuto giudizi):
Michela Montemurro con 9–78804–569886
Erminia Daeder con Su “L’ultima notte
di Federico Re”
Eziana Babbore con K2E
Elena Varriale con Lampade alogene
Giulia D’Intino con Piovono bombe
Attilio Melone con Volando
Sara Favotto con Ma non…
Giusy Sapienza Jouven con Viaggi metropolitani
Enrico Foppiani con Caldi fiori di luglio
Luca Grazioli con La dignità della goccia
minore
Ermanno Cottini con Amore attraverso 3 nuove chiavi
di lettura
Sono inoltre state menzionate le seguenti opere:
Sazi e molecolari di Annamaria
Ferramosca e Ivano Mugnaini
Dove cominciano le colline di Arnaldo Savini
L’altoparlante di Alessio Luise
Un grazie ai giurati (Angela
Barlotti, Carmelo
Calabrò, Giovanni
Fierro, Luigi
Metropoli, Morena
Fanti, Ottavio
Rossani) e a tutti i partecipanti e complimenti ai vincitori! Concludiamo
con la perspicua lectio lucana di Dom Bernardo.
9–78804–569886
di Michela
Montemurro
Lunghi capelli biondi le scendevano lungo le spalle, accarezzandole
la schiena e incorniciando lievemente il viso, candido e innocente.
Due grandi occhi castani solo leggermente marcati da una sottile linea
nera di eyeliner. Le labbra illuminavano il volto con un tenue strato
di gloss rosato. Il corpo magro e sensuale era solo sfiorato da un vestito
di seta bianco che appariva come una graduale sfumatura del colore appena
abbronzato del suo chiaro incarnato.
Mentre si guardava intorno in quella ancora solo tiepida mattinata d’agosto,
un vago senso di inquietudine le affiorò alla mente.
Dovevano essere già qui. Non possono essersi scordati di
me.
Si mosse lentamente lungo il marciapiedi, fingendo di interessarsi ai
negozi che lo costeggiavano.
Scorse se stessa riflessa nella vetrina del sexy shop all’angolo.
Quel negozio dal nome così buffo.
Oggetti stravaganti e multiformi, trincerati dietro appellativi sibillini
e provocanti si sovrapponevano alla sua immagine.
Si sentì come il frammento di un puzzle, un enorme gigantesco
puzzle dipinto da qualche sconosciuto artista della pop-art. Cominciò
ad atteggiarsi in posizioni diverse facendo così cambiare la
tela al suo comando. Aveva sempre desiderato essere dipinta, fare la
modella ad un pittore. Aveva la sensazione che così quella rappresentata
sarebbe stata davvero la sua anima, che qualcuno per lei le avrebbe
fatto il favore di cercarla e fargliela vedere. Chissà che forma
aveva la sua anima? Sarebbe stata una ciliegia? Un rosso, lucido e succulento
frutto primaverile. O sarebbe stata un gabbiano, o l’acqua, il
vento, la luna… Così, sarebbe potuta essere qualsiasi cosa.
Il blu cobalto della notte aveva intanto lasciato il posto ai colori
dell’aurora.
(…)
Cogito ergo sum.
Che io sia nata sembra che non vi siano dubbi. Il dove ha poca importanza.
Il quando, essendo una donna, m’auguro non mi venga chiesto. Roma
è la mia città e, da che esisto, vivo qui con qualche
occasionale scorribanda nel resto delle ex province del nostro vasto
impero. Da quando esisto, o forse anche da prima, nel pancione della
mia mamma, leggo, e adoro farlo. Qualche volta dipingo anche.
Aggiungerei solo una cosa, la più importante di tutte. Scrivo.
E ciò che scrivo è lo specchio di me stessa e forse la
mia più autentica presentazione. Buona lettura a tutti. Michela
Giudizi
Uno strappo finale innesca uno slittamento di contesto,
facendolo ruotare di 180°: siamo immersi in un’apparente ordinarietà
quotidiana; solo poche e sapienti tracce disseminate nel racconto introducono
all’identità della protagonista che si svela nelle ultime
battute (“non saprai mai chi sono io”, “Sì,
ora era felice, era finalmente un oggetto conforme, aveva finalmente
il suo codice a barre” sono altri indizi che sapientemente l’autore
cala nel testo). Non vi è nulla di diverso in una donna che si
prostituisce: anzi l’autore insiste nel confronto-scontro tra
la naturalezza – quasi innocenza – di lei e gli oggetti
ingannevoli, passati in rassegna tra vetrine di negozi, emblemi di una
società falsa e dedita al consumo. (LM)
Una breve storia con una serie di immagini all’apparenza
frammentarie e scomposte ma che con molta suggestione, sanno evocare
pensieri e interrogativi in chi legge. Un simbolismo ricercato e seguito
fino alla fine, a rappresentare modelli e valori della nostra società.
L’omologazione di un codice a barre consente di essere riconosciuti,
quindi di esistere. Il senso di solitudine e di abbandono della nostra
società, riscattato da un numero di riconoscimento. (MF)
Ha la capacità di trattenere e mostrare il
nostro tempo. Il bisogno/condanna alla normalità, che ora si
mostra nella sua forma di omologazione, nel suo mostrarsi merce codificata,
destinata ad un ramo ben studiato del mercato.
E poi la costante e inevitabile constatazione di come il corpo, la sua
carne possono vivere di per sé, come oggetto di valenza economica,
di cifra monetaria. E a scappare, prima ancora dell’anima, sono
i baci che si negano. (GF)
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Su
“L’ultima caccia di Federico Re”
di Erminia
Daeder
La scena è solo voce.
La voce è filtro, bussola, destino.
Distrae e riavvolge un tempo circolare, annidato in un bosco sotto la
neve.
Un tempo sgranato, in cui la messa a fuoco d’ombre e suggestioni
concretizza confini carnali, piani grandiosi, ambizioni smodate.
Fragili architetture d’esistenza.
La malìa è in questa voce.
Ha timbri rochi, quando gonfia come vento lenzuola bianche, che aspettano
sudore e abbandoni.
Ha timbri tuonanti se delinea progetti di follia anacronistica, nel
respiro alterato di una volontà lucida.
Tagliente.
Brusca.
– Il potere non ha stabili ragioni.
Ha timbri esili, alla vista scompaiono foglie, radici, falconi, scribacchini
e sale… sale… l’odore del catrame notturno.
Alla vita assicura sembianza ferrea.
Alla morte seduzione segreta.
Alla storia il capriccio astratto di una volontà di dominio.
Il volo del falcone, centrifugo, disperato della caduta,
alla deriva di sé.
Come tratti di carboncino convulsi, in una luce mutevole senza la clemenza
della notte.
La notte troppo stretta delle feritoie delle torri per poterla possedere.
La notte troppo larga in faccia al mare di Palermo.
Il sale e l’acqua cobalto nella mano di una sposa che è
madre, nel fruscio della sua carezza.
La notte…la neve per tutta la notte.
Addensata a mascherare rovi, foglie marce, castelli, sospiro di donna.
La notte che nel vento offre il dono velenoso di un rimpianto.
Un padre mai avuto, uno sguardo al cielo che veglia la vigna, il mare
affogato.
Intersezioni di volti, figli, amici, amanti.
Intersezioni di paure, rabbie, dolcezze.
Digressioni e danze attorno al falò del proprio smarrimento.
(…)
Erminia
Daeder (Taranto, 1959) insegna lettere nella scuola secondaria superiore.
Suoi scritti sono apparsi sul ‘Quotidiano’ di Lecce (1985,
1986) e, più recentemente, su www.musicaos.it
(2005, 2007), sulla rivista ‘Pagina zero-Letterature di frontiera’
(n.8, 2006), sul quindicinale di Taranto ‘La voce del popolo’
(n. 13 e n. 15, 2006), sul blog collettivo Viadellebelledonne,
su Books Brothers, per una scrittura
a trazione anteriore, su www.oboesommerso.splinder.com.
È presente nell’antologia poetica Navigando nelle parole
(vol.14, 2005), Edizioni Il Filo e nel diario poetico Il segreto
delle fragole 2006 (LietoColle), Il segreto delle fragole 2007
(LietoColle) e Il segreto delle fragole 2008 (LietoColle).
Segnalata al concorso “Parole per comunicare 2004” e al
premio “Lorenzo Montano 2006” della rivista Anterem
per ‘una poesia inedita’, premiata con segnalazione al premio
‘Lorenzo Montano 2007’ della rivista Anterem
per ‘una poesia inedita’.
Giudizi
Il testo è una vera terra di nessuno, un prosimetro
che si adagia a metà strada tra la fiction e il saggio. Multiforme
nell’integrazione tra lirismo, trattatistica e narrazione, nella
sovrapposizione di piani temporali e generi letterari, il testo sapientemente
ne dosa i rapporti e le simmetrie. (LM)
«Il potere non ha stabili ragioni». Sul
filo visionario che unisce suggestioni barocche e potenza shakespeariana
cavalca per l’ultima volta Federico. Nell’apoteosi delirante
della corsa finale, si trascinano l’effimero dell’ambizione,
il paradosso atroce della grandezza, «paure, rabbie, dolcezza».
Nell’immensa voragine del tempo, scivolosa di scirocco, scompaiono
gli imperi. I Re muoiono soli? (CC)
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K 2 E
di Eziana
Babbore
Quando capii che eri tu, chiusi gli occhi. Avrei dovuto
riconoscerti dalle parole, o dai momenti a rovescio che spostano più
lontano ogni metà, quella amata, la metà che dice ancora,
a filo sul mio nome, mai abbastanza per te, mai per durare.
Avrei dovuto chiuderli prima che arrivassi, prima che la luce, nello
specchio, mi rivelasse il tuo volto affilato, notturno, precipitato
nella malattia e nella scienza di Dio: ti amavo perché eri morto
al paradiso, perché non sapevi stare nella carne, nel male delle
donne così intimo ed irrisolto.
Eri un diario, dei frammenti, nient’altro che un’inerzia
d’amore scontata nell’inessenziale. E ti inseguii per anni,
fino allo spavento, all’autocondanna, al balbettamento di quella
poca vita senza posto.
Ti incontrai a scuola da ragazzina, parlavi il tedesco e conoscevi il
ceco. Ti chiamavo Gregor, Josef, o anche semplicemente K.: ogni volta
infedele ad un solo nome, ogni volta insufficiente a tutto il bene ed
il bello che ciascuno sceglie per sé, sotto un unico nome.
Avevi pochi amici come tenere pianticelle, veloci a girarsi l’anima
in quel sole che tuo padre anneriva presto, là dove ancora la
giovinezza lavora e sbaglia, dove non sa aspettare per essere più
forte, e pur nell’errore non crede alla colpa. Avevi paura di
lui, al tempio non gli stavi mai accanto, rifiutavi le sue pretese autoritarie
e la dedizione agli affari: non gli assomigliavi, non avevi il suo senso
della famiglia, né la tenacia e la robustezza che ammiravi da
lontano, ma lo amavi, disperatamente. Avrei voluto quella parte per
me, quella così vicina al dolore, quella ignorante delle cose
di fuori, la parte che dopo ogni peccato resta all’anima. Ma non
c’era neanche Dio in quella parte, solo tuo padre.
(…)
Eziana Babbore
è nata nel 1973 a Pescara, la città in cui ancora vive.
In attesa di una vera e definitiva occupazione (e di terminare il suo
percorso universitario), scrive su vari siti letterari tra cui www.lunadonna.net,
spazio quasi prevalentemente dedicato all'universo femminile, e su alcune
riviste a diffusione locale. Scrivere è la sua verità,
quella che davvero la rende libera.
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Lamapde
alogene
di Elena
Varriale
Diffrazioni fluorate di cloruri d’alogeno irradiavano baci iodati
di labbra rosso bromo. Le labbra impudiche sfioravano raggi catodici.
Scivolavano poi lascive sui rivestimenti di fosfori. Assaporavano lussuriose
i filimenti degli elettrodi. Nell’oscurità le labbra centellinavano
energie, erogavano capricci.
Ho imparato ad amare sotto un cielo di lampade alogene.
Col tuo volto irraggiato dalle fluorescenze della notte, dalle intermittenze,
dai bagliori. Da intervalli di luminescenze che si adagiavano sui profili
come scariche elettriche impresse su pellicole a raggi ultravioletti.
L’aria si riempiva di ossidazioni, nello scintillio di forze indomabili:
le luci.
Attraverso l’oscurità, più dell’oscurità:
fuochi e fiaccole del tempo. Come punti immaginari sovrapposti ad un
orizzonte di stelle o come pulviscolo di cristalli birifrangenti. Erano
prospettive scintillanti di luci, punti di fuga di linee infrante, discontinue,
spezzate. Traiettorie, vettori di fasci riproduttori di cinescopi familiari.
A tratti, sembravano rapite da vortici di velocità: attimi e
secoli di anni luce venivano condensati in un unico ed enorme diffusore
centrifugo, amalgamati e poi restituiti uniformemente alla città.
Sbavature digitali, sfumature cromatiche, le luci apparivano come il
grande spettacolo della memoria, probabile museo del possibile o più
semplicemente, incanto del presente. Pronte a rinnegare e tradire un
pensiero corrotto dal tempo, pronte a dimenticare l’attimo che
le aveva precedute e prodotte: l’amoralità delle luci!
Ho imparato ad amare sotto un cielo di lampade alogene.
Lì, dove i sentimenti venivano confusi per imperizia ed addomesticati
da abbracci patinati di corpi senza trasparenza. Lì, dove le
luci rabbonitici di una servile opulenza, oltraggiavano l’intransigenza
del sole. Lo irridevano per quel suo ripetersi invariato. Figlie di
un artificio, le luci erano fredde intuizioni incapaci di commozione.
Stridenti consonanze del marketing. Fautrici di notturne kermesse popolari
per poter risplendere offerte a prezzi, questi sì, davvero speciali!
Punteggiatura dell’oscurità, aculei del desiderio, ornamento
del bitume, le luci vigilavano attente sulle mie emozioni. Modellavano
incubi e diradavano speranze. Incrudelivano solitudini mentre inglobavano
attese o rimandi. Padroneggiavano l’oscurità col cinismo
e l’arroganza proprie dell’ inconsistenza. Rimbalzavano
infine sulle pareti senza oltrepassarle. Si nascondevano dietro scudi
di materia solida, aspettando pazienti che venisse rimosso l’ostacolo
che si frapponeva al loro desiderio di occupare tutti gli spazi: l’invadenza
delle luci!
Come le tue mani fotografate dietro un impenetrabile vetro ottico diffusore,
quasi scomposte in cristalli di fosforo su cui il cripton 85 eccitava
la luminescenza. Le mani e il corpo di luce, come colpiti da raggi X
perpendicolari: una nudità oscena, incomprensibile, irritante.
Oltre la carne e il derma disponibili, la cruda essenza dell’essere
e del sentirsi vivi: l’energia dei corpi!
Ho imparato ad amare sotto un cielo di lampade alogene.
(…)
Elena
Varriale è nata e vive a Napoli. Suoi testi poetici sono
stati pubblicati nelle seguenti antologie: Fonopoli. Parole in movimento
2001-2002, ed. Montedit, Tra un fiore colto e un altro donato,
Aletti Editori, 2005; Verrà il mattino ed avrà un
tuo verso, Aletti Editore, 2006. Con il racconto "La Conferenza"
è risultata tra i vincitori della IX edizione 2006 del Premio
"I porti sepolti" dell'Aletti editori e Rivista Orizzonti.
Nel 2007 ha pubblicato la sua prima silloge di poesie Lo
so che sbaglio, Edizioni Tracce.
Giudizio
Questo racconto crea un mondo fatto di rimandi, di
riflessi, di riverberi. È un continuo illuminare e nascondere,
svelare e trattenere. In questo ‘gioco’ di tensioni prende
forma in intreccio di emozioni, che si traducono in sospiri, ricerche
di presenze e annotazioni di mancanze. Tutto si desidera conoscere ma
‘Ho imparato ad amare sotto un cielo di lampade alogene’.
(GF)
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Piovono
bombe
di Giulia
D'Intino
Una luce color ocra si riflette sul deserto,
è l'altopiano desertico del Rigestan.
Un bimbo scivola sulle calde dune di sabbia su una tavola di legno.
Ride. Con quel buffo cappello bianco, troppo piccolo per la sua folta
massa di capelli scuri.
Cadono a ciuffi sulla fronte alta, abbronzata.
Da tanto non vede il sole,
chino tra le immani distese di oppio, lo sguardo pieno di fiori color
violaceo.
I fiori del male.
Le narici colme di profumo, straripanti di quel maledetto odore che
ha ucciso suo fratello appena due mesi prima.
Li chiamava i papaveri del sonno, scherzando con lui tra i filari,
mentre lesti incidevano uno dopo l'altro le capsule immature dei fiori
per coglierne l'amaro lattice.
Il fratello fingeva di essere colto improvvisamente dal sonno, di lottare
con questo,
la palpebra crollava sui suoi occhi scuri e lui che, in un finto sforzo,
la rialzava,
e ancora crollava e lui che alla fine ne usciva vincitore, tra i suoi
gridolini divertiti.
Alla fine la lotta si era davvero combattuta, ma questa volta il sonno
non si era arreso,
e Somnus, dio greco del sonno, aveva strappato il fratello dalle sue
braccia.
(…)
Giulia
D’Intino è nata a Rimini. Ha 23 anni e studia Scienze
Motorie presso l’Università di Bologna. Vive a Santarcangelo
di Romagna. È sempre stata una lettrice appassionata, ma ha scoperto
la scrittura come piacere personale solamente da circa due anni. Ha
iniziato scrivendo poesie ed ora si sto avvicinando anche al genere
prosastico e giornalistico.
Giudizi
La risposta alla guerra è in un bimbo che “Tira
fuori la lingua e, ridendo, sfuma via”. L’immagine finale,
così risolta in una rapida pennellata, racchiude in un gesto
la speranza, svolgendo coerentemente l’aria quasi fiabesca del
racconto, pur in un contesto tragico. (LM)
Con prosa leggera, ben orchestrata tra lirismo e veridicità,
l’autore/autrice esprime l’orrore per la guerra che uccide
vittime innocenti, in particolare bambini. La loro morte che avviene
spesso senza che essi se ne accorgano per l’esplosione di bombe
o di mine viene presentata quasi in un andante favolistico che alleggerisce
il tono di tragedia, ma che evidenzia ancora di più l’assurdità
di destini implacabili che potrebbero essere risparmiati. E nello scenario
appena accennato di un Afganistan che passa dall’agricoltura ai
campi devastati dai bombardamenti, ecco che i bambini sono le vittime
sacrificali dell’insensatezza umana. E Yussuf che ama la pioggia,
la terra, la vita, “sfuma” in aria senza rendersi conto
di nulla. (OR)
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Volando
(Anni di pellegrinaggio)
di Attilio
Melone
NOTTE
L’ala oscilla nel vuoto, mentre il sole tramonta alle mie spalle.
Mi corre incontro il cielo: è azzurro-cupo, ametista, violetto.
Le nubi si sfilacciano sotto di me, lasciando intravedere un suolo strano
e grigio sul quale sfilano contrade buie, che sembrano conservare il
silenzio dei millenni, la pace delle ere, il mistero del tempo.
Nel deserto, però, ardono le torce di pozzi petroliferi lontani.
Ancora non splendono le stelle.
Sono solo, nella carlinga oscurata. Cullato dal rumore dei motori, dal
leggero rollare dell’aereo, dal rincorrersi dei pensieri che inseguono
lo sfilare delle dune, volo.
Sospinto da una speranza che non si arrende, volo.
Altri fuochi lontani nel vuoto: idee, ricordi disordinati ed inevitabili,
nella malinconia del tramonto, nel torpore e nell’angoscia della
notte.
ALBA
Laghi seccati, distese di sale, aride valli aperte verso il mare. L’ala
corre veloce incontro alla speranza.
Impossibile?
Serenità, pace vagheggiata: certa quando è lontana, irraggiungibile
appena è a portata di mano.
Come galassie, sulla terra ancora non ancora sfiorata da raggi che già
mi lambiscono, sfilano antiche città: Instambul, Atene. Corrono
terre tormentate: Serajevo, Mostar. Luccicano istanti di magia: Budapest,
Vienna.
Ricordo…
Distese bianche… inverno. Monaco sotto i fiocchi gelati. Una serra
tropicale finge un caldo improbabile.
NOTTE
Riprendo il volo, dopo un ristoro provvisorio. La mia ricerca avrà,
una fine?
Silenzi notturni su nevi scintillanti alle stelle.
Nella notte algida, attorno alla mia ala, turbinano fiocchi bianchi.
Vortici misteriosi, emergenti dall’invisibile, prendono forma
di piccoli astri che danzano sfrenati e cadono esausti, trasalendo nel
silenzio che ritorna a nasconderli, che li sottrae ai miei occhi capaci
di vedere solo deboli sprazzi: fiocchi che scompaiono nel freddo del
Mondo ignoto, percorso verso una meta sconosciuta.
Un lampo, un brivido di luce... Altri viandanti fendono l’aria...
Alla ricerca di cosa? Alla ricerca di chi?
Volano alle loro case?
Inseguono chimere? Cercano i loro sogni? Illusioni?
Quale dio ha creato le nostre illusioni? Un demone che ci abbaglia come
i fasci di luce che dirigiamo sulla pista bagnata? Una striscia d’asfalto
oscura, viscida, scivolosa che segna un luogo anonimo concedente una
sosta cui fretta e malinconia toglieranno il riposo...
O uno Spirito benefico che non vuole privarci del ristoro del sogno?
(…)
Attilio
Melone vive a Savona. È dirigente industriale ed ha lavorato
in grandi multinazionali. Ha pubblicato i romanzi Il Rimedio
ed Inchiesta Inedita. Ha in corso di pubblicazione Chiaroscuri,
silloge di racconti ambientati sulle Alpi che, per la maggior parte,
sono stati premiati in alcuni concorsi. L'uscita è prevista per
giugno. È socio del GISM. Molti suoi racconti sono stati pubblicati
in antologie. Ha vinto o si è classificato ai primi posti in
oltre trentacinque concorsi letterari, pur essendo un frequentatore
tutt'altro che assiduo di tali iniziative.
Giudizi
Una prosa morbida, avvolgente, con abbandoni lirici
ricorrenti, racconta un immaginario volo nell’arco di 24 ore da
una notte all’altra, ancora più lunga, durante il quale
la fantasia si snoda su eventi, occasioni, ricordi, auspici, alla ricerca
di una meta sconosciuta, nella quale l’autore/autrice riconosce
comunque l’Amore. Gli abbandoni lirici non sono gratuiti e configurano
una dimensione onirica e insieme verosimile, in cui un pensiero si muove
in sintonia con il rolllio di un aereo, presunto o vero non importa.
Scorre nella pagina un sentimento di positività proiettato verso
il raggiungimento di un obbiettivo vitale. La valenza letteraria è
pari alla consistenza del viaggio visionario. (OR)
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Ma non…
di Sara
Favotto
Mi sono arrampicata per la salita che conduce al Monte dei Cappuccini,
pensando che il richiamo della montagna ti avesse portato in quell’oasi
di silenzio che domina la città formicante ai suoi piedi, offrendo
allo sguardo 360° d’orizzonte.
Ma non ti ho trovato.
Sono scesa al fiume, attraversando il ponte di Piazza Vittorio. Come
i turisti, mi sono fermata a metà: i miei occhi si sono posati
sulle montagne. Così vicine, così lontane. Ho raggiunto
il fiume e ti ho cercato tra i pochi pescatori in paziente attesa.
Ma non ti ho visto.
Sono ritornata sui miei passi: scalino dopo scalino, ho guadagnato l’ingresso
della Gran Madre di Dio. All’interno c’erano poche persone:
alcune inginocchiate in preghiera, altre impegnate a scoprirne la bellezza
architettonica.
Ma non eri ospite di quelle mura.
Ho sbirciato, timidamente, attraverso le vetrine della caffetteria dall’atmosfera
parigina che si affaccia sul Corso Casale. Immerse nei profumi della
cioccolata calda e delle meringhe, sedevano alcune coppie, un po’
in là negli anni.
Non occupavi nessuna di quelle seggiole di legno vissuto.
Ho allargato la mia zona di ricerca. I colori, i suoni, gli odori e
gli schiamazzi del mercato di Porta Palazzo mi hanno avvolto con prepotenza.
Mi sono spinta sotto la tettoia che ospita i contadini, dove tu ti rivolgevi
per acquistare gli amati canarini. E poi giù, giù fino
al Balon, il mercato delle pulci e, ahimé, di spaccio e ricettazione.
Ma non eri tu l’uomo che contrattava animosamente l’acquisto
di una voliera rappezzata.
Sono giunta in Piazza Castello, con affanno ho guardato ora verso il
Palazzo Madama, indisponente nel suo silenzio, ora verso Via Po, asfissiante
per la calca vociante.
Mi è sovvenuto che amavi il silenzio della Galleria Subalpina,
dove è concentrato il non plus ultra delle cose che fanno bella
la vita, dicevi …
(…)
Passeggiando per strada e sentendo echeggiare il nome “Sara!”,
mi guardo intorno. Sono infatti stata così battezzata poiché
i miei genitori pensarono che, non potendo vantare nobili natali, almeno
il nome in ebraico avrebbe denunciato un titolo principesco… Sono
una cosiddetta figlia delle ferie, avendo visto la luce della primavera,
il 20 aprile di… La mia età nella smorfia corrisponde alle
nacchere, anche se – tra meno di due mesi – lo scatto di
un anno mi legherà ad un… monaco. A Voi, la ricerca!
Abito in quella città che nel 2006 è stata per tutto l’inverno
“on the move”, avendo ospitato le Olimpiadi Invernali. Lavoro
affinché il risveglio sia per molti più piacevole sorseggiando
una “tazzurella” di caffè. Ma che fatica, ragazzi,
importare ‘sti chicchi d’oro nero!
I miei passatempi? Beh, è chiaro: scrivere, leggere, scrivere,
leggere!
Giudizio
La struggente pervasività dell’assenza attraversa
con sincera semplicità e accompagna lo sguardo sui luoghi della
condivisione. Tra ricordi e parole, l’amore orfano rinnova il
dolore, ma anche la lieve fierezza dell’eredità: un patrimonio
morale incarnato nell’affezione all’antica geografia della
città, fragile ed esposta al male come la vita. L’anima
di chi raccoglie il testimone avrà cura, contro la bruttezza
e il rumore. (CC)
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Viaggi
metropolitani
di Giusy
Sapienza Jouven
"Partire è un poco morire"
dicevano i nonni una volta
lasciare la casa, l'amata
andare col treno lontano
ricominciare tra gente diversa
vivere per ritornare…
i lunghi viaggi sono ora accorciati
come saette le locomotive
traversano terre rimpicciolite
verdi campagne o indorate
paesi in rapida corsa
stazione e campanile
o palazzi serrati
immagini da esplorare.
Però quelli metropolitani
sono treni speciali:
scorrono sotto la pelle
di città senza sosta
con finestrini incollati a tunnel neri
e dentro immobili passeggeri
per un lampo di viaggio
corrono in un ventre
come quello della balena
che li trasporta nel buio
costretti a guardarsi e a sentire.
Pochi sono loquaci
"bel tempo oggi, le pare?"
i più solitari e muti
sostano nei loro pensieri
con occhi spesso nascosti
da timidi giornali.
(…)
Giusy
Sapienza Jouven è nata e cresciuta in Sicilia e, più
tardi, è partita verso altri lidi con in mano un diploma di Interprete-Traduttrice
e una Laurea in Lingue e Letterature Straniere.
Ha vissuto a Bruxelles, Milano e Londra e attualmente risiede alla periferia
di Parigi. Ha lavorato come interprete e traduttrice, ha insegnato,
ha redatto un giornalino si è impegnata in cause sociali. Dal
2000 si è dedicata soprattutto alla scrittura, in italiano e
in francese, con esperienze diverse: articoli, novelle, poesie, una
commedia, un romanzo. Ha vinto qualche premio, è stata segnalata
due volte al concorso FARA "Pubblica con noi" alcuni dei suoi
racconti sono stati pubblicati nelle antologie
Voci condivise e Storie
di vita dello stesso editore. Da qualche mese ha preso in mano matite
e pennello per mettere sulla carta non solo il nero delle parole ma
anche tanti colori.
Giudizio
Un viaggio tra mezzi di locomozione e persone, nei vari momenti
di una giornata e di una vita. La trasformazione degli abiti e degli
stati d’animo ci guida in un percorso dentro la nostra società.
L’occhio dell’autore è attento a ogni sfumatura e
ogni emozione e ci racconta noi stessi con un tono discorsivo e fluido.
Questo viaggio sui mezzi metropolitani è un modo insolito e originale
di fotografare l’umanità. (MF)
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Caldi fiori
di luglio
di Enrico
Foppiani
La notte prima di lasciare il suo paese Fernando sognò una grande
orchestra, e fu un sogno sfavillante piovuto da chissà dove.
Figure serie di musicisti in frac e papillon si accomodavano in silenzio
davanti agli spartiti. Avevano archi e ottoni, l’impegno e la
disciplina, e anche l’aspetto adatto alla musica sinfonica.
Si disponevano su di una pianura erbosa oppure sul fondo del mare, lasciandosi
baciare le scarpe dalle ondate di erba grassa o affondando nella rena
fino alle caviglie. Quando cominciavano a suonare subito si spazientivano
e s’interrompevano. Eseguivano solo ignobili melodie, tristi canzonette
senza armonia che abbandonavano, con sollievo, indugiando fra l’afa
e l’acqua salata.
La mattina Fernando si svegliò attonito ma sereno, si sciacquò
il corpo dal sudore e indossò il suo unico bel vestito di finissimo
velluto. Ripensando ai musicisti del sogno, vedeva i loro capelli fluttuare
mossi dal vento, oppure lievemente sospesi nell’acqua di mare.
Olga faceva sempre lo stesso sogno, lui, un uomo, uno sparafucile con
dei baffi rossi a forma di manubrio da bicicletta. Di notte la prendeva
per mano conducendola fuori a piedi nudi lungo i corridoi alti e freschi
della casa colonica.
Sotto la vigna la terra era morbida e calda come un ventre. Olga sdraiata
su quel tappeto vivo e fragrante vedeva le stelle agostane tremolare
chiare e altissime tra le foglie di vite. Sentiva gli acini dell’uva
lambrusca caderle addosso, schiacciarsi dietro la schiena, schiacciarsi
anche tra lei e lui.
Olga era orfana, una purissima figlia di nessuno, con una vita che all’esordio
le presentava un carnefice. Non ebbe scelta, aveva solo il suo carnefice
e per poter amare la sua vita avrebbe dovuto amare lui. Così
fece, Olga per sopravvivere lo amò.
(…)
Mi chiamo Enrico
Foppiani e sono nato a Parma l’1/12/1969. Faccio l’impiegato
metalmeccanico e vivo a Sorbolo. Scrivo racconti per il bene della letteratura
italiana e otterrò il mio scopo smettendo. Sono sposato; mia
moglie si chiama Alessandra e mio figlio, che sta cominciando a parlare
adesso si chiama Rodolfo.
Alcuni miei racconti sono stati pubblicati sulle riviste:
“Il Foglio Clandestino” in occasione della rassegna di narrativa
breve Centicinquantarighe, “La luna di traverso” e “Qui
appunti dal presente”. Altri sono stati inclusi in antologie di
concorsi di narrativa e poesia (Giulio Perrone Editore, Terre di mezzo,
Edizioni il Filo, Food Editore, Fara Editore).
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La dignità
della goccia minore
di Luca
Grazioli
Cadde dall’alto sentendo l’aria diventare sempre più
calda, mentre intorno a lei il cielo si faceva sempre più chiaro,
pur essendo grigio. La sua paura crebbe in prossimità del suolo,
ma il vento la volle cadere altrove: una foglia infatti la accolse,
come accolse altre come lei.
Non ebbe il tempo di rendersi conto di cosa fosse successo: la foglia,
pur restando immobile, la spinse in basso. Più in basso ella
trovò il rametto che sosteneva la foglia e le dava la vita, ma
anche il rametto non poté trattenere il nuovo ospite: la spinse
ancor più giù, al cospetto di un ramo più grande.
– Perché? – si chiese – sono tutti così
impassibili? Dove sono le mie sorelle?
Sentendosi finalmente ferma, volse lo sguardo e vide una di loro. La
stava raggiungendo, e mentre le si avvicinava, pareva sorriderle. Non
ebbe il tempo di ricambiare il sorriso che la sorella si sdoppiò
in due, e poi in tre.
Alla fine erano decine di sorelle, che la travolsero portandosela con
loro lungo il ramo, verso il basso. Quando cominciarono a prendere forte
velocità erano già sul tronco, che si andava a conficcare
sicuro nella terra. Mentre scendevano, lei si voltò, e si sentì
parte di qualcosa. Quando capì che la sua breve esistenza sarebbe
finita al termine della corsa, era già troppo tardi. Forse ebbe
il tempo di capire che era sempre stato tardi per lei, dopotutto.
(…)
Nato a Brescia nel 1977, Luca
Grazioli è supplente (ovviamente precario) di Lettere negli
Istituti Secondari. Dopo essersi laureato con una tesi dal titolo: La
concezione “femminile” della donna nel 2005, pubblica
il romanzo (da lui definito “fantafilosofico”) Cronache
dal Presente Apparente (Lumini/Hesperia, 2006).
Giudizi
Nella breve e intensa scrittura cresce una simpatica
novella poetica che accompagna il viaggio di una goccia d’acqua
che scende dall’alto di un albero verso le radici, dove fatalmente
essa scomparirà, morirà. Una favola che nasce da una bella
metafora. Tutti nel mondo siamo delle semplici gocce minori che nel
raggiungimento della meta finale siamo destinati a scomparire. Ma come
la goccia contribuisce alla crescita dell’albero, così
ogni uomo contribuisce all’evoluzione dell’umanità.
Non è esplicitata una morale, ma si può desumere, secondo
le inclinazioni di ogni lettore. Il ritmo narrativo/poetico è
veloce, accattivante, suggestivo. Un attento controllo della forma accompagna
il lieve sciogliersi del racconto. (OR)
L’atmosfera messa in scena colpisce, si avvertono
venti che si mescolano, scontrano, ad evocare quello che non c’è,
quello che sarà. Ma è un ‘adesso’ che si respira,
che si irrora nel sangue, che ti dice di stare attento. È un’allerta
continuo. Non sai se di paura o di coraggio. “In un bosco, / la
neve a coprire, / silenzio a durare. (GF)
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“Amore”
attraverso 3 nuove chiavi di lettura
Biochimica di un amore
di Ermanno
Cottini
Patimenti d’amore, estasi di corpi e menti soggiogati
dalla passione,
imprese titaniche intraprese nel tuo nome,
conflitti riconducibili ad un amore tormentato,
e poi ancora: duelli, suicidi, fughe improvvise tradimenti,
intelletti caduti preda di insane follie, scismi, conversioni, eresie,
delitti alimentati da Te: unico combustibile riconosciuto da ogni civiltà
colpevole di alimentare il motore del mondo.
Celebrato e cantato da tutte le letterature nel succedersi dei secoli.
Per mano tua son nate poesia e narrativa, pittura, scultura, musica
e ogni espressione artistica.
Per interagire con le tue oscure trame gli speziali son diventati alchimisti,
i droghieri maghi, le vecchie zitelle fattucchiere , i confessori psicoterapeuti.
Per attribuire un senso alla tua capricciosità, si è riconosciuta
dignità ai tarocchi , ci si è soffermati a scrutare i
solchi delle mani,
come mappe su pergamene arcane ; botanici e farmacisti
hanno escogitato filtri ed in cucina si rende omaggio ad Afrodite.
La scienza ha sconvolto tutto questo , operando una palingenesi totale,
fondata sulla biochimica.
(…)
Ermanno
Cottini è nato a Torino,dove vive e lavora, il 24 marzo 1955.Laureato
in medicina & chirurgia, svolge attività di medico di famiglia
dal 1984. Da cinque anni collabora con la facoltà di medicina
in qualità di tutor per gli studenti del corso di laurea del
quinto e sesto anno e come valutatore pre esame di abilitazione professionale.
Ricopre l’incarico di presidente di una associazione di medici
di famiglia operanti nel territorio dell’asl 4 di Torino.
Scrive poesie e pensieri in “prosa poetica” per hobby da
pochi anni.
Gudizio
Le chiavi di lettura sono argomento di gioco
e di ironica visione in questa opera che tratta dell’amore, argomento
tra i più usati e perfino abusati nei testi poetici, e perciò
difficile da scrivere senza cadere nei soliti schemi e naufragare nella
retorica. L’autore scrive e descrive con naturalezza ma si legge
nei suoi versi un’accurata ricerca dei termini e della forma,
ricerca che sfocia in originali immagini e in parole suggestive.
(MF)
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*****
Autori menzionati
Sazi
e molecolari
di Annamaria
Ferramosca e Ivano
Mugnaini
Su quella strada conficcata nel corpo di una notte densa
e muta, tale da non lasciare sperare il sorriso di nessuna alba, Marco
Stefanis ebbe chiara, per ironia e contrasto, per misero, raggelato
contrappasso, la visione dell'inferno. Domestico, quotidiano inferno,
cantato da un poeta minore, privo di orrifica e fantasmagorica fantasia,
dotato solo di metodo, tenacia, burocratica efficienza. File di auto,
camion e furgoni, ciascuno con le sue lucine, attaccati l'uno all'altro
come grovigli di ibridi mostri meccanici, oppure a debita distanza,
in modo da concedere spazio nell'inesorabile avanzare a sospiri di biossido
di carbonio. Da certe prospettive ampie e panoramiche, Marco coglieva
l'insieme, la globalità della scena: centinaia, migliaia di fari
inghiottiti e risputati dalle fauci ancora spalancate della notte. Vite,
o ipotesi di vite cieche sospinte da una forza pigra ma ineluttabile
in una direzione identica, seppure verso cerchi e gironi distinti di
destini. Ma sempre e comunque in fila, ferocemente docili e ordinati,
nel gelo e nel foco che ci affina.
E quando finalmente, per la pietà della fisica, dell'ottica e
dell'astronomia, la luce del cielo cominciò a rischiarare le
cose e gli animali, la rabbia c'era ancora, più viva, sanguigna,
terragna. Cominciarono ad intersecarsi i serpenti di lamiera dei dannati,
e ciascuno iniziò ad aggiungere da solo al suo martirio l'orrore
di vedere nelle facce che incrociava la sua stessa paura, l'angoscia
di un'identica pena o il ghigno aspro di cerbero carceriere. Fu ira,
solo furia ulteriore, per Marco Stefanis, condannato a girare in eterno
su quella strada attorcigliata su se stessa, sognando la luce di notte
e il buio quando splendeva il sole, obbligato a sperare senza tregua
di raggiungere la sua casa ad ogni tratto di strada, ad ogni metro,
per poi, una volta arrivato, avere sete di ripartire. Fu ira, sorda,
tagliente, ripensare in quei frangenti alle parole lette su una pagina
scritta da mani a lui care e a lui indirizzata, frasi che gli erano
state spedite per riscaldare e rinsaldare la carne e le ali del cuore.
Volatile – ho pensato – volatile
ecco la password che rivela, l’aggettivo
che dispiega le sue ali nel tempo
tiene in sé il trascorrere dei corpi
tutte le piccole vite che hanno vibrato
con tutto il loro calorecolore e anche
tutte le piccole vite che nasceranno
accolte in un abbraccio lieve sconfinato
(…)
Annamaria Ferramosca
ha pubblicato in poesia: Il versante vero, Fermenti, 1999 (Premio
Opera Prima A.Contini-Bonacossi 2000); Porte di terra dormo, plaquette,
Dialogo Libri, 2001; Porte/Doors, 2002, Edizioni del Leone,
trad.ne inglese di Anamaría Crowe Serrano e Riccardo Duranti
(Premio Int.le Forum 2003, Premio Carver 2003, finalista DeltaPOesia
2004); Curve di livello, 2006, Marsilio (Premio Città
di Castrovillari-Pollino, Violetta di Soragna e Astrolabio nel 2006,
nella rosa finale del Camaiore, finalista Premio Pascoli e segnalato
al Premio Lorenzo Montano nel 2007); Paso doble, 2006, Empiria,
coautrice Anamaría Crowe Serrano, traduzione di Riccardo Duranti.
Per la poesia inedita ha ricevuto il Premio Rabelais nel 2001 e si è
classificata seconda al Premio Borgognoni e al Renato Giorgi nel 2007.
Testi ed interventi critici sulla sua scrittura sono apparsi su numerose
riviste, tra cui Poesia, Hebenon, La Mosca di Milano, La Clessidra,
L’immaginazione, Le voci della Luna e in antologie, tra cui: L'altro
Novecento, 1999, Appunti critici, 2002, Poeti italiani
verso il nuovo millennio, 2002, nonché su siti letterari
in rete, quali annamaria.ferramosca.literary.it
- www.chiaradeluca.com
- www.vicoactillo.it - rebstein.wordpress.com.
Collabora con testi e note critiche a molte delle riviste succitate
ed è redattrice del sito
www.viadellebelledonne.wordpress.com. Si interessa attualmente di
co-scrittura e sinestesie tra poesia e varie espressioni d’arte.
Ivano
Mugnaini è autore di testi di poesia, prosa e saggistica.
Pubblica suoi testi e recensioni per alcune riviste nazionali tra cui:
“L’ Immaginazione”, “La Clessidra” e note
di lettura in rete su riviste quali www.vicoacitillo.it
e www.sinestesie.it. Cura la
rubrica "L'ombra del vero" sul sito Speaker's Corner della
Bompiani RCS all'interno del quale propone suoi racconti. Fa parte della
Giuria di alcuni Premi letterari, tra cui il Concorso nazionale di poesia
"L'Astrolabio".
Ha pubblicato la raccolta di racconti La casa gialla e il romanzo
Limbo minore, Manni editore, Lecce. Il suo racconto "Desaparecidos"
fa parte dell'Antologia Parole di Carta recentemente pubblicata
da Marsilio.
È autore di poesie e varie raccolte poetiche premiate o segnalate
in concorsi letterari nazionali, tra cui: Premio "Eugenio Montale"
,"Lerici-Pea" ,"Camaiore".
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Dove cominciano
le colline
di Arnaldo
Savini
Le colline cominciano dove la pianura finisce: detto così,
il concetto è elementare. Ma c’è un punto preciso
in cui la pianura finisce? Certamente no, almeno non in modo tanto netto,
ci può essere tutt’al più una linea o una striscia
di terra a segnare la demarcazione. Una linea ovviamente non retta ma
zigzagante, ondulata, frastagliata, una striscia che ora si allarga
ora si restringe, dunque entrambe imprecise, indefinite. In una certa
zona hai l’impressione che le colline finalmente inizino, la terra
prende visibili ondulazioni, sale di alcuni metri ma poi d’improvviso
ritorna giù, dopo poco si spiana nuovamente. Non è dunque
lì che cominciano le colline, lì c’è solo
un abbozzo, un tentativo, un leggero innalzamento del suolo che parrebbe
fine a se stesso. Poi la ricaduta, come una malattia che tutto annulla
nel suo monotono ripetersi. La pianura è certo malata, di questa
malattia tutta moderna, tuttavia è dura a morire, ha una fibra
resistente; è simile all’entropia verso cui ogni forma
vivente dotata di energia ineluttabilmente tende, prorogando però
all’infinito il momento finale. È certo più facile
esistere piattamente, perpetuarsi senza sussulti; collina invece è
variare, diversificarsi, imprigionare energia nelle zolle per poi esploderla
in forme geometriche il più delle volte tondeggianti, altre lineari
o spezzate. C’è maggiore spreco, ma è molto più
divertente.
Colline ne esistono di vari tipi: moreniche, lento ammonticchiarsi nei
millenni di scorie glaciali; marnose, accumuli calcarei suscettibili
di sbrecciarsi e sfarinarsi in calanchi e orridi vertiginosi; metamorfiche,
dense di scisti e conglomerati rocciosi. Non devono, per convenzione
geografica, superare l’altezza di seicento metri, anche se spesso
non è possibile contenere la tentazione di farsi montagna, ergersi
altezzosamente sopra il livello consentito, elevarsi oltre la massa
delle ex-consorelle. Eppure, di contro, esistono aree collinose vaste
centinaia di chilometri quadrati e mai che nessuna sgarri in altitudine
di un solo centimetro, pena l’espunzione dall’ordine di
appartenenza. La pianura da una parte, col suo richiamo all’annullamento
nell’indistinto, la catena montuosa dall’altra, con le sue
vette scintillanti e inattingibili; loro là nel mezzo, a consistere
in tale zona intermedia, sorta di terra di nessuno, delta che non può
per definizione divaricarsi oltre. E’ una sfida la collina, saper
rimanere in bilico come sopra un’immensa asse d’equilibrio.
Quando il rischio è l’eccessivo innalzamento è necessario
ricorrere a tutto il proprio autocontrollo, saper contenere questo surplus
energetico che spinge ad attingere altre quote, a toccare cieli troppo
remoti e rarefatti. Se al contrario c’è in agguato il cedimento,
l’inopinato sprofondamento nel baratro di forre che portano diritte
agli estremi abissi della terra, allora bisogna saper resistere, fare
appello a tutte le risorse disponibili per non indulgere alle seduzioni
perfide di questi imbuti aperti, pronti a risucchiarti nei gorghi degli
ipogei.
(…)
L'autore
è nato in provincia di Pavia nel 1956. Ha pubblicato presso Montedit
la raccolta poetica Per frasi e perifrasi (1995) e in seguito
due raccolte di racconti: Ma per le vie del Borgo (N. Calabria,
2003) e Al Borgo e altrove (Lampi di stampa, 2007). Vive e
lavora, per metà come farmacista e per metà come scrittore,
a Vigevano.
Giudizio
Una metafora di geometrica linearità che rimanda
agli incastri “illuministici” di stile calviniano. La collina
e i suoi confini incerti tra cielo e mare; la tenacia orografica contro
l’incertezza e l’usurpazione. L’altezza mediana non
è compromesso sterile, ma faticosa identità. (CC)
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L’altroparlante
di Alessio
Luise
Per via della cravatta credono che io sia un impiegato. Constatato frettolosamente
che fa freddo, constato freddolosamente che sono di fretta. Non appena
in strada salto una merda di cane, penso che in Italia non va per niente
bene. Che però abbiamo vinto i mondiali. Per via della cravatta
sono considerato elegante. Senza moneta esco senza uscita, attuo un
prelievo lampo da Bancomat non afferente al circuito. Le infrazioni
si estinguono mediante il pagamento della somma, per quieto vivere così
va il mondo. Per educazione, perché “tengo famiglia”.
Non appena in strada per via della cravatta credono che vada ad un matrimonio.
In pausa pranzo, davanti al piatto piano, mi chiedo se in passato ho
toccato il fondo e cosa minestra. In dirittura d’arrivo del secondo
addirittura arrivo a pensare che la cucina è un polenta. Ma le
tue trovate sono piuttosto ricercate, sei una buona forchetta e non
appena ti appendi al cucchiaio ti trovo a tua volta riposata. Ma se
ti giri sei bella come vorrei. Conosco i miei limiti ma non limito la
mia conoscenza. Per via della cravatta vengo scambiato per un dirigente.
Dall’altro lato della casa parlo e d’altro canto, anch’io
canto. Dall’altro lato parlante, dall’altoparlante di un
altro.
(…)
Alessio
Luise, nato nel 1978 a Sesto S. Giovanni, lì vive in un bilocale
con moglie, figlia e gatti. Laureato in Filosofia presso la Statale
di Milano, lavora in un call-center per conforto e prima necessità
da dieci anni. Da un tempo maggiore pratica la scrittura "sdrammaticata
dell’invece delle cose”. Dopo alcuni interventi sperimentali
sulla rivista Confini (LaVitaFelice Ed.), nel 2005 ha esordito con L’uomo
non è volante, ma almeno può sterzare (autoprodotto);
Lietocolle Editore nel 2006 pubblica Concavo. Convesso. Corsivo.,
nello stesso anno è uno dei dieci poeti Subway (pubblicato
su 250.000 libretti gratuiti – “Ospite d’onore.Della
Terra.” a cura di M. De Angelis, D. Piccini, D. Rondoni - in libera
distribuzione nelle Metropolitane e stazioni di Milano, Roma, Torino,
Napoli e Venezia), è quindi inserito con tre liriche da Davide
Rondoni nella antologia edita da Net Saggiatore Subway-Poeti italiani
underground. Autore di canzoni col nome Luisenzaltro ha autoprodotto
i lavori sonori Inversioni aEIOU, in versione aUDIO (2004),
L’uomo non è volante, ma sterza con furia (2005),
Il corsivo è dell’autoradio (2006, Insicurezza
sul lavoro (2007), in parte trasmessi da RadioRai1, RadioPopolareMilano,
RadioAlmaBruxelles.
Gudizio
Lavoro molto interessante che forse esula dalla prosapoetica
– ma forse no, chi può dirlo? – ma che ci regala
dei giochi di parole molto curiosi e piacevoli e ci ricorda, se ne abbiamo
bisogno, che scrivere, essendo passione, è anche gioco e divertimento
e non solo una pratica da seguire con presunzione. (MF)
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***
Riflessione
sul brano del Vangelo di Luca 10,1-24
la lectio divina settimanale all’Abbazia di San Miniato
al Monte
di Bernardo
Francesco Maria Gianni (v. anche qui)
Dopo la missione dei Dodici (Lc. 9,1-5), Gesù
sceglie altri settantadue discepoli – settanta a seconda dei codici
– con il compito di disporre gli animi a ricevere la predicazione
evangelica. Seguire Gesù non era una sorta di opzione fra le
tante dei maestri di Galilea che radunavano intorno a sé dei
discepoli per istruirli nella legge, ma qualcosa di molto più
radicale che esigeva la capacità di comprendere l'eccezionalità
del tempo che si stava vivendo, cioè l'invito a mettersi in cammino
con Gesù. Ed è negli strati più antichi del Vangelo
che affiora la sua consapevolezza di non essere un semplice rabbino
ma il Messia, che diceva ai suoi discepoli: «La messe è
molta, ma gli operai sono pochi… Andate: ecco io vi mando come
agnelli in mezzo ai lupi; non portate borsa, né bisaccia, né
sandali e non salutate nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate,
prima dite: Pace a questa casa.» (cfr Lc 10,2-5). Già s'intravedono
le prime difficoltà dell'attività missionaria: sono infatti
elencati gli oggetti che i discepoli non devono portare con sé,
nel segno di spogliamento e rinuncia delle cose più necessarie,
per entrare in una dimensione di piena disponibilità. I discepoli
devono anche evitare i saluti cerimoniosi, alla maniera orientale, per
non indugiare nel viaggio. E poi la forma del saluto di pace ebraico:
shalom. Uno stile, quindi, che permetta ai discepoli di andare
nel concreto dell'esperienza missionaria. «Restate in quella casa,
mangiando e bevendo di quello che hanno… Quando entrerete in una
citta e vi accogliereanno… curate i malati che vi si trovano e
dite loro (cioè a tutti): «Si è avvicinato a voi
il regno di Dio. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno…»
(cfr Lc 10,7-11). Dunque Gesù comanda ai suoi discepoli di accogliere
tutto quello che viene loro dato per entrare in una dimensione di condivisione
e di scambio con la gente delle città visitate, per annunciare
loro la buona novella e una prospettiva di vita nuova, cioè la
venuta del regno, e di scuotere la polvere dalle loro scarpe quando
questo annuncio di salvezza non è ascoltato dagli abitanti delle
case visitate: un gesto durissimo che significava che non vi era più
comunione fra loro.
Luca inserisce nel brano le invettive alle città della Galilea,
Corazin e Betsàida, che non avevano accolto i missionari inviati
da Gesù, e specialmente Cafarnao che aveva scelto come «sua
città» all'inizio della vita pubblica, dove aveva operato
il maggior numero di segni: «Guai a te, Corazim, guai a Te, Bethsàida…
E tu, Cafarnao…» (cfr Lc 10,13-15). Il «Guai a te»
di Gesù non ha il significato di maledizione ma di scoramento,
perché queste città non erano state capaci di andare oltre
i segni e i miracoli operati da Gesù, che se fossero stati compiuti
nelle città pagane di Tiro e Sidone i loro abitanti si sarebbero
già convertiti. Questo può valere anche per noi che, talvolta,
riceviamo doni significativi. Fondamentale poi è il versetto
«Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E
chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato» (Lc 10,16).
Gesù come chiama i discepoli a condividere la sua missione, così
vuole instaurare un rapporto personale con ciascuno di noi, con la promessa
di condurci a fare l'esperienza di vita che ha fatto lui. Questo legame
è di una serietà tale che Gesù al momento di iniziare
la sua passione prega il Padre dicendo: «Non prego solo per questi,
ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché
tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano
anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu
mi hai mandato. E la gloria che tu hai dato a me, io l'ho data a loro,
perché siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché
siano perfetti nell'unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato
e li hai amati come hai amato me.» (cfr Gv 17,20-23).
Quando i discepoli ritornarono da Gesù con la gioia nello loro
spirito per i fatti prodigiosi compiuti, dissero: «Signore, anche
i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome» (cfr Lc 10,17).
Gesù vede che dove arrivano i suoi discepoli si riaccende la
luce, satana, il divisore, cade come la folgore: «Non rallegratevi
però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi
piuttosto che i vostri nomi sono scritti nei cieli.» (Lc 10,20).
Seguiamo Gesù lottando contro il male, ma quando non lo possiamo
vincere perché, talvolta, è tanto grande, noi lo possiamo
solo assumere. A questo punto la vera gioia sta nell'essere entrati
nell'esperienza di vita del Signore Gesù che è il vivente
«oggi». «In quello stesso istante Gesù esultò
nello Spirito Santo e disse: Io ti rendo lode, Padre...che hai nascosto
queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli...»
(cfr Lc 10,21).
Gesù si commuove perché si accorge che a seguirlo e ad
entrare in comunione con lui sono i piccoli. Pensiamo alla Maddalena
che è la prima testimone del risorto! È l'amore di Dio
che ha una sua libertà interna per cui, paradossalmente, non
basta agire con rettitudine se non si entra anche nell'amore di Dio.
È proprio nei lati della nostra vita in cui siamo più
vulnerabili che passa l'esperienza di eccedenza del Signore per farci
fare il salto decisivo verso questo amore, che poi diventa responsabilità
nei confronti degli altri. L'esperienza dei grandi mistici può
essere stata di prossimità all'assoluto, ma l'esperienza di Gesù
ci rivela il Dio unico e ci racconta il suo volto e la sua paternità.
«E volgendosi ai discepoli, in disparte, disse: Beati gli occhi
che vedono ciò che voi vedete. Vi dico che molti profeti e re
hanno desiderato vedere cio che voi vedete, ma non lo videro, e udire
ciò che voi udite, ma non l'udirono» (cfr Lc 10,23-24).
E anche qui il paradosso sta nel fatto che quello che Gesù ci
porta è stato preparato nel corso di tutta la storia, e i profeti
che l'hanno annunciato e desiderato in realtà non l'hanno visto
compiuto! Lo vedono compiuto questi semplici uomini di Galilea che non
vantano il prestigio e la risonanza dei re e dei grandi profeti dell'Antico
Testamento.
Notizie dalla Lectio
a cura della Redazione Comunicato n. 51
lectio.divina@libero.it
Bernardo
Francesco Maria Gianni è monaco benedittino olivetano dell'Abbazia
di San Miniato al Monte (lectio.divina@libero.it)
Monaci Benedettini di Monte Oliveto
Le Porte Sante, 34
50125 Firenze
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