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FARANEWS
ISSN 15908585
MENSILE DI
INFORMAZIONE CULTURALE
a cura di Fara Editore
1. Gennaio 2000
Uno strumento
2. Febbraio 2000
Alla scoperta dell'Africa
3. Marzo 2000
Il nuovo millennio ha bisogno di idee
4. Aprile 2000
Se esiste un Dio giusto, perché il male?
5. Maggio 2000
Il viaggio...
6. Giugno 2000
La realtà della realtà
7. Luglio 2000
La "pace" dell'intelletuale
8. Agosto 2000
Progetti di pace
9. Settembre 2000
Il racconto fantastico
10. Ottobre 2000
I pregi della sintesi
11. Novembre 2000
Il mese del ricordo
12. Dicembre 2000
La strada dell'anima
13. Gennaio 2001
Fare il punto
14. Febbraio 2001
Tessere storie
15. Marzo 2001
La densità della parola
16. Aprile 2001
Corpo e inchiostro
17. Maggio 2001
Specchi senza volto?
18. Giugno 2001
Chi ha più fede?
19. Luglio 2001
Il silenzio
20. Agosto 2001
Sensi rivelati
21. Settembre 2001
Accenti trasferibili?
22. Ottobre 2001
Parole amicali
23. Novembre 2001
Concorso IIIM: vincitori I ed.
24. Dicembre 2001
Lettere e visioni
25. Gennaio 2002
Terra/di/nessuno: vincitori I ed.
26. Febbraio 2002
L'etica dello scrivere
27. Marzo 2002
Le affinità elettive
28. Aprile 2002
I verbi del guardare
29. Maggio 2002
Le impronte delle parole
30. Giugno 2002
La forza discreta della mitezza
31. Luglio 2002
La terapia della scrittura
32. Agosto 2002
Concorso IIIM: vincitori II ed.
33. Settembre 2002
Parola e identità
34. Ottobre 2002
Tracce ed orme
35. Novembre 2002
I confini dell'Oceano
36. Dicembre 2002
Finis terrae
37. Gennaio 2003
Quodlibet?
38. Febbraio 2003
No man's land
39. Marzo 2003
Autori e amici
40. Aprile 2003
Futuro presente
41. Maggio 2003
Terra/di/nessuno: vincitori II ed.
42. Giugno 2003
Poetica
43. Luglio 2003
Esistono nuovi romanzieri?
44. Agosto 2003
I vincitori del terzo Concorso IIIM
45.Settembre 2003
Per i lettori stanchi
46. Ottobre 2003
"Nuove" voci della poesia e senso del fare letterario
47. Novembre 2003
Lettere vive
48. Dicembre 2003
Scelte di vita
49-50. Gennaio-Febbraio 2004
Pubblica con noi e altro
51. Marzo 2004
Fra prosa e poesia
52. Aprile 2004
Preghiere
53. Maggio 2004
La strada ascetica
54. Giugno 2004
Intercultura: un luogo comune?
55. Luglio 2004
Prosapoetica "terra/di/nessuno" 2004
56. Agosto 2004
Una estate vaga di senso
57. Settembre2004
La politica non è solo economia
58. Ottobre 2004
Varia umanità
59. Novembre 2004
I vincitori del quarto Concorso IIIM
60. Dicembre 2004
Epiloghi iniziali
61. Gennaio 2005
Pubblica con noi 2004
62. Febbraio 2005
In questo tempo misurato
63. Marzo 2005
Concerto semplice
64. Aprile 2005
Stanze e passi
65. Maggio 2005
Il mare di Giona
65.bis Maggio 2005
Una presenza
66. Giugno 2005
Risultati del Concorso Prosapoetica
67. Luglio 2005
Risvolti vitali
68. Agosto 2005
Letteratura globale
69. Settembre 2005
Parole in volo
70. Ottobre 2005
Un tappo universale
71. Novembre 2005
Fratello da sempre nell'andare
72. Dicembre 2005
Noi siamo degli altri
73. Gennario 2006
Un anno ricco di sguardi
Vincitori IV concorso Pubblica con noi
74. Febbraio 2006
I morti guarderanno la strada
75. Marzo 2006
L'ombra dietro le parole
76. Aprile 2006
Lettori partecipi (il fuoco nella forma)
77. Maggio 2006
"indecidibile santo, corrotto di vuoto"
78. Giugno 2006
Varco vitale
79. Luglio 2006
“io ti voglio… prima che muoia / rendimi padre” ovvero
tempo, stabilità, “memoria”
79.bis
I vincitori del concorso Prosapoetica 2006
80. Agosto 2006
Personaggi o autori?
81. Settembre 2006
Lessico o sintassi?
82. Ottobre 2006
Rimescolando le forme del tempo
83. Novembre 2006
Questa sì è poesia domestica
84. Dicembre 2006
La poesia necessaria va oltre i sepolcri?
85. Gennaio 2007
La parola mi ha scelto (e non viceversa)
86. Febbraio 2007
Abbiamo creduto senza più sperare
87. Marzo 2007
“Di sti tempi… na poesia / nunnu sai mai / quannu finiscia”
88. Aprile 2007
La Bellezza del Sacrificio
89. Maggio 2007
I vincitori del concorso Prosapoetica 2007
90. Giugno 2007
“Solo facendo silenzio / capisco / le parole / giuste”
91. Luglio 2007
La poesia come cura (oltre il sé verso il mondo e oltre)
92. Agosto 2007
Versi accidentali
93. Settembre 2007
Vita senza emozioni?
94. Ottobre 2007
Ombre e radici, normalità e follia…
95. Novembre 2007
I vincitori di Pubblica con noi 2007 e non solo
96. Dicembre 2007
Il tragico del comico
97. Gennaio 2008
Open year
98. Febbraio 2008
Si vive di formule / oltre che di tempo
99. Marzo 2008
Una croce trafitta d'amore
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Numero 16
Aprile 2001
Editoriale: corpo e inchiostro
Chi scrive da' corpo ai pensieri: un corpo che un tempo
faceva piu' uso di inchiostro, oggi di bit. Le lettere hanno comunque
mantenuto una forma, una grandezza variabile (che e' il loro
corpo) la capacita' di aggregarsi in parole di un deterimanto codice
linguistico. Iniziamo questo numero con due poesie di Stefano Borgognoni
Parigi e Aspettando per passare poi
alla marcia africana di Corpi pacifici. Guido del Giudice
nel suo libro Www.Giordano Bruno ci fa conoscere un
Bruno che prende corpo nella rete. Continuiamo con una salace dissertazione
di Zhuang Zi sulla forma corporale.
Segnalati alcuni siti, presentiamo la recesione di
Antonio Castronuovo ad animale, il fantadossier di
Francesco Mazzetta in cui si parla anche di Visioni dal
futuro. e la nota di lettura di Vanessa Sorrentino a Il
mio corpo traduce molte lingue.
Dulcis in fundo dalla penna vivace di Orfeo Bartolini un nuovo caso
per il maresciallo Fenati: il corpo del reato attende
una soluzione. Buona lettura.
INDICE
Parigi e Aspettando
Corpi pacifici
Giordano Bruno e il web
Sulla forma corporale
Siti interessanti
Recensioni
- animale
- Visioni dal futuro
- Il mio corpo traduce molte lingue
Albania (di Orfeo
Bartolini)
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Parigi e Aspettando: due poesie di Stefano Borgognoni
Parigi
Tetti d'ardesia, lucernari attoniti,
siete impaludati in un vino di nebbie,
acquerello di fasto sbiadito
diluiti tra i ponti sdraiati sulla Senna.
Un vecchio, fradicio della sua pazienza,
si e' dimenticato a una balaustra di solitudine
e sorveglia l'umile fragranza
delle sue carte sfatte.
Attardati viveurs si accompagnano
al loro cappotto di malinconia
sotto una luce che, labile, spiove inclinata.
Aspettando
Se un giorno vorrai parlarmi
i tuoi occhi spaccheranno il telefono
irromperanno qui
e nuovamente
mi narreranno Orione.
Allora raccoglierai le mie
lacrime donate.
Tu sei una scheggia di neve
(Stefano Borgognoni)
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Corpi pacifici
Trecento pacifisti italiani dai 16 ai 72 anni sono rientrati dal
Congo a Milano, questa mattina del 4 marzo: da duecento mila persone
erano stati accolti al Sipa, il Simposio Internazionale per la pace
in Africa: "Dopo l'accordo di Lusaka quello che state facendo e'
l'atto politico piu' importante per la pace in Congo", era il mandato
del sottosegretario italiano agli esteri Onorevole Rino Serri, alla
partenza da Milano Malpensa. Altri duecento volontari presenti a Butembo
sono spagnoli, francesi, tedeschi. Con loro ci sono il vescovo emerito
di Ivrea Luigi Bettazzi (portavoce di Pax Christi), il Presidente delle
Pontificie opere missionarie Giuseppe Andreozzi, Giovanni Melandri gia'
parlamentare europeo. Mai cosi' tanti bianchi hanno manifestato insieme
per la pace in Africa. "Due ali di folla si aprono quando arriviamo
a Butembo (nord Kivu, Congo) - raccontano i pacifisti al rientro.
Il dito alzato contro l'occidente e' di Don Albino Bizzotto,
all'apertura del Simposio:"Chiedo perdono per le colpe dei paesi
europei legate alla colonizzazione, e dei gruppi di potere economici
e politici. Perdonate noi e i nostri concittadini perche' molte delle
armi che hanno ucciso e mutilato sono made in Italy, made in France,
made in England. Il nostro governo come molti altri non ha fatto niente
per arrestare il commercio delle armi verso l'Africa."
Nella regione dei Grandi Laghi si contano negli ultimi
due anni 2 milioni di morti, 16 milioni di persone (fonte Misna)
sono soggette a violazioni dei diritti umani o privazioni alimentari
e farmaceutiche. E l'operazione "Anch'io a Bukavu" era nata proprio
dalla gente del Congo: il 20 aprile 2000 la Societa' Civile (rete di
associazioni congolese) lancia l'appello all'Europa, in Italia lo raccolgono
le associazioni Beati i Costruttori di Pace, Papa Giovanni XXIII e Chiama
l'Africa.
"Per i giovani in Congo - proseguono i partecipanti
alla marcia - non ci sono possibilita'; molti scelgono l'arruolamento.
Negli spostamenti nella foresta vediamo i bambini armati ai lati delle
piste. Trincee e posti di blocco pero' non ci creano problemi. Ci muoviamo
su pullman, furgoni e mezzi fuoristrada, alcuni in prestito, alcuni
a noleggio. A Butembo siamo ospiti di una scuola cattolica, a Kasese
(al confine fra Uganda e Congo) della diocesi. La lingua per noi e'
il francese, ma parte della popolazione parla solo kiswahili o lingala.
Ovunque troviamo ospitalita' grandissima e accoglienza oltre ogni aspettativa.
Attraversiamo la savana, poi le foreste in gran parte rase al suolo.
Il Simposio si apre il 27 febbraio, Don Albino Bizzotto ci rappresenta
fra le autorita'. In due giorni conosciamo le associazioni locali e
giriamo fra la gente, poi la chiusura dei lavori e' la firma dei documenti
finali, e il colpo di scena: Jean Pierre Bemba, leader del Fronte di
Liberazione del Congo chiede perdono alla popolazione per i crimini
di guerra e annuncia il ritiro parziale delle truppe a Kiondo, Musienene
e Maboja. Ma quello che abbiamo portato noi a questa gente e' la speranza."
La partenza dei pacifisti era in dubbio fino all'ultimo
giorno: autorizzazioni e fatti politici che si susseguivano avevano
messo in forse la missione. La richiesta del Simposio alle Nazioni Unite
e' di intervenire combattendo l'impunita' in Africa con un tribulale
internazionale, di lanciare un piano di sviluppo condiviso per il continente.
(Marco Tassinari)
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Giordano Bruno e il web
Guido del Giudice, 43enne medico
napoletano, "bruniano" da sempre per "ispirazione e conformita' di spirito",
nel 1998 ha creato uno dei piu' completi e visitati siti Internet su
Giordano Bruno, punto di riferimento per gli appassionati e studiosi
di tutto il mondo: http://giordanobruno.3000.it
Da questa esperienza di comunicazione attraverso la Rete, nasce il saggio
Www.Giordano Bruno (Marotta & Cafiero editori,
pagg. 78, lire 25mila), che si propone come un omaggio al filosofo a
chiusura delle celebrazioni per il IV centenario della morte sul rogo
e un contributo alla divulgazione presso un piu' ampio pubblico, di
un pensiero complesso e spesso frainteso, ma ancor oggi fecondo di suggestioni
e significati di affascinante modernita'. L'opera contiene una presentazione
di Michele Ciliberto, direttore dell'Istituto Nazionale di Studi sul
Rinascimento, fra i maggiori studiosi di Bruno:
"Uno degli aspetti piu' significativi del centenario bruniano
e' stato precisamente il fiorire di molti siti dedicati a Bruno, fra
i quali eccelle in modo particolare quello progettato e realizzato da
Guido Del Giudice. Basta pensare alle migliaia di persone che l'hanno
consultato, e alla ricchezza di materiali che esso ha messo a disposizione
per avere il senso di una vera e propria rivoluzione, capace di cambiare
in modo profondo le possibilita' di lettura di un autore e di un testo.
E' significativo che iniziative di questo tipo abbiano avuto tanto successo
proprio nel caso di un autore come Bruno. Chiunque pensi alle arti della
memoria di Bruno capisce facilmente quanto egli fosse in grado di apprezzare
strumenti e tecniche di lavoro di questo genere e quanto avrebbe potuto
apprezzare metodi di ricerca e di lavoro capaci di progettare in un
nuovo orizzonte linguistico e concettuale, i lemmi fondamentali sia
della nuova filosofia che dell'intera tradizione filosofica."
Per del Giudice Bruno e' soprattutto un grande comunicatore,
un "Mercurio sulla terra" come scrive piu' volte. La sua ansia di conoscenza
diventava immediatamente ansia di comunicare, oltre gli angusti mezzi
dell'epoca. Ecco che, con un iperbolico e letterariamente funzionale
azzeramento temporale di quattrocento anni, Bruno scopre i nuovi orizzonti
della comunicazione, e si ritrova a percorrere un viaggio autobiografico
in rete. L'autore lo accompagna, di link in link, sulla collina di Cicala,
a Nola dove il filosofo era nato, poi a San Domenico Maggiore, dove
aveva occupato la cella vicina a quella che era stata di San Tommaso
d'Aquino, a Campagna, dove celebro' la prima messa e cosi' via, nelle
varie fasi della sua vita e della sua opera, fino al processo e alla
morte, in Campo dei fiori. La conversazione tra l'autore e il filosofo
si fa appassionata, commossa e, al tempo stesso, veicola con tono divulgativo
i nodi centrali della "nova filosofia". L'escamotage del viaggio, che
ha naturalmente modelli alti, si rinnova in questo tributo a Bruno,
spostando l'asse classico del viaggio nell'aldila', in un viaggio nella
rete, dove si moltiplicano le possibilita' e si schiudono mondi alternativi,
gli stessi che, in qualche modo, Bruno aveva prefigurato nella sua filosofia.
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Ammaestramento (sulla forma corporale)
Il dio He disse: "I filosofi del mondo dicono: -
Il piccolissimo non ha forma, il grandissimo e' immensurabile. - E'
realmente cosi'?"
Ruo, il dio del Mare del Nord, rispose: "Dal piccolo guardando
il grande, il grande non viene compreso; dal grande guardando
il piccolo, il piccolo non e' veduto distintamente. Il piccolissimo
e' piccolezza nel suo estremo grado; il grandissimo e' grandezza nella
sua figura maggiore. Ma piccolo e grande tutti e due presuppongono una
forma corporale. Dove non e' forma corporale non e' possibilita' di
divisione numerica; dove non e' possibile abbracciare una grandezza,
non e' possibilita' di divisione numerica. Cio' di cui si puo' parlare
e' la cosa grande; cio' di cui si puo' ragionare e' la cosa piccola.
Cio' che parole o ragionamenti non possono raggiungere, non ha nulla
che fare con piccolezza o grandezza.
Percio' il savio non ascrive a sua virtu' di amore e pieta' se l'opere
sue non nuocciono ad altri. Non cerca guadagno, ma non spregia chi lo
cerca. Non mira a beni, ma non se l'ascrive a merito. Non chiede aiuto
ad altri, ma non si pregia di indipendenza, e non disprezza chi si fa
aiutare. Opera diversamente dal volgo, ma non se l'ascrive a pregio
di singolarita'; e se altri seguono la maggioranza non li spregia quali
ipocriti. Gli onori e vantaggi del mondo non sono stimolo per lui; le
pene e vergogne del mondo non sono disgrazia. Egli sa che ragione e
torto non si possono distinguere, che piccolo e grande non si possono
determinare.
Ho sentito dire: "L'uomo del Dao non ha fama; perfetta virtu' non
ha successo; il perfetto non sa di esserlo. Questa e' la piu' alta cima
che la sorte concede di toccare."
(da Zhuang Zi, Acque
d'Autunno, versione di Mario Novaro)
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Siti interessanti
Corso di giornalismo, racconti e altro
http://www.taffi.it/
La lingua degli Aztechi
http://weber.ucsd.edu/~dkjordan/nahuatl/nahuatl.html
Lanza del Vasto
http://www.comune.san-vito-dei-normanni.br.it/Lanza.htm
Cultura cinese
http://guide.supereva.it/arte_e_cultura/cultura_cinese/
Cammini dello spirito
http://www.vatican.va/spirit/spirit_it.htm
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Recensioni:
Paola Turroni: l'innocenza dell'animale o il male dell'anima
Un motivo ricorrente caratterizza il libro che Paola Turroni - giovane
ed efficace autrice di Cesena - ha dato alle stampe da Fara Editore:
si tratta della sofferenza che diventa parola. E su questo tema il titolo
del libro, animale,
gioca con grande liberta', visto che "animale" allude all'anima
ma contiene in se' anche il "male": il dolore intimo e lacerante
di vivere e di scrivere, non certo la malheur esistenziale, la
dolce sofferenza del tirare avanti in una specie di patto col nulla.
Nessun patto dove la vita viene presa molto sul serio, fino al punto
in cui dalla pagina emerge una sorta di prova ontologica: se l'uomo
non puo' evitare di prendere sul serio la vita e l'espressione, cio'
testimonia del fatto che la vita e' sommamente reale, qualcosa che chiede
di essere vissuto. E anche sofferto, se cio' puo' agire da garanzia
della sua realta'. (...)
L'autrice si immerge nei suoi gorghi e se ne risveglia
leggera quando riesce a usare mani di volo. E' su questa immagine che
si chiude un libro dalle cui pagine si alza un canto di salvezza, una
gran voglia di istanti eterni in cui poter saltare, il desiderio di
attingere anche solo una stilla di quella "ingenuita' che fa parte
del sacro", ma forse anche solo l'infrenabile istinto a cogliere
la scrittura come vita, a farne qualcosa di innocente e causticamente
primitivo. Con animale Paola Turroni lancia
il suo primo messaggio pubblico: lo fa in un modo forte che reclama
una altrettanto forte collocazione da parte del lettore.
Ma sono questi i libri che restano.
(Antonio Castronuovo, «Corriere Romagna» del
22 febbraio 2001)
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Philip K. Dick
Noi e il gigante?
(...) A Fabrizio
Chiappetti chiediamo innanzi tutto cosa lo ha indotto a interessarsi
filosoficamente di un autore di fantascienza e perche' in particolare
di Dick.
Sono arrivato a Philp Dick quasi per caso. Mi e' capitato,
qualche anno fa, di rivedere Blade Runner al cinema. L'esperienza davanti
al grande schermo e' stata esaltante: c'erano un sacco di spunti di
natura filosofica in tutto il film. In quel periodo ero alla ricerca
di un argomento per la mia tesi di laurea e non avevo trovato ancora
nulla di appassionante. Dal film sono arrivato al romanzo di Philp Dick.
E dopo Do Androids dream of Eletric Sheep?
e' arrivata la biografia di Emanuel Carrere. Non saprei dire di piu'
ma credo che Dick, rispetto ad altri autori di fantascienza, abbia saputo
leggere attraverso la metafora del futuro le agonie e le sfide dello
spirito moderno, ormai giunto a un fase cruciale del suo sviluppo. Penso
all'ossessione per la crescente contaminazione tra uomini e macchine.
Ma anche la concezione tutta particolare del tempo, e che emerge soprattutto
dalla lettura della sua produzione non-fictional, e' di grandissimo
interesse filosofico. Pensare al tempo non come una successione lineare
di istanti uguali, omogenei, ma come "crescita", evoluzione
orientata ad un dischiudersi della vera natura delle cose e dell'uomo;
in questo percorso risultano decisive le influenze di autori significativi
della filosofia occidentale, da Jacob Boehme a Schelling, a Bergson
a Jung.
A p. 92 [di Visioni
dal Futuro, ndr] definisci Dick un pensatore del "dopo".
(...) Ma chiarisci subito: "Dick cerca la verita' di 'dopo' con
un cuore antico. I chiaroscuri della sua visione del mondo fanno pensare
all'universo mitico degli oracoli e dei profeti". Non sara' allora
che Dick sia un pensatore del "prima" (...)?
Philip Dick e' un pensatore del "dopo" perche',
come ho cercato di dire anche nel titolo del mio lavoro, lo ha immaginato
con una forza straordinaria. (...) Eppure, in base alla mia piccola
esperienza di ricerca e di critica, sento di poter dire che in Dick
e' altrettanto forte la "nostalgia" del prima, cioe'
di un mondo e di un'esistenza dotata di senso: il desiderio puro del
suo animo musicale, per cui la vita possa danzare sulle note di una
melodia che resta comunque invisibile. (...)
(Francesco Mazzetta, «Mucchio selvaggio»,
n. 431, dal 27 febbraio al 5 marzo 2001)
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Il mio corpo traduce molte lingue
(Rosana Crispim da Costa, Fara Editore, 1998)
La poesia di Rosana
ha versi rapidi, leggeri mercuriali, fatti apposta per passare da una
bocca all'altra con disinvoltura. Arriva subito, e' un messaggio limpido
senza inutili ingorghi di pensiero. E' canto in cui trovano posto le
azioni quotidiane non trasfigurate, ma ugualmente alleggerite dal ritmo
delle parole, dalla loro intonazione. (...) Rosana e' brasiliana ed
e' capace di trasmettere i colori e la sensualita' della cultura "carioca".
Il corpo nei suoi versi arriva prima, il desiderio di raggiungere gli
altri attraverso una comunicazione pre-verbale, ingenua e senza filitri
("il mio corpo traduce molte lingue, la comprensione rimane indietro").
Traspare nella trama dei significati una forte disponibilita' al gioco,
(...) come pure il tema erotico vissuto anch'esso come gioco di seduzione
e gioia di vivere ("il mio romanticismo non aveva pudori, urlava
per le vie scandoloso il mio desiderio").
(Vanessa Sorrentino, «Carte
libere», numero unico, 2001)
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Albania (di Orfeo
Bartolini)
Dio, quant'era bella... Si', d'accordo, era Letizia, sua
moglie. L'aveva sposata tanti anni prima, e gli aveva dato due figli.
Non si era mai pentito... beh, praticamente mai... di averla sposata.
Ebbene, stavolta era uno schianto. Era esattamente come quel pomeriggio...
che anno era? L'ottanta? O era il settantanove? ... quel pomeriggio
di meta' aprile in cui avevano fatto l'amore in spiaggia, sotto una
barca rovesciata. Indossava lo stesso abitino bianco... Aveva anche
la stessa pettinatura... E rideva. Rideva a piena gola, ma soprattutto
con gli occhi. Quegli occhi cosi' intensi, cosi' pieni di gioia interiore.
Si avvicino' al maresciallo, fece per dire qualcosa ma dalle labbra
non usci' la sua voce. Usci' un suono strano, insistente, fastidioso.
Era il telefono. Fenati si affaccio' al bordo del sonno, socchiuse un
occhio e guardo' lo schermo della radiosveglia. Segnava le ore zero
quattro e minuti trentatre' del mattino. Alzo' la cornetta. -Hnnn...
-Scusi l'orario, maresciallo. Sono Trevisan. -Hnnn?... -C'e' un ventiquattro
dodici in Piazza del Mercato. Ecco. Ora gli sarebbe toccato abbandonare
quel bel sogno, quel bel lettone caldo e morbido, rendersi minimamente
presentabile e precipitarsi in piazza del Mercato a fare il rilievo.
Che bel lunedi'. Il cadavere era in mezzo alla strada proprio dove la
via Gramsci si immetteva nella piazza, e piu' che i resti di cio' che
era stato un uomo sembrava una balla di merce caduta da un automezzo.
Aveva mani e piedi legati col nastro adesivo; un pezzo di mattone conficcato
in bocca gli sconvolgeva i lineamenti, dandogli un'espressione assurda,
da animale macellato. Trevisan lo aveva coperto con un telo. Era giorno
di mercato. Era ormai chiaro, i furgoni continuavano ad arrivare e i
due carabinieri della pattuglia di servizio (a cui si erano aggiunti
altri due di rinforzo) avevano il loro bel daffare a tenere libera la
zona. I commercianti arrivavano alla spicciolata, incuriositi, e se
ne andavano subito alle postazioni abituali, piu' preoccupati per i
loro affari che addolorati per la morte di uno sconosciuto. Il maresciallo
Fenati fece i soliti rilievi, ma per quanto Trevisan fosse stato svelto
a coprire il cadavere, le condizioni in cui era stato trovato e soprattutto
la storia della pietra conficcata in bocca erano trapelate, e il mercato,
che si andava lentamente animando, era tutto un intrecciarsi di commenti.
Finalmente arrivo' il magistrato di servizio assieme al dottor Magri,
medico igienista del comune con funzioni di medico legale, e fu possibile
esaminare la vittima da vicino. Aveva il collo spezzato di netto, e
indossava una tuta da ginnastica grigio scuro e un vecchio paio di scarpe
da pochi soldi. Fenati gli trovo' in una tasca un pacco con cinque sigarette,
un accendino di plastica, ventiduemila lire, un pettine e un documento
di identita' albanese da cui risultava un nome del tutto impronunciabile
e l'eta' della vittima: trentasei anni. Nell'altra tasca gli trovo'
un vecchio cellulare e cinque pallottole calibro sette e sessantacinque.
I carabinieri, e i due vigili urbani di servizio al mercato arrivati
nel frattempo, tenevano lontani i curiosi. Poi, come Dio volle, arrivo'
l'autorizzazione ed il cadavere fu rimosso. Erano le nove e mezza. "CADAVERE
AL MERCATO. REGOLAMENTO DI CONTI?" titolava, gia' il mattino dopo,
un giornale locale. Seguiva una breve cronaca del ritrovamento, non
del tutto precisa ma sostanzialmente onesta, ed un resoconto dei primi
commenti della gente. Non mancava neppure un'intervista con un esponente
dell'opposizione in consiglio comunale, il quale polemizzava con la
Giunta accusandola di scarso impegno nel prevenire l'insediamento in
citta' della malavita straniera. Fenati, pero', non era per nulla convinto.
La solita sensazione di freddo dietro la nuca, che lo avvisava quando
qualcosa non era chiaro, stavolta era quasi una fitta. Era tutto troppo
facile, troppo costruito: un albanese morto ammazzato, impacchettato
e servito caldo alle forze dell'ordine con la soluzione del caso a portata
di mano. E siccome al maresciallo non piaceva essere fatto fesso, prima
che il cadavere fosse chiuso nel cofano d'alluminio aveva trovato il
tempo di dare una bella occhiata alle unghie, alle palme delle mani,
ai residui in fondo alle tasche e sotto le suole delle scarpe. Poco
dopo, al riparo da orecchie indiscrete, aveva telefonato al medico incaricato
dell'autopsia pregandolo di prestare la massima attenzione a tutti i
particolari di quel caso. Stava giusto finendo di leggere la pagina
della cronaca, seduto alla propria scrivania in caserma, allorche' il
piantone gli passo' una telefonata. -Pronto, sono Fenati. -Salve, maresciallo.
Sono Navacchia, dal laboratorio. -Ah, buongiorno. Che mi dice dell'albanese
di ieri? Qualche novita'? -Ha avuto buon naso, come al solito. Mi sbagliero',
ma forse quel disgraziato non era un malvivente. Intanto, maneggiava
abitualmente cemento e premiscelati per l'edilizia, anche se non nelle
ultime quarantott'ore di vita. -Ah. -Inoltre, sotto le unghie gli abbiamo
trovato tracce di silicone e di sigillante per rivestimenti, e sotto
le scarpe aveva segatura di pioppo. -Ma guarda... -C'e' dell'altro.
Il cellulare che aveva in tasca non era il suo. -Come fa a dirlo? -Primo,
non aveva impronte digitali, e pur essendo usato non aveva ne' scheda,
ne' dati in memoria. Secondo, aveva nelle fessure fra i tasti microparticelle
di tabacco biondo: la vittima fumava Gitanes, cioe' tabacco nero. E
neppure le pallottole che aveva in tasca erano le sue. -Ne e' certo?
-Fra il bossolo e la pallottola ristagna sempre una certa quantita'
di lubrificante, che si mescola a pulviscolo e detriti di ogni genere.
Ebbene, abbiamo trovato tracce di pelo di gatto, che lui non aveva da
nessun'altra parte, ma non di tabacco scuro, che invece lui aveva in
ogni tasca. In piu', sui suoi polpastrelli non abbiamo trovato la minima
traccia di quel particolare lubrificante. Eppure avrebbe dovuto esserci,
date le condizioni dell'epidermide. Vuole che le dica la mia idea? -Anzi,
la prego. -Per me, maresciallo, quell'uomo faceva il muratore. E stava
lavorando ad una casa quasi finita, dove stanno montando gli accessori
ai bagni. Forse li montava lui stesso. -La causa della morte? -Frattura
della seconda e terza vertebra cervicale. Ma non mi chieda com'e' successo.
Anche se... Era irritante, ma Navacchia andava preso cosi'. Gli piaceva
centellinare i risultati delle proprie ricerche. Fenati aveva smesso
da tempo di irritarcisi, e stette al gioco. -Anche se? -Anche se...
Guardi, qui lo dico e qui lo nego, ma secondo me... Tenuto conto del
fatto che era l'ingrandimento di una fototessera piuttosto vecchia,
era venuta niente male. L'uomo del ritratto (certo, aveva avuto un suo
nome e cognome, ma Fenati aveva preferito non insistere su quei due
gruppi di lettere cosi' astrusamente assortite) non aveva ne' l'espressione
ebete della maggior parte delle fototessera, ne' l'aria da ricercato
per crimini abietti che si vede con quasi altrettanta frequenza sui
documenti d'identita'. Il carabiniere Morelli, l'informatico della stazione,
dopo avere scansionato al computer e debitamente ingrandito l'immagine,
l'aveva elaborata aggiungendo qualche ruga qua e la' e diradando i capelli
sulle tempie. Il risultato era un volto d'uomo dall'espressione seria,
dai lineamenti marcati ma non volgari, e dagli occhi scuri ed intensi.
Armati di quella foto in formato cartolina, Morelli, Trevisan, Ruoppolo
e Di Gregorio erano stati sguinzagliati per il paese, soprattutto nei
bar e nei dintorni delle case in costruzione. Interrogarono baristi,
pensionati e vecchiette abituate a guardare dalla finestra. E alla fine
qualcosa salto' fuori. Il bambino stava immobile sulla soglia della
caserma. Si guardo' intorno. Aveva grandi occhi marroni. Ruoppolo, che
lo teneva per mano, lo incoraggio'. -Forza, piccolo, non aver paura.
Qui siamo tutti con te. Fece un altro passo, e si fermo' un attimo a
guardare la riproduzione di un grande quadro che raffigurava due carabinieri
a cavallo in alta uniforme. Poi, come se avesse saputo gia' dove andare,
giro' a sinistra ed entro' nell'ufficio del maresciallo. Fenati allungo'
il collo, guardo' il piccolo ospite, gli indico' la sedia con la mano
e getto' a Ruoppolo un'occhiata interrogativa. Il carabiniere continuo':
-Adesso di' al signor maresciallo quello che hai detto a me. -Mi chiamo
Davide. Fenati sorrise al bambino. -Buongiorno, Davide. Io mi chiamo
Ermes. -Ciao, signor Ermes. -Siediti pure, piccolo. -Il bimbo obbedi'.
-Quanti anni hai? -Quasi otto e mezzo. -E che hai di bello da raccontarmi?
Davide si volto' indietro, e Ruoppolo lo incoraggio' a continuare. Guardo'
Fenati, ma poi abbasso' gli occhi. -Pero' il mio babbo ha detto che
non devo parlare con voi. Fenati dissimulo' un moto di irritazione togliendo
dal sottomano un invisibile bruscolo. -E perche'? -Perche' il mio babbo
dice che voi fate la spia al governo. Ruoppolo sobbalzo'. Stava per
dire qualcosa, ma Fenati lo blocco' con un'occhiata. Poi finse di dedicarsi
alla punta di un lapis rosso. -Come vuoi. Il bimbo si guardo' le mani
per un po', poi guardo' il maresciallo. Torno' ad abbassare gli occhi.
-Io a quel signore lo conosco. Fenati tacque. -Lo incontro tutte le
mattine, andando a scuola. Mi sorride sempre. Fenati sollevo' lo sguardo
sul piccolo. -Mi ha anche regalato un pezzo della sua spianata. -Davvero?
-Pero' il babbo non vuole che lo dico. -E perche'? Il bimbo tacque.
-Che lavoro fa il tuo babbo? -Il mio babbo fa le case. Salto' fuori
che anche la Sara, che teneva un negozio di frutta e verdura poco lontano
dalla scuola di Davide, aveva riconosciuto l'uomo della foto. E anche
la vecchia Pasquina del Gnaf, che passava i suoi giorni a biascicar
rosari e a guardare fuori dalla finestra, sembrava aver riconosciuto
l'uomo. Anche se poi entrambe avevano negato tutto. Il passatempo principale
della gente, in paese, era occuparsi degli affari altrui, quindi aprire
la bocca e darle fiato. Ma quando spuntava qualche divisa, ecco che
tutti diventavano discreti come le toilettes vaticane. Nessuno voleva
piu' immischiarsi, se non era costretto da un ordine di comparizione.
E spesso neppure in quel caso. Un dato, pero', era inoppugnabile. Sia
da dietro le gelosie della Pasquina, sia da in mezzo ai broccoli e alle
carote della Sara, sia dalla scuola del piccolo Davide si godeva una
magnifica vista di una palazzina con l'intonaco ancora fresco. In paese,
intanto, le reazioni si moltiplicavano. Non era mai successo un fatto
come quello di lunedi': il cadavere di un albanese scaraventato in pieno
mercato, con un pezzo di mattone in bocca, fra il banco dei fiori e
quello della porchetta. Nei bar, negli uffici, dalle parrucchiere era
tutto un commentare, un narrare di furti e di rapine, un rievocare il
buon tempo andato e un deplorare l'invasione della malavita straniera.
I membri del consiglio comunale cavalcavano il fattaccio ognuno secondo
il proprio credo ufficiale, e si preparavano a sfruttarne al massimo
l'impatto emotivo alla prima occasione utile. Perfino nelle parrocchie
le beghine ripetevano: "Io non sono razzista. Pero'..." Infine,
inevitabile come una cambiale, successe che qualcuno ando' oltre le
parole. Alle dieci e quaranta di giovedi' mattina la piccola Ansha,
sette anni, era fuggita in lacrime dal cortile della scuola per rifugiarsi
nell'officina dove lavorava il padre, Dani, un meccanico di origine
albanese giunto in citta' da piu' di dieci anni. L'avevano presa in
quattro durante la ricreazione, le avevano urlato "albanese di
merda" e l'avevano picchiata spaccandole un labbro. Dani aveva
piantato il lavoro, e senza neppure pulirsi le mani dal grasso aveva
preso la propria bimba ed era andato a chiedere spiegazioni alle maestre.
La bidella di servizio, pero', si era spaventata e gli aveva chiuso
la porta in faccia. E fu cosi' che Dani si diresse a passo di marcia
alla stazione dei carabinieri. Fenati calmo' il meccanico, gli offri'
da bere, prese sulle proprie ginocchia la piccola Ansha, le asciugo'
le lacrime, le puli' il viso ed ascolto' il suo racconto. Poi prese
due uomini ed ando' alla scuola, a sentire la versione delle maestre.
Fini' che dovettero intervenire la direttrice didattica, l'assessore
ai servizi sociali, quello all'istruzione e un certo numero di genitori,
perche' Dani (il quale, pur con quelle sue manacce sporche di grasso
nero, sapeva quel che voleva e non si lasciava intimidire da nessuno)
era intenzionato ad ottenere le scuse dai genitori e dalle insegnanti.
Fenati dovette ricorrere a tutte le sue riserve di pazienza e di sangue
freddo per tenere calmi gli animi. Furono dette molte parole e furono
fatte molte telefonate, in citta', in provincia e perfino in regione,
ma oltre allo spreco di fiato e di scatti telefonici fu ottenuto un
solo risultato tangibile. Quella stessa notte la vecchia Panda di Dani,
che tutti conoscevano da lontano a causa dell'inconfondibile rumore
della sua marmitta, veniva data alle fiamme. Alle cinque e quindici
del mattino di venerdi', accompagnato da Ruoppolo, il maresciallo Fenati
suono' a lungo un campanello. Una voce mezzo assonnata e mezzo allarmata
gracchio' dalla griglia del citofono. -Chi e'? -Carabinieri. -Cosa succede?
-E' lei Gazzoni Paride? -Sono io, perche'? -Abbiamo bisogno di parlarle.
-Vengo subito. Nemmeno tre minuti dopo arrivarono da dietro la casa
Palmisano e Trevisan, portando praticamente di peso uno sgambettante
Gazzoni Paride. Indossava mocassini di vernice e pigiama a righe. -Vi
dico che stavo solo... -Certo, certo, -interruppe Fenati. -Vuole avere
la bonta' di venire a far due chiacchere in caserma? Puo' chiamare da
li' il suo avvocato. Anzi, se fa il bravo le facciamo anche il caffe'.
Non ci fu bisogno ne' del caffe' ne' dell'avvocato. Gazzoni Paride,
titolare della "Edilrubicone", era gia' crollato sull'autopattuglia
ed entro' singhiozzando nella caserma. Il suo era un pianto isterico,
da bambino. -Si, sono stato io, sono stato io. E' da sabato che non
dormo piu', maresciallo, e' da sabato che mi giro nel letto, e che aspetto
di sentir suonare il campanello. Sono stato io a ridurlo cosi', a quel
povero Scutari... Lo chiamavamo cosi', il poveretto, non faceva del
male a nessuno, era sempre il primo sul cantiere, era buono come il
pane... Pensare che se... se soltanto non fosse... E scoppio' in singhiozzi
disperati. Ci volle tutta la mattinata a ricostruire con un minimo di
coerenza lo svolgersi dei fatti. Era successo che Scutari, che davvero
era un bravo piastrellista, era stato assunto in nero dal Gazzoni per
finire un certo lavoro urgente. Gazzoni stava traversando un brutto
momento. Era sotto pressione, aveva dei contratti da rispettare, doveva
consegnare senza meno un certo lavoro ed aveva commesso l'errore di
risparmiare sulle impalcature, sulle protezioni e sulle procedure di
sicurezza. Il tardo pomeriggio di sabato, mentre finiva di montare un
gradino, il povero Scutari aveva messo un piede in fallo ed era piombato
a testa in giu' nella tromba delle scale, restandoci sul colpo. Preso
dal panico, Gazzoni aveva dapprima nascosto il cadavere nel proprio
garage, poi (fidando nel fatto che in paese lo conoscevano in pochi)
aveva pensato di liberarsene facendo credere ad una faida fra malviventi.
Fenati, pero', volle comprendere meglio. -Senta, Gazzoni, mi faccia
capire. Il poco che so di lei e' che molti la considerano un costruttore
che si fa pagare, ma lavora bene. Uno che si e' fatto da solo, lavorando
e risparmiando. Cosa le e' successo? Voglio la verita'. Gazzoni prese
un fazzoletto, si soffio' il naso e si asciugo' gli occhi. Sembrava
svuotato di ogni forza. Sospiro', alzo' gli occhi e guardo' Fenati.
-Ha mai avuto a che fare con le banche? Quella domenica, alla messa
delle undici, il maresciallo Fenati era con sua moglie al solito banco.
Si guardo' in giro con discrezione, come faceva sempre per antica abitudine,
notando quasi automaticamente chi c'era e chi non c'era fra i frequentatori
abituali di quella messa. Due banchi davanti a lui, nell'altra navata,
c'era il dottor Petrella, direttore di banca. Una buona voce baritonale,
anche se a volte andava leggermente fuori tempo. Era quello stesso bravo
cristiano che metteva sempre diecimila lire nel cesto della questua,
sventolandole bene in modo che si vedessero, e che un paio di settimane
prima, avendo saputo che un grosso debitore di Gazzoni si era fatta
protestare una cambiale, cogliendo l'occasione al volo aveva tagliato
il credito al Gazzoni stesso, ordinandogli per telegramma di saldare
il proprio conto entro 72 ore. Tutte le altre banche della piazza, secondo
una prassi consolidata dal tempo, si erano chiuse a riccio. Il progetto
del dottor Petrella era di costringere Gazzoni a vendere sottocosto
certi immobili, e far realizzare al cognato un lucroso affare, sul quale
(attraverso la sorella) avrebbe percepito una robusta provvigione. Fenati
sospiro'. Improvvisamente si senti' a disagio. Cerco' di concentrarsi
sulle parole del prete, ma lo sguardo gli cadde tre banchi davanti,
sulla dottoressa Chiarli. Indossava il suo solito visone ed il consueto
velo di pizzo nero. Faceva la comunione ogni domenica, a differenza
di Fenati che ci riusciva al massimo due o tre volte l'anno, ed era
altrettanto metodica anche nel curare i propri affari: prestare denaro,
al sei e venticinque per cento di interesse mensile. "Dal Vangelo
secondo Matteo." "Quando il Figlio dell'Uomo verra' nel Suo
splendore, tutti i popoli della terra saranno al Suo cospetto... ed
Egli li separera' in due gruppi, come fa il pastore quando separa le
pecore dalle capre. Mettera' i giusti da una parte, e i malvagi dall'altra..."
Fenati sospiro'. La signora Letizia, con grande discrezione, gli sfioro'
la manica della divisa. Il maresciallo cerco' di darsi un contegno.
Lo sguardo gli cadde sulla Gisella, la moglie del fotografo della piazza.
Era stata lei, il giovedi' precedente, a dire a Dani: "Non e' colpa
di mio figlio se tu sei albanese". "... perche' ho avuto fame,
e mi avete dato da mangiare; ho avuto sete, e mi avete dato da bere;
ero forestiero, e mi avete ospitato nella vostra casa; ero nudo, e mi
avete dato i vestiti..." Fenati si allento' il colletto della camicia.
All'offertorio il coro intono' un canto. "Dov'e' carita' e amore,
li' c'e' Dio..." Fenati si agito' sulla panca. Vide Rico di Giaron,
consigliere comunale di maggioranza, che in un'intervista a un giornale
locale aveva preannunciato per il lunedi' successivo, erano parole sue,
"un'interpellanza di fuoco sul problema della criminalita'".
"...e amiamoci fra noi, con cuore sincero..." Al maresciallo
manco' il fiato, e dovette uscire. Due ore dopo era ancora sul molo,
seduto sulla piattaforma del faro a guardare i gabbiani.
Orfeo
Bartolini
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