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FARANEWS MENSILE DI 4. Aprile 2000 5. Maggio 2000 7. Luglio 2000 8. Agosto 2000 9. Settembre 2000 10. Ottobre 2000 11. Novembre 2000 12. Dicembre 2000 13. Gennaio 2001 14. Febbraio 2001 15. Marzo 2001 16. Aprile 2001 17. Maggio 2001 18. Giugno 2001 19. Luglio 2001 20. Agosto 2001 21. Settembre 2001 22. Ottobre 2001 23. Novembre 2001 24. Dicembre 2001 25. Gennaio 2002 26. Febbraio 2002 27. Marzo 2002 28. Aprile 2002 29. Maggio 2002 30. Giugno 2002 31. Luglio 2002 32. Agosto 2002 33. Settembre 2002 34. Ottobre 2002 35. Novembre 2002 36. Dicembre 2002 37. Gennaio 2003 38. Febbraio 2003 39. Marzo 2003 40. Aprile 2003 41. Maggio 2003 42. Giugno 2003 43. Luglio 2003 44. Agosto 2003 45.Settembre 2003 46. Ottobre 2003 47. Novembre 2003 48. Dicembre 2003 49-50. Gennaio-Febbraio 2004 51. Marzo 2004 52. Aprile 2004 53. Maggio 2004 54. Giugno 2004 55. Luglio 2004 56. Agosto 2004 57. Settembre2004 58. Ottobre 2004 59. Novembre 2004 60. Dicembre 2004 61. Gennaio 2005 62. Febbraio 2005 63. Marzo 2005 64. Aprile 2005 65. Maggio 2005 65.bis Maggio 2005 66. Giugno 2005 67. Luglio 2005 68. Agosto 2005 69. Settembre 2005 70. Ottobre 2005 71. Novembre 2005 72. Dicembre 2005 73. Gennario 2006 74. Febbraio 2006 75. Marzo 2006 76. Aprile 2006 77. Maggio 2006 79. Luglio 2006 79.bis 80. Agosto 2006 81. Settembre 2006 82. Ottobre 2006 83. Novembre 2006 84. Dicembre 2006 85. Gennaio 2007 86. Febbraio 2007 87. Marzo 2007 88. Aprile 2007 89. Maggio 2007 90. Giugno 2007 91. Luglio 2007 92. Agosto 2007 93. Settembre 2007 94. Ottobre 2007 95. Novembre 2007 96. Dicembre 2007 97. Gennaio 2008 98. Febbraio 2008
99. Marzo 2008
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Editoriale: Un anno ricco di sguardi - Vincitori IV Pubblica con noiÈ questo l'augurio che fa ai suoi affezionati lettori Faranews. In questo numero vi presentiamo lo sguardo altiplanico di Claudio Cinti, quello valutativo del premio Spiaggia di velluto, o quello disincantato di Viti, la sensibilità visitante di Emilia Santangelo, quella empatica di Massimo Morasso, la "visione" farapoetica di Paola Castagna, quella alternativa di Davide Danio Opiemme, e per finire un saggio di Cordì sullo sguardo filosofico di Hobbes. Ricordiamo a tutti coloro che sono poeti e narratori con il pregio della brevitas il nostro concorso Terzo millennio Dante oggi. A tutti un 2006 ricco di opportunità belle.
Vincitori e segnalati IV edizione del concorso Pubblica con noi Hanno vinto (v. certificato): Leonardo Marini di Firenze per la raccolta di racconti Mai e Carmine De Falco per la silloge Linkami l'immagine. Sono stati inoltre segnalati (v. certificato) i seguenti autori: Attilio Melone, Francesco Gaggi, Daniele Borghi, Luigi Ballerini, Vesna Andrejevic, Danilo Tabacchi, Silvio Donà, Giusi Sapienza Jouven, Sara Di Giamberardino, Anna Maria Cardillo, Stefano Cervini, Lugi Nacci, Gianluca Brogna, Kristian Fabbri, Alessandro De Santis e Carla De Angelis. Semplice menzione per Franco Casadei e Giuseppe Di Serio.
Su Ipapecuana. Diario Boliviano con siete palomas (1995-2004) di Claudio Cinti "Questi appunti non riveleranno nulla al cartografo,
meno ancora al turista, e diranno poco al lettore din libro di poesia".
Così scrive l'autore nella premessa a questo libro in cui spagnolo
e italiano tracciano percorsi incrociati; è quasi indispensabile
avere qualche nozione della lingua di Cervantes per apprezzare questa
raccolta (legata a mano in 201 esemplari da Sinopia
Libri, Venezia) il cui titolo è forse una parola aymara che
significa "utopia". Claudio Cinti (1959) è scrittore e traduttore (dirige fra l'altro l'edizione italiana e la riedizione in castigliano delle operedi Jaime Saenz, il maggior romanziere boliviano del Novecento) e profondo conoscitore delle culture sviluppatesi attorno al Titikaka. Coordina le attività dell'associazione culturale ed editrice Sinopia. Su Al centro delle parole: poeti del '900 a Senigallia con uno sguardo alla Scuola fotografica senigalliese e sette omaggi in versi per la città Questa pubblicazione edita nello scorso luglio dall'Associazione Culturale la Fenice (tel. 071/64815 - 071/63922, mail: domenicopergolesi@libero.it fax: 071/60208) è un intelligente e ricco spaccato della produzione poetica in Italia nell'ultimo quarto di secolo esce infatti in occasione dei 25 anni del Premio di poesia "Spiaggia di velluto" con prefazione di Francesco Scarabicchi e una presentazione di Domenico Pergolesi. Fra i poeti qui raccolti ci sono nomi di prestigio come Alberto Bevilacqua (Premio Internazionale 2004: "Segnami, ti prego, ancora le ore / con le tue lancette ferme sull'eterno", p. 130), Umberto Piersanti (Premio Volpini 2004: "sono fermi i miei cari nella luce / che dal fosso immobile trapassa", p. 132), Grytzko Mascioni… e anche autori giovani che sento particolarmente vicini. Ad esempio Vera Lucia de Oliveira (vincitrice della sezione Silloge, 2000): "l'abbandono si impara / soprattutto dai tetti / che seduta nel treno / ti scompaiono svelti" (da La guarigione); o Ivan Feleli (vincitore nell'anno successivo con Una religione di parole) "E vengo a te se spenta è già la luce / e il resto non mi vede. Una presenza / di silenzio, più non conto. Prego il poco / che mi attende, la lascio quanto credo. / Tu trova quella sillaba capace. La voce chiede un cuore dai balconi."; o Salvatore Ritrovato (Premio Volpini 2003) "Precario sei stato e sei / Anche al di là, precari i tuoi / Padri e i commissari / Che ti chiesero di scegliere / A piacere un argomento, / Precario questo vento / Gelido di febbraio e noi nell'angolo / Del Corso che si impolvera di neve." (da Salvatore, p. 128). Ma tanti bei versi possono trovarsi scorrendo queste pagine: "La morte / è dentro casa // coninquilina e parassita / dell'affitto che paghi tu / e t'appartiene / come i pensieri tuoi" (Luca Lavatori, p. 117); "Mia madre è cieca / mio padre non vede più. / Cadono briciole dalle loro mani: / lo sanno i passeri e le formiche / che nella bella stagione abitano / con loro la casa ed il balcone." (da Le briciole degli occhi, Giaunluigi Sacco, p. 110); "Accanto a me / la mia ombra / nel sole cammina / sull'asfalto azzurrina / con i piedi fissati / alle mie stesse scarpe. / 36-37." (da L'ombra, Vittoria Bartolucci, p. 102); "Gli uomini parlano con la birra e il profumo / dei sigari con le antiche ballate." (da Impressioni, Cesare Caspani, p. 99)… Bellissime anche le foto raccolte in fondo al volume. le mie braccia rosse non sanno cercarti *** Comodo oblio Assolvere tutto tra le manie, *** Tabula rasa Il crinale alla mezza sera – *** L’amore desueto la tua invisibile (l’amore desueto) Piergiorgio
Viti è nato a Sulmona (AQ) il 21 giugno 1978, ma risiede
nelle Marche. Si è laureato in Storia e Conservazione dei Beni
Culturali presso l’università di Macerata e attualmente
è specializzando presso la Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento
Superiore. Ha già riscosso una quarantina di successi in concorsi
nazionali e internazionali. La sue liriche sono pubblicate in diverse
antologie e riviste letterarie. Al suo attivo anche articoli giornalistici,
interviste, saggi. Da poco è attivo il suo blog plancton.splinder.com Su Spugne azzurre di Emilia Dente Santangelo La seconda raccolta poetica di Emilia Dente Santangelo
conferma l'eccezionale lavoro sulla parola svolto in questi anni di
attesa per l'uscita della raccolta Spugne azzurre.
La poetessa, messa in luce dal grande critico letterario Michele Ricciardelli,
mentre era ancora studentessa liceale con una nota critica sulla poesia
di Annalisa Cima, raccoglie oggi in questi versi la lezione della corrente
letteraria postermetica. Tutte le poesie rastremano la parola per difenderla
dall'uso impuro dei fronzoli e dall'invasione degli inglesismi tanto
diffusi nella versatilità contemporanea. Una poesia aperta al
nuovo senza però distogliere lo sguardo dalla grande lezione
del Novecento appena trascorso. Versi acuminati, pronti a cogliere la
dolcezza e l'ispirazione che il reale consente ad un'anima attenta all'infinito
valore dell'esistere in sé e negli altri esseri viventi. Vincenzo D'Alessio è nato a Solofra (AV) nel 1950. Ha pubblicato La valigia del meridionale (1975), Un caso del sud (1976), Oltre il verde (1989), Lo scoglio (1990), Quando sarai lontana (1991), L'altra faccia della luna (1994), Costa di Amalfi (1995), La mia terra (1996), Ippocampo (1998), D'amore e d'altri mali (1999), Elementi (2003). Vive a Montoro Inferiore (AV). Cristina Campo en lisantdi Massimo
Morasso Massimo Morasso (Genova, 1964) ha tradotto e curato testi di W.B. Yeats (1994), Y. Goll (1996 e 1998), N.S. Momaday (1998) ed E. Meister (2000). Per L’Obliquo di Brescia ha pubblicato la trilogia La leggenda della primavera (Nel ritmo del ritorno, 1997; Distacco, 2000; Le storie dell’aria, 2000), prima delle quattro parti che compongono Carte d’identità, ciclo poetico a cui sta lavorando da un decennio. Nel 1999 ha curato la riedizione del “Supplemento letterario del Mare”, la rivista italiana di Ezra Pound. È redattore di “clanDestino”, “La Clessidra” e “Il Cormorano”. È presente in varie antologie, fra le quali Poesie di Dio, Einaudi, 1999; Il pensiero dominante. Poesia italiana 1970-2000, Garzanti, 2001 e Così pregano i poeti, San Paolo, 2001. La sua ultima raccolta, Le poesie di Vivien Leigh. Canzoniere apocrifo, è un'intensa riflessione sull’amore e il dolore.
In questo pomeriggio Natalizio dove il reale silenzio circonda il mio essere… Qualcuno un giorno mi fece osservare che… cheta
sono più bella… e a me piace essergli bellezza. Rileggo Gladys Basagoitia, rileggo la nota critica che le ho scritto e l’accorgimento più evidente è il ricordo che tale scritto uscì con un’immediatezza veramente disarmante, mi appassionò subito la sua poetica, m’innamorai immediatamente della parola imponente: potrei scrivere pagine e pagine, senza stancarmi mai. Ma… ma vi è Daniele
Borghi con Recapiti sbagliati e la mia matita fatica
a stare al passo del pensiero. Borghi
è oramai la mia lettura quotidiana, al mattino presto quando
dopo aver bevuto il caffè accendo la prima sigaretta, prima che
gli eventi cambino di colore e il dovere di madre mi porti altrove,
rileggo le sue poesie. Lo rileggo sospirando, chiedendomi perché
non le ho scritte io, non sono da me uscite parole in rima che lui ha
saputo rendere poesia, eppure nella mia mente vi erano depositate parole,
emozioni, palpitazioni simili e uguali al suo percepire. Quasi quotidiana di Carmelo
Calabrò mi colpisce e mi affascina il sistema di adoperare
la poesia come Ultimo strumento di comunicazione, come se non vi fosse
altro per dire:
Viaggiando in giro per il mondo ci si rende conto delle
tante piccole differenze, siano queste positive o negative, che esistono
tra il bel paese e gli altri magnifici luoghi che ci capita
di visitare. Si può parlare del cibo, della musica, della filosofia
di vita o del gusto estetico; così come di un migliaio di altre
cose e tra tutte questa una che mi ha sempre colpito in modo particolare
ed è il caffè… Quante volte ci è capitato
di ordinare un caffè in qualche bar straniero attendendo quel
dolce aroma che ci risveglia e rinvigorisce permettendoci di proseguire
la nostra giornata in piene forze ed invece ci si ritrova di fronte
una brodaglia sporca, bollente ed insapore che ci fa in fretta cambiare
di umore. Caffè ristetto (edito in Sfioraci, Prospettivaeditrice) Caffè
corretto Davide Danio Opiemme, un doppio cognome nella firma. Un'appartenenza e una scrittura che si intensifica con la nascita nel 1998 dell'Opiemme: un gruppo di amici che scrivono. Le prospettive si allargano nel tempo cercando svecchiare la poesia, portarla alla gente e farla riscoprire utilizzando nuovi modi per proporla, mischiando parole ad altre forme. Suoi sono tutti i testi sui quali si comporrà la mostra "AMANTI DEL CAFFE'", che unirà fotografia testi, video, installazioni e performance su un'unico tema. www.opiemme.com
"La necessità degli eventi non implica per se stessa alcuna mancanza di pietà" (Th. Hobbes, da Libertà e necessità) 1. Una sensibilità esasperata 2. Per Hobbes l’uomo è un
coacervo di ragione e passioni. Considerato in se stesso, e solo
per se stesso, questi è, fin dal principio, preda dal timore
della morte violenta. "La necessità di natura induce gli
uomini a volere e desiderare il bonum sibi, ciò che
è bene per loro stessi, e a evitare ciò che è nocivo,
ma soprattutto quel terribile nemico di natura, la morte, dalla quale
ci aspettiamo la perdita di ogni potere, e anche la maggiore delle sofferenze
corporali al momento del trapasso". Da questo timore della morte
deriva, nell’uomo, una spinta prepotente verso l’autoconservazione.
Ma tutto ciò accade in ogni uomo. Tutti gli uomini,
atomi sparpagliati e atterriti di fronte alla morte, tendono ora ad
evitare ciò che è loro sommamente nocivo. Ma a questo
punto intervengono quelli che sono gli altri dati di partenza
della concezione che dell’uomo ha Hobbes. Gli uomini nello stato
di natura si trovano, infatti, nelle condizioni della uguaglianza
e della libertà. Gli uomini sono liberi di esercitare le loro
passioni ed uguali l’uno all’altro nell’esplicitare
questa libertà; ma le passioni di cui sono portatori sono delle
passioni non-socievoli, egoistiche. Nello stato di natura quella che
domina incontrastata dunque è l’aggressività.
Ma di fronte alla disunita collettività degli uomini sta sempre
la natura ovvero la realtà. Davanti ad essa, gli uomini si pongono
in ogni caso come fossero davanti ad una preda da catturare.
Ognuno di essi è portatore, infatti, di un diritto elefantiaco
ed onnipervasivo su tutte le cose da cui è formata la natura.
Però, di fronte a questo diritto di tutti su tutto, la natura,
per Hobbes, ha delle riserve di beni fruibili che sono necessariamente
limitate. La natura, infatti, è come un fondo
dal quale l’uomo attinge tutta una serie di provviste
ai fini del suo sostentamento e della sua esistenza. Ma perseguendo
soltanto la propria conservazione, tutti gli uomini si trovano ad inseguire
soltanto ciò che è il loro utile, il proprio
vantaggio. E proprio da tale utile nasce per tutti quanti gli
esseri umani "la certificazione del possesso e dell’uso"
di una determinata cosa appartenente al reale. Ovvero: nasce il
diritto che ognuno ha su quella cosa. Ora, questo diritto onnincludente
rispetto ai beni della natur viene, a confliggere con il fatto che i
beni sono limitati, finiti, pre-stabiliti. In definitiva ogni uomo è
guidato soltanto dalla ricerca del proprio utile; per questo egli va
a scovare nella natura tutti quei beni che siano atti ad appagare questa
sua sete; la natura, però, è costituita da una massa di
beni finita; ogni uomo, dunque, non è appagato affatto da questa
restrizione e per questo scoppia il bellum omniem contra omnes,
la guerra di tutti contro tutti. Lo stato di natura diventa uno stato
di guerra perpetua ed incessante nel quale stato ogni singolo essere
umano è portato, dalle proprie passioni, a procacciarsi la maggiore
quantità di scorte che gli sia possibile. 4. Tramite un contratto la ragione suggerisce
agli uomini di legarsi l’un l’altro per il resto della loro
esistenza. Hobbes afferma che il contratto è ciò che gli
uomini definiscono mutuo trasferimento del diritto. Per diritto
nel caso in questione è da intendersi quello relativo a tutte
le cose da parte di tutti che era proprio degli uomini nello stato di
natura. Adesso, mercè la ragione e per risolvere la contraddizione
dovuta all’instaurasi del conflitto fra tutti, ogni essere umano
dovrà impegnarsi con ogni altro essere umano a trasferire questo
suo elefantiaco diritto ad un’altra persona. Il nuovo
soggetto che qui è chiamato in causa non sarà, allora,
un altro essere umano e neppure un demone o un Dio, sarà semplicemente
una Terza Persona: ecco che sorge così il Commnwealth formato
dalla moltitudine finora sparsa degli esseri umani riuniti adesso in
una nuova persona "dei cui atti una grande moltitudine si è
resa autrice in ogni suo singolo componente, attraverso dei patti reciprocamente
stipulati, al fine di metterla in condizione di usare la forza e i mezzi
di tutti loro nel modo che riterrà opportuno per la loro pace
e la loro difesa comune". Il fine per il quale viene istituito,
dunque, il Commnwealth, cioè lo Stato, è quello di procurare
la sicurezza di tutto il popolo. Afferma ancora Hobbes: "si dice
che viene istituito uno stato quando una moltitudine di uomini concorda
e pattuisce, componente per componente, che a qualsiasi uomo o assemblea
di uomini verrà dato dalla maggioranza il diritto di impersonare
tutti quanti (cioè di essere il loro rappresentante), ognuno
di essi, tanto se ha votato per questo quanto se ha votato contro, dovrà
autorizzare tutte le azioni o i giudizi di quell’uomo o assemblea
di uomini come se fossero le sue, al fine di vivere pacificamente con
gli altri e di essere protetto nei confronti degli altri uomini".
Sono i singoli a stabilire l’instaurarsi di un contratto l’uno
con l’altro; è molto rilevante che il sovrano non stipulerà
mai alcun accordo o patto con nessuno, esso è l’ Autorità
tout-court. In ogni stato che così si viene a creare, la Terza
Persona chiamata in causa dall’accordo delle altre (i sudditi)
verrà ora ad essere il rappresentante assoluto di tutti i sudditi
oltre che il legislatore assoluto di ogni controversia che potrebbe
sorgere fra essi. A procurare la sicurezza del popolo, il Commnwealth
"è obbligato dalla legge di natura e di ciò deve
rendere conto a Dio, l’autore della legge, ed a nessun altro che
a lui". Tale Commnwealth nasce da tre passaggi tutti necessari:
1) i singoli rinunciano al diritto illimitato su tutte le cose che avevano
nello stato di natura, cioè fanno assumere all’ambiente,
alla natura, un valore nuovo: nello Stato, la natura sarà a misura
di ogni uomo, e questo risultato ogni uomo l’ottiene ponendo un
freno ed un vincolo alle proprie naturali passioni; 2) i singoli si
vengono a togliere di mano l’arma dell’offesa reciproca
che aveva reso lo stato di natura uno stato di guerra perpetua di tutti
contro tutti; 3) i singoli affidano allo Stato la loro sorte per il
fine della difesa di ognuno. Lo Stato dunque in Hobbes sorge principalmente
come "disciplina delle passioni". Il primo appellativo col
quale Hobbes definisce la costruzione razionale dello Stato è
quello di Leviatano, un essere mostruoso che incute timore in chiunque
soltanto lo pronunci. Nel caso, ora, di questo Commnwealth, tale Leviatano
– secondo le analisi compiute dal filosofo tedesco Carl Schmitt
– sarà almeno quattro cose insieme: un grande uomo, un
grande animale, una grande macchina e, per finire, un Dio mortale. 5. Se diamo un’occhiata globale alla teoria dello Stato di Thomas Hobbes ci accorgiamo che il passaggio dallo stato di natura allo stato civile è un passaggio ravvisabile sotto molteplici guise e dimensioni. In qualche maniera, infatti, si tratta di un transito dall’opinione alla scienza, dall’immoralità alla moralità, dalla bruttezza alla bellezza, dall’impolitica alla politica, dall’arbitrio al diritto, dal disordine al consenso dalla contraddizione alla ragione, dall’uguaglianza alla differenza, dalla libertà alla necessità, dall’insicurezza alla sicurezza, dall’anarchia all’obbedienza ma soprattutto: dalla menzogna alla verità. Per Hobbes, infatti, quella della verità è una dimensione che non appartiene alle cose ma ai nomi . Nello stato di natura, da questo punto di vista, il conflitto si viene a verificare proprio nel momento in cui due uomini diversi attribuiscono i due nomi "mio" e "tuo" alla stessa cosa. Questo, all’interno del regolare stato civile, istituzionalizzato e scandito dalle leggi, non si può mai verificare. Il Commnwealth stabilirà infatti (definitivamente e razionalmente) la proprietà di ogni uomo dentro di esso in modo che nessuno possa nuocere al suo vicino a causa della propria sete di potere. Ecco dunque che, dallo stato dove regnava la menzogna (dell’attribuzione di nomi diversi ad una stessa cosa da parte di persone diverse), con l’instaurazione del Commnwealth si passa allo stato della verità. Ed, ancora, ecco che quella stessa paura, che era originaria e comunque da evitare nello stato di natura ed autoimposta e da rispettare in quello civile, assume ora una dimensione che può essere definita metafisica. La paura, infatti, non è altro che il referente costante di tutto il filosofare del filosofo di Malmesbury. 6. Una volta instaurata la pace, il Leviatano si rende responsabile del rispetto di quelle leggi civili che vigono dentro di esso. Le leggi civili, per ogni suddito, sono "quello regole che lo stato, verbalmente, per iscritto o con un altro segno sufficiente della sua volontà, gli ha comandato di utilizzare per distinguere il bene dal male, vale a dire ciò che è contrario e ciò che non è contrario alla regola". Mentre le leggi naturali, più che delle leggi vere e proprie, erano dei dettami della ragione, le leggi civili sono adesso la parola di chi comanda per diritto su tutti gli altri: "Nessuno oltre allo stato può fare (tali) leggi". La ragione, che aveva fatto capo alle precedenti leggi naturali, nello stato civile si fa essa stessa tutta legge andando ad incarnarsi nella figura del Sovrano-Legislatore che controlla l’intero gioco delle relazioni umane finalmente non lasciate più libere nella totale anarchia delle passioni. Ma le leggi naturali non sono del tutto sparite nello stato civile. Hobbes afferma che: "la legge di natura e la legge civile si contengono a vicenda e sono di uguale estensione. Infatti, le leggi di natura, che consistono in equità, giustizia, gratitudine ed altre virtù morali che dipendono da queste, nella condizione meramente naturale … non sono propriamente delle leggi, ma delle qualità che dispongono gli uomini alla pace e all’obbedienza. Solo una volta che lo stato si è istituito diventano realmente leggi e non prima; cioè quando sono comandi dello stato e quindi anche leggi civili, perché è il potere sovrano che obbliga gli uomini ad obbedire ad esse. Viste, infatti, le differenze con cui i privati dichiarano che cos’è l’equità, che cos’è la giustizia e che cos’è la virtù morale e le differenze con cui le rendono vincolanti, c’è bisogno dei decreti del potere sovrano e delle pene stabilite per chi li viola; tali decreti fanno parte della legge civile . la legge di natura è dunque una parte della legge civile in tutti gli stati del mondo e, reciprocamente, la legge civile è una parte dei dettami della natura". Le leggi civili sono dunque una coestensione delle leggi naturali che, però, non hanno esaurito solo in questo la loro funzione. In tutti quei casi in cui quelle civili tacciono, vigeranno infatti, anche nel Commnwealth, ancora le leggi naturali che avranno così la funzione di integrarle. 7. Tutto il discorso fatto da Hobbes
si è dunque svolto nel transito razionale da quel primo mostro,
la morte, dato per natura, a quello artificiale, il Leviatano stabilito
per convenzione. Prima subita poi fatta subire, inalterata è
rimasta sempre la paura. In un secolo come il XVII che fu, anche, nel
suo insieme fortemente rappresentato da certe forme di sensibilità
esasperata, Hobbes getta le fondamenta di quello che, poi, diventerà
lo "Stato moderno" basato principalmente sulla paura. La razionalità
e la legalità dell’intero edificio architettonico da lui
costruito verrà a poggiare su fondamenta umanissime e, se ci
è consentito, assai tenui. Il Settecento, in seguito, tenderà
a celebrare la sola ragione come unica qualità umana degna di
essere presa in considerazione. Mentre i secoli a noi più vicini
porranno sull’altare prima la scienza (frutto più immediato
della ragione) e poi la tecnica (che è, in sé, un precipitato
della scienza) con metodo assiduo e successo generale. Hobbes, che,
per più di un motivo, può essere considerato uno dei padri
di tutto questo processo, venne invece spinto a ragionare e teorizzare
soltanto dalla paura. Gianfranco Cordì è nato a Locri nel 1970. Laureato in filosofia con una tesi su Ipotesi e limiti nell’epistemologia di Karl R. Popper, è dottorando in Pensiero politico ed istituzioni nelle società mediterranee presso l’Università di Catania. Ha recentemente pubblicato Globalizzazione e politica (Artemis Edizioni). |
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