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Virus dell'elefante e Transatlantici di carta
di Giuseppe Callegari
Le brevi storie di Daniele Bottura
e Corrado Giamboni sono accomunate
dal fatto che entrambi raccontano frammenti di quotidianità con
un quoziente di autobiografia che, apparentemente, varia da storia a storia,
ma che, di fatto, rimane costante. Infatti, a mio parere, l'evidente fantascientificità
di alcuni racconti diventa un modo per descrivere metaforicamente e, quindi,
in modo nascosto il cammino quotidiano che è di per sé stesso
un racconto. Non a caso Wim Wenders, nel film Lo stato delle cose
mette in bocca ad un personaggio una frase emblematica che suona pressappoco
così: "Le storie esistono solo nelle storie perché
la vita scorre nel corso del tempo senza bisogno di storie."
Daniele e Corrado si differenziano nel modo di raccontare la quotidianità.
Infatti, il secondo racconta la straordinarietà delle piccole cose
quotidiane, mentre Daniele cerca costantemente un rapporto con chi legge
lasciando aperte le sue storie.
In Come Mary Poppins e nel Grande Popper,
Corrado Giamboni
mette in scena una quotidianità che diventa straordinaria nel momento
in cui si riesce ad apprezzare le piccole e, apparentemente, banali cose
del cammino quotidiano. La gioia per non essere arrestato dai carabinieri
dopo aver commesso una ragazzata e la straordinaria scoperta per la quale
un corpo statuario, un viso ammiccante, non sono solo e automaticamente
un corpo da esplorare, ma possono diventare un sorriso complice e due
occhi intelligenti con i quali dialogare sui massimi sistemi.
In Notte e Paolo Fresu, Daniele
Bottura allestisce un palcoscenico sul quale si possono accomodare
tutti coloro che si vedono, inesorabilmente ed imponentemente, scorrere
addosso una quotidianità fatta di gesti che sono non gesti e di
parole che muoiono in gola e sono accomunate dalla ricerca di un nuovo
modo di comunicare e di sentire. Non a caso in Paolo Fresu
si riesce a vedere chiaramente solamente nel momento in cui si chiudono
gli occhi.
Daniele cerca di coniugare
l'assoluto desiderio di libertà con il disperato bisogno del rapporto
con l'altro. Ecco allora che viene messo in discussione l'imperante concetto
di libertà che è quello di stare sopra un albero da cui,
novelli Tarzan, lanciarsi su chiunque e in qualsiasi situazione. Non ci
sfiora la mente che certi atteggiamenti sono sopportabili una due tre
volte, ma quando diventano un'abitudine se non interviene la legge dovrebbe
far capolino un briciolo di buon senso (che non deve essere inteso con
l'obsoleto "comune senso del", ma come la capacità di
rendersi conto che, quando si entra sistematicamente in casa degli altri
sfondando la porta, si genera la convinzione che ciascuno di noi può
fare quello che vuole e che la legge del più forte non esiste solo
in Iraq, a Nassyria e Baghdad, ma si annida in modo endemico nella nostra
quotidianità).
Daniele, fra le righe, ma con una esplicitezza
che diventa denuncia sembra dire: "Guardiamo – mi auguro con
sgomento, ma non ne sono sicuro – le immagini che ci mostrano popolazioni
martoriate dalla miseria e dalla guerra e non ci rendiamo conto di vivere
giornalmente l'apocalisse dei rapporti e delle relazioni."
Non a caso il nostro cammino quotidiano inciampa frequentemente in situazioni
che ci scivolano addosso e che viviamo inconsapevoli senza renderci conto
della loro mostruosità.
Corrado nel mettere in scena la straordinarietà
della quotidianità muove i fili di un mondo dove la normalità
diventa diversità partendo dal presupposto che solamente con l'accettazione
della singolarità e della irripetibilità di ciascuno di
noi sia possibile confrontarsi con gli altri.
Un mondo offerto a ciascuno di noi per conoscersi, per comunicare e pronunciare
un perentorio no alla discriminazione come forma di non accettazione del
diverso: un meccanismo che non trae origine solo dal colore della pelle,
dal sesso, dalle caratteristiche fisiche, ma si esplicita ogniqualvolta
l'altro viene etichettato per evitare il difficile compito della comunicazione.
I frammenti di vita raccontati da Corrado
esprimono l'elementare e primordiale concetto per il quale solamente accettando
presupposti globali come la necessità della comunicazione sarà
possibile evitare i luoghi comuni e la logica della lacrima in primo piano
e sostituirli con meccanismi che arrivino al cuore dopo una salutare sosta
al cervello.
Nello stesso modo Daniele rappresenta
sé stesso, offre i suoi talenti; non chiede accettazione –
più o meno di maniera – ma il riconoscimento di quello che
è, a prescindere che sia angelo o semplice viandante. Il tentativo
di Daniele – riuscito – è semplicemente quello di comunicare
attraverso modalità da stabilire e, soprattutto, da sentire insieme
e ci sbatte in faccia la constatazione per la quale il mondo dei normali
si è arrogato presuntuosamente il diritto di stabilire chi è
centro e chi è fuori. Daniele
racconta ciò che si è, e ciò che si potrebbe o vorrebbe
diventare, passando per il labile confine fra il vero e il falso, la gioia
e il dolore, la diversità e la normalità.
Certamente non ci troviamo davanti a Tolstoi e Dostoevskij, ma questo
non è importante, perché nella nostra società il
solo fatto di scrivere diventa rivoluzionario a partire dal fatto che
la scrittura rovescia la logica virtuale della società dell'immagine
e permette di riappropriarsi della nostra appartenenza sociale attraverso
piccoli frammenti di storia personale. Infatti, un pensiero, solo quando
viene trasferito dai territori mentali e si trasforma in parole o scritti
diventa socializzante e soggetto di relazione. Non a caso ci sono molte
popolazioni che iniziano la loro giornata raccontandosi i sogni delle
notte.
E se c'è un'altra cosa che accomuna Daniele
e Corrado è l'amore per
i personaggi, proprio perché in questo modo riescono a comunicare
sé stessi in modo discreto e pieno di speranza per quanto riguarda
Corrado, più dirompente e disperato nel caso di Daniele.
Entrambi cercano la relazione con gli altri intesa come modo di considerare
sé stesso un altro, perché la nostra mente costruisce la
propria identità in una storia infinita di dialoghi con sé
stessa. Imparare a coltivare il monologo interiore significa incominciare
a scrivere la propria storia che diventa dialogo quando ci si pone in
una dimensione trasformativa. Il dialogo, attraverso la scrittura, svolge
un importantissimo ruolo da un punto di vista psicologico perché
– come dice Duccio Demetrio – conferma esistenzialmente chi
dubita di avere un senso.
È questo, sicuramente, il caso di Daniele,
ma credo, anche di Corrado,
e sono certo di tutti gli scrittori – grandi e piccoli, famosi e
sconosciuti – perché attraverso la scrittura rivendicano
il diritto di appartenere al mondo, a prescindere dalle sue leggi.
Mantova, 25 agosto 2004
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