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FARANEWS
ISSN 15908585
MENSILE DI
INFORMAZIONE CULTURALE
a cura di Fara Editore
1. Gennaio 2000
Uno strumento
2. Febbraio 2000
Alla scoperta dell'Africa
3. Marzo 2000
Il nuovo millennio ha bisogno di idee
4. Aprile 2000
Se esiste un Dio giusto, perché il male?
5. Maggio 2000
Il viaggio...
6. Giugno 2000
La realtà della realtà
7. Luglio 2000
La "pace" dell'intelletuale
8. Agosto 2000
Progetti di pace
9. Settembre 2000
Il racconto fantastico
10. Ottobre 2000
I pregi della sintesi
11. Novembre 2000
Il mese del ricordo
12. Dicembre 2000
La strada dell'anima
13. Gennaio 2001
Fare il punto
14. Febbraio 2001
Tessere storie
15. Marzo 2001
La densità della parola
16. Aprile 2001
Corpo e inchiostro
17. Maggio 2001
Specchi senza volto?
18. Giugno 2001
Chi ha più fede?
19. Luglio 2001
Il silenzio
20. Agosto 2001
Sensi rivelati
21. Settembre 2001
Accenti trasferibili?
22. Ottobre 2001
Parole amicali
23. Novembre 2001
Concorso IIIM: vincitori I ed.
24. Dicembre 2001
Lettere e visioni
25. Gennaio 2002
Terra/di/nessuno: vincitori I ed.
26. Febbraio 2002
L'etica dello scrivere
27. Marzo 2002
Le affinità elettive
28. Aprile 2002
I verbi del guardare
29. Maggio 2002
Le impronte delle parole
30. Giugno 2002
La forza discreta della mitezza
31. Luglio 2002
La terapia della scrittura
32. Agosto 2002
Concorso IIIM: vincitori II ed.
33. Settembre 2002
Parola e identità
34. Ottobre 2002
Tracce ed orme
35. Novembre 2002
I confini dell'Oceano
36. Dicembre 2002
Finis terrae
37. Gennaio 2003
Quodlibet?
38. Febbraio 2003
No man's land
39. Marzo 2003
Autori e amici
40. Aprile 2003
Futuro presente
41. Maggio 2003
Terra/di/nessuno: vincitori II ed.
42. Giugno 2003
Poetica
43. Luglio 2003
Esistono nuovi romanzieri?
44. Agosto 2003
I vincitori del terzo Concorso IIIM
45.Settembre 2003
Per i lettori stanchi
46. Ottobre 2003
"Nuove" voci della poesia e senso del fare letterario
47. Novembre 2003
Lettere vive
48. Dicembre 2003
Scelte di vita
49-50. Gennaio-Febbraio 2004
Pubblica con noi e altro
51. Marzo 2004
Fra prosa e poesia
52. Aprile 2004
Preghiere
53. Maggio 2004
La strada ascetica
54. Giugno 2004
Intercultura: un luogo comune?
55. Luglio 2004
Prosapoetica "terra/di/nessuno" 2004
56. Agosto 2004
Una estate vaga di senso
57. Settembre2004
La politica non è solo economia
58. Ottobre 2004
Varia umanità
59. Novembre 2004
I vincitori del quarto Concorso IIIM
60. Dicembre 2004
Epiloghi iniziali
61. Gennaio 2005
Pubblica con noi 2004
62. Febbraio 2005
In questo tempo misurato
63. Marzo 2005
Concerto semplice
64. Aprile 2005
Stanze e passi
65. Maggio 2005
Il mare di Giona
65.bis Maggio 2005
Una presenza
66. Giugno 2005
Risultati del Concorso Prosapoetica
67. Luglio 2005
Risvolti vitali
68. Agosto 2005
Letteratura globale
69. Settembre 2005
Parole in volo
70. Ottobre 2005
Un tappo universale
71. Novembre 2005
Fratello da sempre nell'andare
72. Dicembre 2005
Noi siamo degli altri
73. Gennario 2006
Un anno ricco di sguardi
Vincitori IV concorso Pubblica con noi
74. Febbraio 2006
I morti guarderanno la strada
75. Marzo 2006
L'ombra dietro le parole
76. Aprile 2006
Lettori partecipi (il fuoco nella forma)
77. Maggio 2006
"indecidibile santo, corrotto di vuoto"
78. Giugno 2006
Varco vitale
79. Luglio 2006
“io ti voglio… prima che muoia / rendimi padre” ovvero
tempo, stabilità, “memoria”
79.bis
I vincitori del concorso Prosapoetica 2006
80. Agosto 2006
Personaggi o autori?
81. Settembre 2006
Lessico o sintassi?
82. Ottobre 2006
Rimescolando le forme del tempo
83. Novembre 2006
Questa sì è poesia domestica
84. Dicembre 2006
La poesia necessaria va oltre i sepolcri?
85. Gennaio 2007
La parola mi ha scelto (e non viceversa)
86. Febbraio 2007
Abbiamo creduto senza più sperare
87. Marzo 2007
“Di sti tempi… na poesia / nunnu sai mai / quannu finiscia”
88. Aprile 2007
La Bellezza del Sacrificio
89. Maggio 2007
I vincitori del concorso Prosapoetica 2007
90. Giugno 2007
“Solo facendo silenzio / capisco / le parole / giuste”
91. Luglio 2007
La poesia come cura (oltre il sé verso il mondo e oltre)
92. Agosto 2007
Versi accidentali
93. Settembre 2007
Vita senza emozioni?
94. Ottobre 2007
Ombre e radici, normalità e follia…
95. Novembre 2007
I vincitori di Pubblica con noi 2007 e non solo
96. Dicembre 2007
Il tragico del comico
97. Gennaio 2008
Open year
98. Febbraio 2008
Si vive di formule / oltre che di tempo
99. Marzo 2008
Una croce trafitta d'amore
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Numero 30
Giugno 2002
Editoriale: La forza
discreta della mitezza
Giugno, estate, progetti per la vacanze che possono richiamare
progetti di vita. La situazione "globale" richiede il coraggio
di esporsi, di proporre visioni alternative: dove sono i miti (da intendersi
come aggettivo)? Dove gli intellettuali engagés? Per essere
costruttori di pace bisogna comunicare, dialogare, ascoltare, solidarizzare
insomma sporcarsi anche un po' le mani. Un modo particolarmente efficace
di farlo è quello di chi è mite, che non significa essere
remissivi, ma pazienti e inclini alla benevolenza, disposti a capire
e ad agire con rispetto e senza aggressività.
La parabola della mia vita apre questo numero particolarmente
corposo e ricco anche del tempo che vorrete dedicargli. svelandoci la
storia di una scelta particolare. Continuiamo con un breve intervento
di Chiara Lubich, con alcune massime di Confucio,
con una poesia di Andrea Campanozzi e un racconto di
Danzio Bonavia OPM. In Cinema
grafo
si parla di Italiano per principianti.Chiudono Faranews la recensione
a Esodo di Guglielmo Forni Rosa e la segnalazione di
alcuni siti interessanti. Buona estate!
Rupert
Brooke (poeta inglese 1887-1915)
La parabola della mia
vita
(per comunicare con l'autore, che desidera restare anonimo, potete
contattare Fara)
Eccomi finalmente a te con un bel pezzo della mia storia!
Ho pensato di scriverla come un racconto,una parabola, perché
così è stata per me; ho voluto raccontare tutto (ciò
che era possibile e "sinteticamente"), perché è
un tutt'uno: tralasciare il passato e raccontare solo il momento della
chiamata non sarebbe stato possibile. Senza la "conversione"
prima, non si capirebbe la chiamata poi.
mi rendo conto che è una storia lunga (e ancora non è
finita!), ma ho preferito trasmetterla così com'è: fare
altrimenti non avrebbe avuto molto senso per me, e credo anche per gli
altri.
Ti esprimo il desiderio di mantenere il riserbo riguardo ai miei dati
personali (capirai meglio leggendo la premessa, ed anche la storia);
sarei comunque molto contento e disponibile a colloquiare con chiunque
lo desiderasse.
Il figlio perduto e ritrovato il figlio fedele (cfr. Lc
15,11-32)
Carissimo,
il Signore ti dia Pace! Con questo saluto preso dal Vangelo, che Francesco
dAssisi ha fatto suo, desidero incontrarti. Non è mia liniziativa,
io ho semplicemente risposto ad una "chiamata": un amico mi
ha chiesto di raccontare la mia "storia vocazionale", come
sono stato scelto da Dio a seguirlo più da vicino, fino a diventare
frate francescano e quindi presbitero (volgarmente "sacerdote")
ed ora eccomi qui, a raccontarmi.
Ti confesso che non è facile; parlare di sé, specie di
ciò che è più intimo e caro è sempre faticoso,
è un rischio ed una responsabilità. Significa venire allo
scoperto, mettersi a nudo davanti ad un "altro", non sapendo
come egli accoglierà il tuo dono.
È ancora più difficile farlo quando davanti a te hai non
una persona, un volto preciso, ma uno schermo, un volto "anonimo
ed artificiale" (virtuale, appunto), poiché viene a mancare
un elemento essenziale ed insostituibile della comunicazione, quella
vera e profonda: un "tu" che ti stia di fronte visibilmente
con cui comunicare!
Nonostante queste serie e reali difficoltà, credo comunque che
valga la pena rispondere allappello, perché quando qualcuno
chiama, non si può non rispondere. E poi, se Dio mi ha scelto,
non è perché io tenga questo tesoro gelosamente nascosto,
ma piuttosto ne faccia parte ad altri, anche se sconosciuti, anche se
non li vedrò mai di persona.
Mi presento, perciò, in questa "grande piazza" con
molto timore e tremore, ma anche con animo lieto e riconoscente.
Ti racconterò la mia vita come una parabola. La parabola della
mia vita, appunto; anche perché la mia storia ricalca unaltra
storia molto antica, che risale ai tempi di Gesù. È conosciuta
come la parabola del "figliol prodigo" (attenzione, prodigo
non "prodigio", che è tutta unaltra cosa).
Un uomo aveva due figli (Lc 15,11)
Io sono Paolo, o meglio, fra Paolo Maria. Questo è
il nuovo nome che ho ricevuto quando indossai per la prima volta labito
francescano. Ho 37 anni e sono figlio unico, ma è come se avessi
un altro fratello gemello, un altro "Paolo", che sembra tutto
lopposto del primo, come il suo contrario
Ma andiamo con
ordine.
Mamma e papà erano già "avanti negli anni" quando
mi hanno concepito, perciò non potevano "rischiare"
di avere altri figli dopo di me. Comprenderai allora che mi hanno circondato
di tutto laffetto e lattenzione di cui erano capaci (molto
la mamma, molto meno papà!)
Insomma, ero proprio al centro
dellattenzione!
Mi piaceva un sacco giocare, come tutti i bambini, specialmente a calcio;
mi piaceva molto stare con gli altri, ma giocavo spesso anche da solo.
A scuola andavo piuttostto bene, anche se non ero un "secchione".
Insomma
ero il classico "bravo ragazzo", tutto casa,
chiesa e scuola! Ciò non significa, però, che non amassi
stare con gli amici o non mi piacessero le ragazze, anzi!
Spesso, mamma e papà bisticciavano ed il clima in casa era piuttosto
grigio; non si respirava unaria tanto buona
In questo clima,
mi capisci, non ci stavo un granché bene.
A questo aggiungi il fatto, che i miei genitori erano molto apprensivi
e possessivi con me (ero lunico!) e cercavano sempre di darmi
il meglio e di proteggermi da tutto, col rischio di tenermi sotto una
campana di vetro!
Non è un caso, infatti, che mi abbiano mandato in una scuola
privata fin dalle Medie, presso il Seminario vescovile; non che volessero
farmi diventare prete fin dallora, volevano però che fossi
educato in un ambiente e secondo principi sani e sicuri. E così
mi sono trovato senza che io lo sapessi e "contro"
la mia volontà iscritto alla scuola S. Vincenzo, dove
la maggior parte dei prof. erano preti, poi una suora e pochi laici
di un certo "spessore".
Devo dire, però, che mi sono trovato bene fin dallinizio,
specie con alcuni sacerdoti. Avevo molta stima di loro, erano per me
dei veri punti di riferimento, come le stelle nel cielo. Si è
creato un rapporto particolarmente bello, confidenziale, profondo, prima
con don Luigi, poi dopo che lui era partito per il Brasile (ora
è vescovo là) con don Giuseppe. Con loro potevo
parlare liberamente delle mie cose più intime e delicate, senza
il timore di essere giudicato o non capito (cosa che non potevo certo
fare con i miei
); soprattutto sapevo di essere ascoltato davvero,
preso sul serio e di poter trovare "consigli" validi per le
mie domande o i miei problemi.
Ricordo che una volta, d. Luigi dopo avermi conosciuto un po
meglio e più in profondità ad un "campeggio"
estivo mi chiese a bruciapelo: "Paolino, non hai mai pensato di
farti prete?". La domanda mi sorprese, ma non mi turbò;
tantè che risposi candidamente: "Sinceramente no,
ma chissà, potrebbe anche essere
".
Nonostante stessi veramente bene in quellambiente e con quelle
persone (e in fondo in fondo anche in famiglia), cominciavo però
a sentirmi molto stretto in quei vestiti da "bravo bambino".
E già, era proprio questo il problema: io non mi sentivo più
un bambino, cominciavo a sentirmi "grande", ma sebrava che
nessuno se ne accorgesse, specie i miei genitori. Mia mamma non perdeva
occasione di chiamarmi "il mio bambino"!
Non sopportavo più di essere considerato e trattato così;
non potevo più stare sotto una "campana di vetro".
Basta con i divieti e le limitazioni, ormai ero grande abbastanza da
scegliere per conto mio; volevo essere libero e autonomo. Avevo poco
più di 15 anni
Il più giovane disse al padre: Padre, dammi
la parte di patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le
sostanze. Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte
le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò
le sue sostanze vivendo da dissoluto. (Lc 15,12-13)
Così anchio, come il fratello più
giovane, decisi di andarmene di casa. Certo non fisicamente, ma affettivamente
sì. Anchio ho preteso la mia parte di "patrimonio",
come se avessi potuto disporre liberamente della mia vita, come se mio
padre fosse già morto. Perciò, rottura totale su tutti
i fronti.
A scuola non volevo più andare; basta con quellimmagine
del ragazzino con ottimi voti, sempre educato, stimato e apprezzato
da tutti. Basta con i preti e le suore, e con i loro incontri
cose da bambini!
Così, finita la V ginnasio lasciai il liceo S. Vincenzo, tra
le delusioni e deprecazioni di tutti: genitori, professori e soprattutto
quei preti con cui ero più legato.
Ripiegai su unaltra scuola privata per non dare un dispiacere
troppo grande ai miei, lasciando definitivamente lo studio, ma anche
perhé lavorare era duro!
La parrocchia ormai non la frequentavo più; decisi di non andare
nemmeno più a Messa e di abbandonare anche gli amici dinfanzia,
troppo "bravi ragazzi" e troppo poco liberi.
Altri amici ed altri luoghi di ritrovo popolavano i miei sogni: le "uscite"
in motorino, prima e in vespa, poi; le prime "avventure" o
"storie serie"; la compagnia del bar; poter uscire tutti i
pomeriggi, specie la sera; la discoteca
Con mamma e papà il dialogo era sempre più inesistente,
la distanza sempre più grande, il contrasto sempre più
forte e crescente; la casa assomigliava sempre più ad un albergo
ed il clima era spesso grigio e minaccioso.
In tutto questo non poteva mancare unesperienza oltre i limiti
del "lecito", trasgressiva, quella della droga. Nella mia
corsa verso la libertà ho voluto arrivare fino in fondo, provare
lebrezza del "proibito", dell "off limits",
dello sballo
Io, che quando avevo cominciato a frequentare il
bar dicevo: "Non fumerò mai, è da stupidi!",
ho finito per fare dello sballo lo scopo delle mie serate e domeniche,
dello stare in compagnia.
Ormai avevo abbracciato il motto "sesso, droga & rock n
roll" ed il mito che inseguivo era "Vita spericolata"
di Vasco Rossi.
Molte sono state le esperienze di trasgressione rincorse tra i 16 e
i 18 anni; due, in paricolare possono racchiudere ed esprimere questa
"corsa sfrenata".
La mia prima vacanza da solo, con un amico e unamica, a Rimini
e poi in giro per lItalia, dalla Calabria alle Marche; il clou
è stato nella discoteca riminese più "mitica"
per quei tempi: "La Mecca"
avevo 16 anni.
La seconda, una vacanza in Spagna con due amici, da Barcellona ad Alicante,
allinsegna del "tutto è lecito"
avevo 18
anni.
Dunque, avevo rincorso la felicità nella "libertà",
ma in realtà non ero davvero felice e nemmeno libero. Nonostante
avessi fatto tutto ciò che volevo, mi sentivo terribilmente vuoto,
ancora in cerca di un senso pieno da dare alla mia vita.
Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande
carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno.
Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella
regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci.
Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno
gliene dava. (Lc 15,14-16)
Sì, il risultato di quella mia "corsa sfrenata"
fu una "grande carestia"; a poco a poco vennero meno le cose
o le persone su cui avevo puntato tutto: il cerchio dei veri amici si
stringeva sempre più e mi chiedevo seriamente se a tenerci insieme
ci fosse un altro motivo, oltre che lo stordimento della droga o della
discoteca. La frequentazione di questi "giri" mi aveva procurato
anche serie e gravi conseguenze sul piano della giustizia (ho subito
un processo al Tribunale dei minori di Bologna); anche i miei genitori
ovviamente furono "coinvolti" nella vicenda.
Fino a quel momento ero sempre riuscito a tenerli alloscuro di
tutto (nonostante le loro preoccupazioni ed i loro sospetti), ma a quel
punto, anche se fra tante menzogne, dovevo ammettere che qualcosa avevo
fatto, che centravo anchio. Senza dimenticare che alcuni
amici erano già morti a causa della droga ed altri vi si trovavano
invischiati fino al collo, incatenati senza più la capacità
di sciogliersi. Che paradosso, cercando la "massima libertà"
sera incappati nella più triste e misera schiavitù!
E io, che cosa volevo fare? Volevo davvero continuare questa "corsa"
fino in fondo? Ero pronto ad assumermi le conseguenze di queste scelte?
Era proprio questo che volevo?
I risultati di queste esperienze non facevano altro che mettere in luce
il vero e profondo bisogno in cui mi trovavo, la reale mancanza di ciò
che è più essenziale alla vita: amicizia vera, rapporti
sinceri e duraturi, serenità e gioia di vivere, un senso, un
valore per cui spendere lesistenza. Unitamente a questo, sentivo
profondamente la necessità di un affetto "esclusivo",
una ragazza che potesse colmare il mio "vuoto interiore" e
con cui condividere la mia ricerca di senso per la vita.
Non trovai risposta ai miei desideri, finché nel mio cielo non
apparve Cristiana, una piccola stella di appena 15 anni (io ne avevo
18), che segnò un vero cambiamento di rotta; fu linizio
di una nuova tappa della mia esistenza.
Pur abitando di fronte al bar del solito ritrovo, lei non usciva con
la mia compagnia; era troppo giovane ed oltre agli amici di scuola frequentava
il gruppo scout della parrocchia.
Così ho incominciato a spostare tutta la mia attenzione ed i
miei interessi su di lei: era diventata il mio "centro gravitazionale",
il punto di riferimento della mia giornata e della mia vita.
In poco tempo ho smesso di uscire con gli amici del bar, di far uso
di stupefacenti ed anche di fumare. Stavo un po più in
casa, ho ripreso a dialogare con i miei e pure a scuola mi ero rimesso
a studiare.
Soprattutto mi ero ritrovato a contatto grazie a lei con
qualche vecchio compagno dinfanzia (di quei "bravi ragazzi"
dun tempo), con lambiente della parrocchia e con il Don
che seguiva gli scout. Non mi sentivo più a disagio né
un immaturo ad incontrare quegli ambienti e quelle persone.
Glinterrogativi sulla mia vita e sul mio futuro, però,
non si erano esauriti, anzi, erano sempre più profondi e stringenti:
"Qual è la mia strada, il senso del mio esistere? È
proprio questa la "scelta" della mia vita e la persona giusta
per me?".
Un giorno, a scuola (ero in V superiore), accadde un fatto che segnò
nuovamente e profondamente la mia vita: la prof. di religione aveva
dovuto assentarsi per un certo periodo e come supplente fu mandato don
Giuseppe, il mio confidente e confessore negli anni del Seminario! Semplicemente
incredibile e sconvolgente. Perché proprio lui e proprio ora?!
Un caso fortuito o un "segno"?
La gioia di rivederlo era tanta ed altrettanto grande il desiderio di
incontrarmi con lui. Perciò, gli ho chiesto subito di poterlo
andare a trovare. Avevo ritrovato una (direi "la") persona
amica e significativa in un momento decisivo della mia vita. Avevo un
gran bisogno di parlare di me, di Cristiana, di quello che mi succedeva
dentro per capirci qualcosa.
Ricordo un altro fatto molto significativo: una Domenica, nella mia
parrocchia, era stato invitato un sacerdote missionario in Brasile,
mio insegnante al S. Vincenzo, che io conoscevo molto bene. Il mio parroco,
ovviamente, non perse loccasione dinvitarmi. Anche se non
frequentavo la Messa mi sembrava brutto rifiutare linvito. Così
mi ritrovai ad ascoltare le sue parole nellomelia; e più
descriveva la situazione di disagio e dinquietudine di molti giovani
brasiliani, rivelatasi poi loccasione di una seria domanda e chiamata
vocazionale, più io mi rivedevo dipinto perfettamente in quelle
parole.
Cominciai a pensare e a chiedermi: "Forse che Dio chiami anche
me a farmi prete?".
Ne parlai subito con Cristiana, e anche con d. Giuseppe, naturalmente.
Questi mi rassicurò, dicendomi che non dovevo preoccuparmi; se
il Signore aveva in serbo qualcosa di diverso per me, avrebbe poi trovato
il modo di farmelo capire. Io dovevo solo cercare di vivere al meglio,
con responsabilità e pienezza la mia situazione attuale. Vivere
il presente come fosse la strada giusta per me, facendo sul serio con
me stesso e con la mia ragazza; e se quella non fosse stata la mia vocazione,
certamente lavrei scoperto.
Ho incominciato dunque a vivere con sempre maggior impegno e serietà
il mio fidanzamento con Cristiana, a non fermarmi di fronte ai piccoli
problemi o alle piccole difficoltà che incontravo con lei, ma
cercando di andare a fondo, di analizzare le mie motivazioni senza nascondere
né soffocare le domande che mi sorgevano dal profondo, e senza
nasconderle neppure a lei, per quanto "strane" o insolite
potessero essere. Doveva sembrare ben strano, infatti, che io a volte
ipotizzassi anche solo a mo di scherzo la possibilità di
farmi prete
Eppure erano pensieri che mi frullavano, di tanto
in tanto, per la testa e che cercavano risposta senza trovarla.
Un giorno d. Giuseppe minvitò ad una vacanza estiva organizzata
dallAzione cattolica, in Val dAosta. Non frequentavo più
glincontri di A.C. da parecchi anni e non conoscevo nessuno dei
giovani che avrebbero partecipato, ma decisi di andare comunque; era
unoccasione propizia, forse unica, per trovare finalmente una
risposta, per "ritrovare me stesso" (come dicevo allora),
per scoprire la strada che Qualcuno aveva pensato per me.
Il periodo era tra luglio e agosto del 1985, avevo 20 anni
Decisi
di andare da solo, anche senza Cristiana, che non poteva venire; era
troppo importante per me non perdere quelloccasione, come fosse
stato un treno prenotato, il viaggio che aspettavo da tanto tempo
Così mi ritrovai a Resy, in alta Val dAyas, ai piedi del
M. Rosa, in una baita-rifugio ad oltre 2000 metri, con altri giovani
che con e come me desideravano fare una forte esperienza damicizia
tra loro e con il Signore. Io ero forse lunico, però, che
questamicizia con Dio non laveva ancora trovata e
per certi aspetti mi sentivo un po come un pesce fuor dacqua.
Non fu certo un caso che mi ritrovassi in stanza con due ragazzi che
come me avevano battuto strade molto tortuose; da qualche
tempo avevano riscoperto la presenza e limportanza del Signore
nella loro vita e stavano percorrendo con slancio la via del ritorno.
Si chiamavano Mauro e Maurizio.
Ti lascio immaginare quanto mi sentii subito e "naturalmente"
legato a loro e quanto fu illuminante per me la loro esperienza e amicizia.
Attraverso il dialogo e il confronto con loro, la condivisione degli
incontri e della preghiera, le stupende escursioni sui monti, avvenne
limpensabile e linaspettato, un vero "miracolo".
Allora rientrò in se stesso e disse:
Mi
leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre,
ho peccato contro il Cielo e contro di te
Partì e si incamminò verso suo padre. (Lc 15, 17-20)
Lesperienza di quellamicizia e di quei giorni
condivisi fu loccasione esteriore, lo strumento di cui Dio si
è servito; ma il "miracolo" avveniva dentro di me ed
era tutta opera sua, del Signore.
Come dimprovviso e per incanto la mia storia cominciava ad illuminarsi;
i fatti nudi e crudi che la componevano non erano semplicemente "ammucchiati"
luno accanto allaltro, come tanti pezzi senza senso, ma
acquistavano una direzione, un perché. Cominciavo a vedere come
un filo rosso che legava ogni avvenimento, ogni persona: i miei genitori,
la mia fanciullezza, d. Luigi, la scuola in Seminario, la ribellione
delladolescenza, Cristiana, d. Giuseppe, Resy, Mauro e Maurizio
Erano come tanti tasselli di un unico puzzle, incastonati perfettamente
luno accanto allaltro.
Anche i periodi più bui, anche le esperienze più vuote
e negative, acquistavano un senso inaspettato e prezioso.
La "chiave", il "filo rosso" che mi faceva comprendere
tutto sotto una luce nuova era lAmore di Dio per me. Lesperienza
di Mauro e Maurizio mi riguardava da vicino; la parabola del "figiol
prodigo" sembrava scritta proprio per me, vedevo chiaramente dispiegata
in questa pagina del Vangelo la mia storia.
Ora comprendevo più chiaramente che dietro e dentro quel percorso,
spesso oscuro e tortuoso, che avevo fatto sin lì si nascondeva
un disegno meraviglioso, un progetto damore e di vera felicità.
Dio, come il padre paziente e misericordioso della parabola, mi aveva
lasciato libero di andarmene di casa, di sbagliare, anche di grosso,
ma non aveva mai smesso di amarmi e di aspettarmi; anzi, proprio nei
momenti più bui mi era stato vicino come non mai, mi aveva sorretto,
portato in braccio, pur senza impedirmi di cadere e di farmi male. Aveva
permesso che io sbattessi la testa, che toccassi il fondo, perché
mi rendessi conto di dove fossi finito e cosa volesse dire vivere senza
di Lui. Mi aveva lasciato allontanare così tanto perché
potessi sentire una profonda nostalgia di Lui.
Ormai lo sentivo e lo vedevo chiaramente: dietro le quinte e dentro
le pieghe della mia esistenza cera il Signore. Era vivo, era vero,
potevo toccare con mano che Lui guidava la mia vita e che voleva entrarci
pienamente, voleva "fare storia" con me!
La sua grazia mi aveva toccato nellintimo, illuminando la mia
mente affinché vedessi con occhi nuovi la mia storia ed infiammando
il mio cuore del desiderio di Lui.
Grazie a Lui, potei rientrare in me stesso e rileggere la mia vita alla
luce del suo amore. Grazie a Lui, potei vedere chiaramente e sentire
amaramente il mio peccato.
(1. continua)
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Una solenne sterzata
(di Chiara
Lubich)
Tutti ci accorgiamo che, non di rado, nel lavorare, nello
scrivere, nel parlare, durante il riposo o in quantaltro facciamo,
può infilarsi qualche attaccamento anche lieve a noi stessi,
a cose, a persone... E questo è un grosso guaio per la vita spirituale.
Dice san Giovanni della Croce: "Che importa che luccello
sia legato a un filo o a una corda! Per quanto sottile sia il filo,
luccello resterà legato come alla corda, finché
non riuscirà a strapparlo per volare. Lo stesso vale - continua
- per lanima legata a qualche cosa: nonostante tutte le sue virtù
non perverrà mai alla libertà dellunione con Dio".
È necessario, perciò, in quelle circostanze, intervenire
immediatamente, e niente aiuta di più - è una mia esperienza
anche recente - che ridichiarare a Gesù che sulla croce ha vissuto
il distacco più radicale sino a gridare labbandono del
Padre: "Sei Tu, Signore, lunico mio bene. Lunico. Non
ne ho altri".
È una preghiera, penso, importantissima e assai gradita a Dio.
Ci aiuta a non impolverarci con le cose terrene. E vivendola si resta
impressionati - io lo sono stata e lo sono sempre - di come quellaggettivo:
"unico" ("Sei Tu, Signore, lunico mio bene")
dia una solenne sterzata alla nostra vita spirituale, come ci raddrizzi
immediatamente, e sia sicuro ago della bussola del nostro cammino verso
Dio.
Questo modo dagire, poi, è molto conforme alla nostra spiritualità,
in cui prevale laspetto positivo: si vive il bene e così
se ne va il male. Non siamo tanto chiamati, infatti, a staccarci da
qualcosa - noi stessi, le cose, le persone -, ma a riempirci di qualcosa:
lamore a Lui nostro tutto. A noi non piacciono tanto i no, ma
i sì.
E questa preghiera, "Sei Tu, Signore, lunico mio bene",
è un modo meraviglioso per vivere da veri cristiani che amano
Dio con tutto il cuore, con tutta lanima e non a metà.
E una maniera sublime ancora per prepararci ad ogni incontro con
Lui nelle sue ispirazioni quotidiane; così come al grande incontro
con Lui quando, allalba delleterno giorno, nel nostro cuore
non varrà che lamore a Dio e, per Lui, ai fratelli.
"Sei Tu, Signore, lunico mio bene": quanta sapienza,
quanta saggezza, quanta luce, quanta forza, quanto amore, quanta perfezione
in queste brevi parole!
Il Signore ci dia di sperimentarne tutta la loro potenza
(fonte www.focolare.org/it/sif/2002/it20020301a.html)
Chiara Lubich a Rimini
Sabato 22 giugno 2002 dalle ore 15.30 alle 19.00 Chiara Lubich sarà
al Palacongressi di via della Fiera a Rimini per parlare di Fraternità
e pace per lunità dei popoli.
Per info: www.focolare.org
051-309444/503493
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Alcune massime di Confucio
(dal Libro I dei Dialoghi)
1. Il Maestro disse: Imparare e mettere costantemente
in pratica, non è una soddisfazione? Avere amici che vengono
da luoghi lontani, non è una gioia? Non esser tenuto in considerazione
dagli uomini e non dispiacersene, non è da saggi?
3. Il Maestro disse: Le parole artificiose e le
lusinghe sono la rovina dell'umanità.
8. Il Maestro disse: Se il sapiente non ha serietà,
non viene rispettato; se impara, non lo fa con solidità. La fedeltà
e la sincerità sono fondamentali! Non avere amici che non siano
simili a te stesso; se sbagli, non aver paura di correggerti.
16. Il Maestro disse: Non mi dispiace di non essere
conosciuto dagli uomini, mi dispiace di non conoscerli!
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Ti siedi e non sai
(di Andrea Campanozzi)
Quando guarderete
qualche centimetro
sotto le vostre poltrone
l'aria sarà già stata
svegliata,
gli orizzonti di nuovo
massaggiati,
tutta la vostra giornata a filo di spiaggia.
Ero bambino che camminavo scalzo,
ora che cammino scalzo
e ho una pelle di foglie morte
sono adulto;
mi dareste una patente,
mi fareste laureare,
mi riconoscereste nome e cognome
all'ufficio matricola.
Non ho studiato,
non conosco - come dite, voi? - matematica;
ma i fiori sono già un'astrazione:
quando la bomba esploderà
abiterà di fiori il vostro pessimo sguardo
coricato sotto la poltrona.
Andreia
Qualcosa è dentro; non ancora sedata, non ancora controllata;
sa tutto di me, e si nasconde; ogni sforzo di parlarne è ancora
doloroso.
Tutto è complicato da un figura, piuttosto alta, quasi nera,
che resta con poche parole,
che s'agita e parte e mi annichilisce di ovvietà sconosciute.
Alla notte buia, che mi sia sorella.
Andrea
(Andrea Campanozzi si può definire non solo poeta, ma anche
scrittore e intellettuale engagé)
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Writer
(di Danzio Bonavia OPM)
Conferenza stampa
Palazzo di Giustizia Torino
«...Il mio nome tecnico è "writer". Dipingo con
delle bombolette, termine tecnico "spray". Vedete, per quanto
vi possa sembrare strano, quello che io faccio abitualmente la considero
un arte. Se ci pensate, il dipingere illegalmente per le strade, termine
tecnico "writing", è la più pura delle forme
d'arte che si possano riscontrare oggi. È un fenomeno sociale.
Il disagio stesso della città. La rivolta ai suoi colori spenti,
alle sue regole, al suo conformismo. Ma dicevo, la più pura delle
forme d'arte, perché si tira fuori dal commercio. Non mi dicano
cazzate quelli delle Gallerie d'arte. Le gallerie del mercato dell'arte.
Della gente che passa là dentro, c'è n'è un casino
che vende e da vendere, ma che verranno ricordati o che resisteranno
ne rimarranno pochi. Io scrivo il mio nome, non faccio altro. Scrivo
solo il mio nome, la mia firma. Ah, termine tecnico "tag".
E io voglio diventare conosciuto per quella tag. Posso solo perderci,
come vedete. Non ci guadagno nulla. Non voglio essere ricordato da nessuno.
Però non mi piego al volere di nessuno. Rischio. Ma ho proprio
un desiderio di diffondere e portare il mio nome ovunque, di farlo sempre
più grande, sempre più speciale, sempre più mio,
e in posti sempre più strani, perché la gente si ficchi
in testa la mia tag. Ma non vado oltre. Non mi interessa si venga a
sapere chi sono io, dietro a quella tag. Strano, vero?! Da un lato voler
farsi conoscere e dall'altro voler rimanere sconosciuti. Quando sono
buono e faccio il bravo bambino vado alle feste e dipingo su dei pannelli.
Mi chiamano "giovane artista". Faccio tag, bombing, pezzi,
puppets. Insomma murate legali. Sono buono se mi danno degli spazi dove
dipingere. Se un privato mi paga, gli faccio un lavoro, o se mi danno
un bel permesso con tanto di manleva per dipingere un muro in città
che rimane in vista. Se magari mi pagano pure gli spray è meglio.
Se no mi arrangio. Questa in fondo è la mia filosofia. Sono abituato
e conosco come vanno le cose. Così se dipingo legale e non mi
danno niente, mi rimborso da solo. E finisce che mi porto a casa più
spray di quanti non ne abbia usati. Mi riempio lo zaino e via. Sempre
meglio che finiscano in qualche magazzino dimenticati, o in mano a qualcuno
che non ne saprebbe fare il miglior uso. Con gli altri ragazzi un giorno
c'hanno chiamato a fare una dimostrazione per della gente. C'erano dei
pannelli da dipingere e un sacco di belle scatole di colori. Ne sarebbero
avanzati una sessantina alla fine. Così, per non abbandonarli
e lasciarli lì in giro, abbiamo dato una mano. Li abbiamo levati
da mezzo, ordinati nelle scatole e ci siamo riempiti il bagagliaio.
Quando invece non ho spazi, se non mi danno sfogo, divento cattivo.
Faccio i capricci e mi metto a fare i dispetti. Così la notte,
quando dormite, esco e vengo sotto al portone vostro e vi faccio la
mia firma sul muro, sulla saracinesca. Termine tecnico "tag".
Che non è una robetta tipo quella che mettete sui vostri libretti
di assegni. La faccio con gli spray, ed è lunga tanto quelle
che vedete là in fondo, fuori. Uso un tappino particolare pure,
termine tecnico "fat", che mi permette di fare una roba più
veloce e grossa. I tappini sono di misure diverse, hanno un tratto più
o meno largo, dipende da cosa si vuol fare. Così faccio la mia
firma. Scrivo il mio nome. Ma di solito mi sa che manco la capite. Tutto
quello che vedete al mattino, è uno scarabocchio indefinito di
uno stronzo che v'ha sporcato il muro. Non è vero?! Vi incazzate
e me la coprite, senza pensare come mai l'ho messa lì. Che magari
si vede dall'entrata della metro, che ci passa tanta gente, o è
lungo linea, cioè, lungo la linea ferroviaria. Ma voi a questo
non ci pensate. Vi dà solo fastidio, perché ve l'ho fatta
sotto il naso. E non potete sopportarla. Poi invece va bene se negli
anni il colore della facciata non si distingue neanche più, perché
il grigio dello smog l'ha coperto. Partendo dal basso e salendo. O se
i cartelli pubblicitari mettono le radici sulle vostre facciate. Tanto
portano grana. Comunque, vi svegliate e me la cancellate, termine tecnico
"me la baffate"(1). Così mi metto a farne talmente
tante che, se anche non le capite, le vedete in giro e siete costretti
a riconoscerle. Tipo una reclam. Un cartellone per strada di una pubblicità.
Ecco, diciamo che la mia firma è il mio logo. E quando mi incazzo
ve lo imprimerei in testa. Solo che ci provo gusto a farlo così
come uno scherzetto. Il termine tecnico credo sia "imbrattamento
illegale". Ci provo gusto. Perché è come giocare
a guardia e ladri. Così inizio e vi faccio una firma col pennarello,
termine tecnico "marker". Li dico tutti sti termini tecnici,
solo perché m'hanno detto che ci sono i giornalisti e voglio
esser chiaro. La cosa più bella, è la sensazione che provo
nel farlo. Mi riempio tutto di adrenalina e allora vado a mille. Beh,
comincio a prenderci gusto a farlo sotto il vostro naso. Inizio col
marker sui tram, in treno, in corriera, a scuola, nei locali, alle pensiline
e poi vi faccio una firma a spray, termine tecnico "tag",
sempre per la stampa. Poi magari la notte dopo che lo cancellano ritorno
sul posto e faccio qualcosa di più grande. Tipo quello là
in fondo, oltre la finestra quell'FL (2). Sputato con l'argento pure
dentro e un contorno. Termine tecnico "bordino" o "out
line". Come preferite. Ma io invece faccio quasi sempre Ots (3).
Con un altro stile. Voi lo cancellate. E così via. Io lo rifaccio
sempre più grosso. Non è che sono cattivo, un po' bastardello
sì, ma mi diverto. Gioco a nascondino coi signori nelle macchine
con la banda rossa a lato. Termine tecnico "i metro notte".
E con quegl'altri con la macchina blu e bianca, o nera con la striscia
rossa, che si sentono più cattivi ancora. Tipo quei due signori
laggiù in fondo, vicino a quello con la banda dell'Italia, termine
tecnico "sindaco".
Scusate l'umorismo. Per ora mi era andata bene. Poi ho scoperto una
cosa ancora più divertente. Sono i trenini. Vedete. Io dipingo
con sti spray che sono fatti apposta per il metallo. I muri me li assorbono.
Do il colore e lo do e lo ridò. Perché il muro se lo beve.
Ma il treno è di metallo. C'ha pure una bella mano di pittura
sopra. Va giusto bene. Così liscio è perfetto. Ed è
pure più divertente. Sembra di giocare con quei giochini della
guerra dove bisogna usare i commandos per entrare nei campi nazisti.
Così io mi studio i movimenti del deposito, termine tecnico "yard".
Sto accucciato di notte, o nascosto di giorno. Imparo bene gli orari
e poi rischio. Mi incastro fra i turni. Mi ci infilo, corro e mi nascondo
fra i vagoni, e mi rendo conto che mi sento sicuro. Perché ho
un piano! E poi entro quando so che i ferrovieri, le sentinelle, non
ci stanno. Striscio, mi nascondo e zitto zitto poi faccio tutto. Ed
è come se lo spedissi. Capite?! Il treno domani va a Roma? Allora
è pure come se io ci mandassi una piccola parte di me. Come una
cartolina. Solo che al posto di appiccicare il francobollo ci attacco
il mio disegno. Ah! termine tecnico "pezzo". Una volta mi
sono trovato in Olanda. Ho passato una notte con la tenda piantata fuori
da un deposito in un parchetto, guardando i treni muoversi, e i ferrovieri
lavorare. Poi ho provato. Mi sono infilato da un buco dove la rete era
già tagliata. Quello mi confortava abbastanza. Era come un segnale.
Mi faceva capire che quello era il punto giusto, non ero il primo a
passarci. Sono entrato e in dieci minuti ho fatto un bell'Ots in argento
e bianco, di quattro finestre. Sì, perché fra di noi la
grandezza dei pezzi si misura a finestre del treno. C'ho messo dieci
minuti, con dietro al mio vagone i ferrovieri olandesi che lavoravano.
Pensate: se ne stavano a semicerchio e a turno tiravano, girati di spalle,
dei sacchettoni neri della munnezza (4), cercando di fare canestro.
Nel frattempo si fumavano dei cannoni e ridevano. Giustamente, perché
eravamo in Olanda. E meno male, perché almeno l'odore dell'erba
copriva quello dei miei spray. Loro si divertivano. Io mi divertivo.
E per la maggior parte della gente, seduta su un'altro vagone o in stazione
ad aspettare sui binari, il giorno dopo, quando ha visto passare quel
bel treno giallo a bandoni obliqui blu, è come se io non ci fossi
mai stato. In Olanda. Ma si vedevano passare davanti il mio pezzo argento
e bianco. E tutto questo esisterà sempre. Anche se deste muri
e treni da pittare. Anche con le pellicole sui fianchi dei treni. Perchè
per spirito di adattamento abbiamo imparato come strapparle. Esisterà
perché è una patologia della nostra società. È
una conseguenza. È divertente. E so che tutto quello che io ora
ho detto va contro di me. Ma so che tutto quello che ho fatto va contro
di voi. E che con nessuna legge potrete fermarci, perchè è
semplicemente una parte della legge. Comunque gli amici mi chiamano
"uno degli altri". Un altro (5). Ots per tutti voi, e per
i giornalisti.»
Note
1- Dallinglese to buff: il verbo baffare, viene
usato per indicare un pezzo cancellato dai ferrovieri.
2- FL è abbreviazione di Flying, una firma molto presente sui
muri di Torino.
3- Il nome del protagonista è ispirato ad un gruppo (crew)
torinese di writers, OTS, attualmente attivo.
4- Termine gergale per indicare la spazzatura. Lequivalente ligure
del termine rumenta.
5- An other, OTS è appunto abbreviazione di Others.
I componenti del gruppo sono gli altri.
(Danzio Bonavia OPM - Imperia, 1978 - è studente
alla facoltà di Letterature e Culture Comparate di Torino. Vincitore
di alcuni concorsi letterari, ha pubblicato racconti e poesie su siti
e riviste italiane: Sagarana,
Prospektiva. Nel
1998, insieme a D. Danio e V. Patti, crea il gruppo di scrittura Opiemme
Poesie, con lobiettivo di avvicinare un pubblico giovane alla
lettura della poesia, attraverso la sua innovazione, mediante il ricorso
a diversi codici di comunicazione: pittura, web design, aerosol art,
musica, grafica, fotografia, animazione video. Con lOPM ha partecipato
a vari spettacoli di musica e poesia. Durante i readings le letture
sono di volta in volta accompagnate dallimprovvisazione di band
con diverse attitudini musicali, o da basi pre-campionate. Alcuni di
queste poesie da ascoltare si possono trovare sulle pagine
di Voices.it).
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Cinema
grafo
(di Paola Turroni)
ITALIANO PER PRINCIPIANTI (Italiensk for begyndere)
Danimarca 2002
di Lone Scherfig
con Anders Berthelsen, Peter Gantzler, Laars Kaalund,
Annette Stovelbaek, Ann Jorgensen, Sara Jensen
Orso dArgento alla Berlinale 2001
Italiano per principianti si apre e di chiude
con una Maserati, non la vediamo mai, è un biglietto da visita
verbale che permette al reverendo appena arrivato di conquistare la
fiducia della comunità; e, alla fine, è una dichiarazione
di conquistata fiducia nel proprio ruolo, quando rivela ai nuovi amici
che ha deciso di venderla. La parabola si apre e si chiude intorno al
personaggio che fa da perno ai problemi e alle passioni degli altri
personaggi, ritrovandosi sempre più coinvolto, senza forzature,
ma con le naturali curve con cui la propria vita entra in quella degli
altri.
Il film aderisce al manifesto del Dogma. Ma qui la camera a mano, i
luoghi reali senza scenografia, il neutro cromatismo, risultano più
che mai leggeri, come se non fossero regole esterne imposte da un manifesto,
ma connaturate alla storia, allo spazio che la contiene, ai movimenti
e alle pulsioni dei personaggi. Scelte stilistiche che ricalcano la
predominanza corporea, più che intellettuale, del ritmo del film.
I corpi che occupano lo schermo sono corpi veri, corpi credibili, e
linsistenza sui peli superflui e sui capelli sporchi, sulla saliva
e sui resti di cibo, sulle mani e sulle gambe, non hanno mai una valenza
estetica compiaciuta del dettaglio prosaico, ma sono come di passaggio,
la punteggiatura del quotidiano, la conseguenza di una vicinanza concreta.
La macchina da presa non fruga tra i personaggi alla ricerca del loro
aspetto grottesco, è piuttosto uno sguardo che li accompagna,
seguendo il movimento impacciato, il respiro trattenuto, lo scoppio
di rabbia, la visione di scorcio, la tensione del dire e del fare. Anche
in una delle omelie che il reverendo prepara nella sua stanza dalbergo
si insiste sul corpo: Dio è qui, dice, nel cuore e nelle braccia
delle persone che amiamo. I difetti e le paure dei personaggi sono descritti
con la leggerezza e lironia con cui si impara a conviverci, sono
imbastiture delle giornate, inciampi, piccoli equivoci, che finiscono
per allargare la pazienza e la disponibilità allaccoglienza
dellaltro.
LItalia tanto amata e desiderata in questa piccola comunità
che vive nella periferia di Copenaghen, è il calcio, lautomobile,
la nutella, Venezia. Tutti stereotipi che però sono vissuti con
così tanta dolcezza ed entusiasmo, che non diventano mai etichette,
sono sempre pretesti emotivi, desideri damore, piccoli sogni che
valgono se condivisi. Imparare litaliano è infatti, prima
di tutto, imparare a comunicare. Laula semivuota in cui si tengono
le lezioni è il microcosmo per non perdersi nel vuoto di un mondo
in cui si finisce sempre per rimanere soli. Amore e morte si mescolano
in funerali sovrapposti, in confessioni frettolose nei retro di bar
e negozi, in passioni rubate agli intrusi, fino al conforto del malato,
dove regole e richieste non possono più convivere.
I genitori sono morti, alcolizzati, reclusi, non solo i genitori naturali,
ma anche quelli simbolici, come gli insegnanti, e i coniugi. Adulti
che sono morti e che muoiono per malattia, ancora il corpo, che lasciano
i più giovani arrancare nella vita, giovani supplenti (il supplente
del reverendo, il supplente dellinsegnante) che si trovano unesistenza
già programmata ma labile, dove il desiderio di assecondare il
desiderio, non è un capriccio, ma lunica possibilità
di sopravvivenza.
E Venezia è questa possibilità, uno spazio che si presenta
da subito teatrale con lentrata in campo dei personaggi, ad uno
ad uno, lunica inquadratura statica del film, spazio teatrale
nel senso di luogo prescelto di scatenamento e risoluzione del conflitto.
Imparare litaliano è imparare a dirsi sì.
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Recensione a Esodo
(di Guglielmo Forni Rosa,
Prof. di Filosofia morale e Antropologia filosofica, Università
di Bologna)
(
) In apertura Armido Rizzi, autore fra laltro
del fondamentale Esodo. Un paradigma teologico-politico (Edizioni
Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole 1990), offre un quadro di
riferimento storico e concettuale per lapproccio allesodo
come "figura di senso originaria". Il saggio, che costituisce
la corrente sotterranea capace di alimentare in permanenza gli altri
scritti, si segnala per lattenta volontà dellautore
di disegnare percorsi interni al tema dellesodo, offrendo spunti
e considerazioni in molti casi approfonditi in altri interventi (ecco
un chiaro esempio di una delle modalità di dialogo proposte da
«arcipelago»).
Di grande interesse è pure il saggio di Gianmaria Zamagni, studioso
di teologia delle religioni, che struttura la sua analisi dellEsodo
a partire da due figure scomode per la teologia contemporanea:
Eugen Drewermann e Jan Assmann. Nellinterpretazione del primo,
di carattere psicologico-esistenziale, lEsodo è descritto
come il "processo che ciascuno di noi deve percorrere per trovare
sé stesso" (p. 28). Il racconto biblico è un archetipo,
in primis individuale e, solo in seconda istanza, collettivo.
In Jan Assmann, egittologo dellUniversità di Heidelberg
e autore di un controverso studio dedicato a Mosè (Moses the
Egyptian. The Memory of Egypt in Western Monotheismus, Harvard Univ.
Press, Cambridge Mass. - London 1997), il racconto dellesodo rappresenta
unimmagine mitica, "la memoria del passaggio decisivo",
la cui peculiare valenza non risiede tanto nella sua "fattualità",
quanto nella sua "attualità", nel suo radicamento nella
memoria collettiva (p. 31). Il saggio si conclude rimandando ad una
nuova apertura: la questione ineludibile è chi sia oggi
Mosè, che cosa egli rappresenti.
Lo scritto di Francesca Boschi e di Maria Martinelli ha per tema il
profondo legame tra laspirazione alla liberazione dalla schiavitù
e la musica che traduce lanimo del popolo nero in
canto corale. Gli spirituals, di cui lEsodo è, insieme
ai vangeli, il grande racconto ispiratore, testimoniano la concreta
emozione fatta vivere da uomini e donne che sentono il proprio essere
esclusi come forma di un destino che culminerà nella
redenzione. Il saggio delle due autrici nella sezione "altre culture"
è accompagnato dalla vibrante testimonianza di Arturo Paoli,
che ogni giorno condivide le sofferenze egiziane di chi
è, oggi, relegato ai margini della città e della società:
gli abitanti delle favelas brasiliane. Anche Paoli, ispirato
dalla teologia sudamericana, guarda allesodo come liberazione:
il suo scritto militante costituisce una vigorosa critica del sistema
e delle strutture capitalistiche delle società occidentali; nonché
delle loro ripercussioni sui paesi del sud del mondo, auspicando, a
partire dalla condizione altra degli esclusi, un superamento
consapevole della crudele schiavitù del liberismo.
Questultimo scritto introduce alla sezione di filosofia pratica
che si apre con il saggio del curatore del volume Thomas
Casadei volto ad illustrare la lettura dellesodo offerta da
uno dei più noti (e discussi) filosofi della politica contemporanei:
Michael Walzer. In esso vengono enucleate alcune categorie filosofico-politiche
che scaturiscono dallesodo come paradigma di liberazione (nozione
di cambiamento, concetto di patto, figura dello straniero) ed evidenziate
le tensioni oppositive insite nel messaggio esodico (identità
etnica versus alterità, violenza versus dialogo,
apertura versus chiusura). Casadei sottolinea la pluralità che,
con Amos, si può attribuire allEsodo: la liberazione dallEgitto
può così non essere intesa come un avvenimento esclusivo
di una storia universale, ma come un evento esemplare di una particolare
storia, unesperienza che può essere ripetuta da altri popoli
di un modo a loro proprio. Lesodo come "storia delle storie",
rilevante al di là dei diversi contesti apre ad una serie di
cammini di liberazione (p. 71). Nella suddetta sezione si trova anche
lo scritto di Piero Venturelli, di carattere eminentemente storiografico,
che ha il merito di indagare i nessi che intercorrono fra il testo biblico
e la predicazione sopra lEsodo di Girolamo Savonarola.
Concludendo, il volume esprime bene la doppia valenza dellesodo:
essenziale fonte del sapere e dellagire occidentali (ma non solo,
data la pluralità di letture a cui può essere soggetto),
ma anche flusso che conduce allo sfociare di nuovi inizi
e aperture, mai del tutto esaurite o concluse. (
)
(da «Filosofia e teologia» 2001.1, pp. 199-201)
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Siti
interessanti
Arte e pace www.villafranceschi.it
Volontari nel mondo www.focsiv.it
Convenzione nazionale per la pace conviviodeipopoli.it
Lazzaro e il suo amore www.marsfriends.com
Thoms Merton www.qsl.net/kc5nzr/merton/
Audiolibri www.ilnarratore.com
Francescani e Terra Santa 198.62.75.1/www1/ofm/cust/TSmain.html
Camaldolesi www.camaldoli.it/web_it/caoggi/caoggi00.htm
CVX www.cvx.it
Il picchio www.kaleidon.it/ilpicchio
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