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FARANEWS
ISSN 15908585
MENSILE DI
INFORMAZIONE CULTURALE
a cura di Fara Editore
1. Gennaio 2000
Uno strumento
2. Febbraio 2000
Alla scoperta dell'Africa
3. Marzo 2000
Il nuovo millennio ha bisogno di idee
4. Aprile 2000
Se esiste un Dio giusto, perché il male?
5. Maggio 2000
Il viaggio...
6. Giugno 2000
La realtà della realtà
7. Luglio 2000
La "pace" dell'intelletuale
8. Agosto 2000
Progetti di pace
9. Settembre 2000
Il racconto fantastico
10. Ottobre 2000
I pregi della sintesi
11. Novembre 2000
Il mese del ricordo
12. Dicembre 2000
La strada dell'anima
13. Gennaio 2001
Fare il punto
14. Febbraio 2001
Tessere storie
15. Marzo 2001
La densità della parola
16. Aprile 2001
Corpo e inchiostro
17. Maggio 2001
Specchi senza volto?
18. Giugno 2001
Chi ha più fede?
19. Luglio 2001
Il silenzio
20. Agosto 2001
Sensi rivelati
21. Settembre 2001
Accenti trasferibili?
22. Ottobre 2001
Parole amicali
23. Novembre 2001
Concorso IIIM: vincitori I ed.
24. Dicembre 2001
Lettere e visioni
25. Gennaio 2002
Terra/di/nessuno: vincitori I ed.
26. Febbraio 2002
L'etica dello scrivere
27. Marzo 2002
Le affinità elettive
28. Aprile 2002
I verbi del guardare
29. Maggio 2002
Le impronte delle parole
30. Giugno 2002
La forza discreta della mitezza
31. Luglio 2002
La terapia della scrittura
32. Agosto 2002
Concorso IIIM: vincitori II ed.
33. Settembre 2002
Parola e identità
34. Ottobre 2002
Tracce ed orme
35. Novembre 2002
I confini dell'Oceano
36. Dicembre 2002
Finis terrae
37. Gennaio 2003
Quodlibet?
38. Febbraio 2003
No man's land
39. Marzo 2003
Autori e amici
40. Aprile 2003
Futuro presente
41. Maggio 2003
Terra/di/nessuno: vincitori II ed.
42. Giugno 2003
Poetica
43. Luglio 2003
Esistono nuovi romanzieri?
44. Agosto 2003
I vincitori del terzo Concorso IIIM
45.Settembre 2003
Per i lettori stanchi
46. Ottobre 2003
"Nuove" voci della poesia e senso del fare letterario
47. Novembre 2003
Lettere vive
48. Dicembre 2003
Scelte di vita
49-50. Gennaio-Febbraio 2004
Pubblica con noi e altro
51. Marzo 2004
Fra prosa e poesia
52. Aprile 2004
Preghiere
53. Maggio 2004
La strada ascetica
54. Giugno 2004
Intercultura: un luogo comune?
55. Luglio 2004
Prosapoetica "terra/di/nessuno" 2004
56. Agosto 2004
Una estate vaga di senso
57. Settembre2004
La politica non è solo economia
58. Ottobre 2004
Varia umanità
59. Novembre 2004
I vincitori del quarto Concorso IIIM
60. Dicembre 2004
Epiloghi iniziali
61. Gennaio 2005
Pubblica con noi 2004
62. Febbraio 2005
In questo tempo misurato
63. Marzo 2005
Concerto semplice
64. Aprile 2005
Stanze e passi
65. Maggio 2005
Il mare di Giona
65.bis Maggio 2005
Una presenza
66. Giugno 2005
Risultati del Concorso Prosapoetica
67. Luglio 2005
Risvolti vitali
68. Agosto 2005
Letteratura globale
69. Settembre 2005
Parole in volo
70. Ottobre 2005
Un tappo universale
71. Novembre 2005
Fratello da sempre nell'andare
72. Dicembre 2005
Noi siamo degli altri
73. Gennario 2006
Un anno ricco di sguardi
Vincitori IV concorso Pubblica con noi
74. Febbraio 2006
I morti guarderanno la strada
75. Marzo 2006
L'ombra dietro le parole
76. Aprile 2006
Lettori partecipi (il fuoco nella forma)
77. Maggio 2006
"indecidibile santo, corrotto di vuoto"
78. Giugno 2006
Varco vitale
79. Luglio 2006
“io ti voglio… prima che muoia / rendimi padre” ovvero
tempo, stabilità, “memoria”
79.bis
I vincitori del concorso Prosapoetica 2006
80. Agosto 2006
Personaggi o autori?
81. Settembre 2006
Lessico o sintassi?
82. Ottobre 2006
Rimescolando le forme del tempo
83. Novembre 2006
Questa sì è poesia domestica
84. Dicembre 2006
La poesia necessaria va oltre i sepolcri?
85. Gennaio 2007
La parola mi ha scelto (e non viceversa)
86. Febbraio 2007
Abbiamo creduto senza più sperare
87. Marzo 2007
“Di sti tempi… na poesia / nunnu sai mai / quannu finiscia”
88. Aprile 2007
La Bellezza del Sacrificio
89. Maggio 2007
I vincitori del concorso Prosapoetica 2007
90. Giugno 2007
“Solo facendo silenzio / capisco / le parole / giuste”
91. Luglio 2007
La poesia come cura (oltre il sé verso il mondo e oltre)
92. Agosto 2007
Versi accidentali
93. Settembre 2007
Vita senza emozioni?
94. Ottobre 2007
Ombre e radici, normalità e follia…
95. Novembre 2007
I vincitori di Pubblica con noi 2007 e non solo
96. Dicembre 2007
Il tragico del comico
97. Gennaio 2008
Open year
98. Febbraio 2008
Si vive di formule / oltre che di tempo
99. Marzo 2008
Una croce trafitta d'amore
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Numero 36
Dicembre 2002
Editoriale: Finis terrae
Di ritorno dalla provincia di Enna, dove ha ricevuto il
premio Città di Leonforte per la sezione poesia, Alessandra Carnaroli
ha scritto lasicilia, mentre Imed Mehadheb ci parla
dalla sua linea di confine della Colpa.
Riproduciamo poi un interessante articolo di don Paul Renner su Padre
Pio antipatico. I versi "lontani" di Berlino
e di un padre ci situano un po' in prospettiva. Chiudono
come sempre i siti consigliati. Buona lettura e Buon
Natale!
lasicilia
(di Alessandra Carnaroli)
c'è qualcosa come il giallo
sotto i piedi
una colla
che fa pesanti i passi
più ti allontani
e allora devi per forza salire su un treno
e andare sotto il mare
lavarti
per cancellare
la polvere e l'odore
morire e rinascere con il battesimo
del mare
per poter di nuovo vivere
sull'asfalto
lasicilia:
il sole scioglie il cicoccolato quadrato
ritter sport
nellle tasche
e ti devi togliere i jeans
puoi andare anche senza scarpe
tanto i sassi sono stati strofinati
bene, bene dal vento e dal caldo
e dal sale
cammini sulla cenere e sulla storia
sei sopra il cuore della gente
il dolce ripieno del vulcano e dei cannoli
lo vedi tra le labbra
di chi solo sa vivere la terra
e il suo passato
e sono tutti san francesco
quando ti aprono la strada e si tirano su le maniche per abbracciarti
meglio
bambini miei
quando ti aprono la terra
la loro terra
per farti vedere dentro
e allora ti specchi nei denti
di chi hai di fronte perchè sorride
e ti fa assaggiare la limonata
buonissima
davvero
e ti fa assaggiare 24 bocche d'acqua
una fontana
a leonforte
una città intera
che ha aperto una montagna
per accogliere la storia e la cultura
che sa premiare
con la passione e la fierezza
di chi difende
un tesoro aprendolo agli altri
di chi non ha paura
d'insegnare e d'imparare
di scontrarsi
come cavalieri
e d'incontrarsi come uomini
questo ho trovato
lasicilia
tutt'attaccata
e piena
ri-piena
(alessandra e, nella sedia accanto, fabio)
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La colpa
(di Imed Mehadheb (B5) via Pianezza
300, 10151 - Torino)
Appena il portone del carcere che lo aveva vomitato si
richiuse, Sergio alzò gli angoli della bocca come per sorridere,
poi si fermò perché cambiò idea o perché
sorride solo così. Indugiò un momento cercando di leggere
nella successione delle automobili che gli passavano davanti le intenzioni
del mondo nei suoi riguardi, poi decise di andare a tentoni, sapendo
che non poteva esistere alcun vocabolario che traducesse in parole il
peso di oscure allusioni che incombono nelle cose. Accese una sigaretta
e diede un lungo tiro riflettendo, mentre i suoi occhi sorvolavano,
malinconici e stralunati, le strade affollate eppure piene di desolazione.
Si aggirò senza meta per le vie brulicanti di gente, poi seguì
una donna sola, esile e dolce. Si soffermò con lei davanti a
una vetrina, la guardò di sottecchi, a lungo, pronto a innamorarsi
senza rimedio se solo gli fosse stato concesso. Ma quando sentì
il desiderio montare, provò vergogna e si allontanò, divorato
da una voglia senza speranza, per sedersi su una panchina. In carcere,
Sergio aveva conosciuto bene il vantaggio delle panchine rispetto alle
persone: non danno consigli, non offrono comprensione. Ascoltano e basta,
e con la loro immobilità ti aiutano a ricordare che nella vita
non cè niente che sia poi così sconvolgente.
Improvvisamente placato, o meglio ripreso da unansia stabile e
ostinata che riemerse dissolvendo le ansie contingenti e labili, Sergio
osservò le baraonde unanimi che sbucavano dal profondo del sottosuolo
nella libera luce. Gente indaffarata, affrettata. Ciascuno con le proprie
occupazioni, ciascuno sufficiente appena a sé stesso. Si torse
le mani, si alzò e sincamminò verso il suo appartamento.
Prima di girare la chiave nella serratura, indugiò un momento
come se sentisse che stava per scoprire qualche cosa che gli avrebbe
ridato di nuovo la vita o gliela avrebbe distrutta per sempre. Poi aprì
la porta ed entrò. Vi era un umido odore di muffa e la casa era
permeata da unangosciante mancanza di presenze umane. Sollevò
subito le tapparelle, aprì tutte le porte e spalancò le
finestre. Negli ultimi raggi obliqui di sole che fluirono, danzava un
pulviscolo dorato, e Sergio si guardò in giro come se cercasse
resti di pensieri che aleggiavano, o parole che avevano esaurito il
loro compito. Tornò a lui un pomeriggio passato con Paola, mentre
si crogiolava nelle carezze del suo corpo caldo e bianco. Chiuse gli
occhi, si pose le dita sulle palpebre come per tenere in sé prigioniero
quel ricordo. Rivide il profilo del suo naso, i capelli che le cadevano
come onde di desiderio ai lati del viso, le agili membra e il morbido
seno. Poi pensò, con una fitta lancinante come i sogni del mattino,
alle notti passate in carcere accarezzando il soave dolore che riversava
con entusiasmo nelle poesie. Quanti anni, poi, aveva impiegato ad allontanare
Paola dai suoi pensieri, a bandire dai suoi sogni ogni immagine e suono
che la riguardava! Fu dopo che lei gli aveva detto che non lo poteva
più aspettare, che la colpa, in fin dei conti, era solo sua.
Quel giorno, un gemito rauco gli era uscito dalle labbra, poi il silenzio
lo aveva fasciato in nastri di gelide ombre. Tremava per tutta la persona
e aveva limpressione che il battere dellorologio nella sala
colloqui frantumasse il tempo in atomi di agonia, ognuno troppo spaventevole
per essere sostenuto.
La gente che crede di capire gli aveva detto che la vita continua, che
il tempo guarisce. Per insulse che siano, in queste banalità
cè qualcosa di vero e Sergio aveva sperato che labitudine
a soffrire diventasse unabitudine come unaltra, acquistasse
quel sapore del niente che in carcere gli impastava la bocca e la vita
da anni. Alla fine, aveva concluso che di rado il futuro è come
sembra, che il presente si esaurisce in un batter docchio, che
il passato è una Atlantide, unisola sprofondata nel mare
che non potrà mai più sperare di raggiungere, e aveva
deciso che poteva immaginare la vita anche senza lamore di Paola,
convincendosi che nessun essere umano era degno della sua totale abnegazione.
Nessun amore valeva tanto. Così, aveva passato il resto degli
anni della sua detenzione regolarmente innamorato di qualcuna
per via epistolare e, poiché le sue passioni non erano
corrisposte, aveva conservato intatte le sue illusioni.
La sera si addensava nella stanza. Tacitamente, con piedi dargento,
le ombre venivano dalla strada e i colori sfiorivano stanchi sulle cose
mentre Sergio tesseva pensieri e capiva che per molti anni aveva fatto
ai ricordi quello che altri fanno alle fotografie: li aveva censurati.
Ma non era possibile distruggerli come si distruggono le fotografie;
li poteva soltanto seppellire sotto la polvere delle banalità
di una vita rinchiusa. I particolari della sua relazione con Paola e
della sua conclusione erano polverosi, perché li aveva sepolti
molto bene in carcere, ma adesso cominciavano a farsi più chiari,
i contorni si precisavano. Ricordò le risate di Paola. Erano
piene di abbandono. Erano fragorose, calde, un lampo di denti bianchi
e capelli sciolti e occhi pieni di lacrime. Accese una sigaretta e diede
un paio di tiri, lentamente, meditabondo. Guardò la lama di luce
sotto la porta dingresso attraverso le sottili spire di fumo azzurrino
che salivano in arabeschi fantastici e la considerò con quello
strano interesse per le cose comuni che cerchiamo di risvegliare in
noi quando cose molto più importanti ci spaventano, o quando
un lacerante pensiero ci assedia a un tratto la mente e ci invita alla
resa. Si abbandonò allantica routine di domanda
risposta - stessa domanda in cui piombava il suo cervello quando la
situazione prendeva una piega che proprio non si aspettava; provò
di nuovo lasprezza del dolore irrisolto mentre rimbombavano nella
sua mente, come uneco interminabile, le dure parole di Paola:
la colpa, in fin dei conti, è solo tua
la
colpa, in fin dei conti, è solo tua . Piccole lacrime gli
ferirono gli occhi, si torse le mani con disperazione, poi guardò
attraverso la finestra il cielo che dun tratto si era rabbuiato,
come se avesse rinunciato allattimo del tramonto, mettendogli
addosso una tremenda inquietudine. Si gettò a corpo morto sul
letto, così comera, vestito, e rimase a guardare una fetta
di luna simile ad una ferita di coltello che
insanguinava il mondo. Le ore passarono anonime mentre il tempo sgorgava
in onde lunghe e confuse ; in fine, il sonno lo colse, profondo e senza
sogni.
Quando la luce del mattino gli frustò gli occhi, Sergio si svegliò.
Sentì la fitta familiare della solitudine, credeva di trovarsi
ancora in carcere e, con gli occhi aperti, trasognato, affrontò
ricordi privi di speranza. Poi si sollevò e andò al bagno.
Guardandosi nello specchio, vide una faccia che non riconobbe. Un viso
pesante, stanco; la barba gli incorniciava le guance come vapore biancastro
e gli occhi, socchiusi, erano simili a due lumi senza splendore in mezzo
a un nido di rughe nelle quali egli aveva limpressione che si
fosse fermata della polvere. Si toccò il volto, le mani tremanti.
Mosse le labbra senza emettere suono e scosse il capo rifiutando la
tragica erosione degli anni. Nellassurda logica che lavorava dentro
di lui, Sergio chiuse gli occhi e poi li dischiuse con vaga speranza:
per un attimo di pietà, lo specchio non lo rifletté più,
ma subito dopo si riformò, fuggevole e mobile, limmagine
sinistra della sua faccia, sempre più terrea e scavata. Gli si
soffocò un grido in gola, pensò allirreparabile
fuga del tempo, alla vita in carcere che aveva inghiottito i suoi anni
uno dopo laltro, con velocità vertiginosa. Posò
lo sguardo sul funebre telaio delle sue ossa che si vedeva attraverso
la divisa marrone dellamministrazione penitenziaria e i suoi respiri
si fecero profondi e palpitarono nel vuoto della casa. Non è
possibile, si disse. Non ero vestito così quando
lasciai il carcere . Cercò di liberarsi della giacca, dei
pantaloni e delle scarpe. Comprese che era impossibile e scoprì,
con una vertigine stupita, che tutto ciò che lo vestiva era vivente,
parte integrante del suo corpo. Un unico organismo. Allora una acuta
angoscia penetrò in lui come una lama facendo rabbrividire le
sue fibre, i suoi occhi incupirono e li velò una nebbia di lacrime.
Si guardò intorno con fare intimorito, poi spalancò rapidamente
la porta e fuggì dallappartamento per quanto glielo permettevano
le sue vecchie membra gracili. Cadde più volte, si lacerò
le carni, ma arrestò la sua corsa solo davanti al portone del
carcere e bussò. Che cosa vuoi, Sergio? risuonò
la domanda timorosa di un agente che lo conosceva. Voglio costituirmi,
rispose ansimante e tremante. Hai già scontato
la tua condanna . Sergio rimase in silenzio, si sentì tanto
deluso e orribili pensieri accorsero in un turbine per mostrargli una
ripugnante esistenza. Lagente gli si accostò, gli batté
sulle spalle e si alzarono da lui come in un vapore frasi di circostanza,
inutili, che Sergio non ascoltò.
Il portone si chiuse. Cupe brume cariche di pioggia offuscarono la volta
celeste. Polvere e nebbia mulinarono sulla strada, impedendo la vista.
E Sergio, con un grido roco, cadde e rimase lì come un albero
stroncato mentre un soffio di vento faceva scivolare via il suo grido.
(Imed Mehadheb è nato a Tunisi nel 1961 e vive
in Italia dal 1982. Ha scritto in italiano i racconti "Meteco"
(1998) in Parole
oltre i confini pubblicato da Fara editore, "I Sommersi"
(1999) in Anime in viaggio pubblicato da adn kronos LIBRI,
"Inverno" ne Il doppio sguardo (2000) pubblicato
da adn kronos LIBRI; tutti premiati al Concorso Letterario per Scrittori
Migranti Eks&Tra. Su Faranews
ha già pubblicato "Xia Xujie" e "Sensi rivelatti".
"La colpa" ha vinto il II premio del Concorso letterario
"Emanuele Casalini" 2002. Insignito di due medaglie del Presidente
della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Detenuto dal 1989.)
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Padre
Pio, un santo antipatico
(di Paul Renner)
Il numero in edicola di un settimanale altoatesino in
lingua tedesca mostra il Padreterno impegnato davanti ad un computer
e San Pietro sullo sfondo che gli presenta Padre Pio con le parole Eccone
un altro con le mani bucate. Al che Dio risponde con fare stizzito:
metti anche lui nel settore dei cattolici! Tale vignetta
di dubbio gusto è una scontata riprova del fatto che Padre Pio
riceve laureola di santo, ma non riesce a scrollarsi di dosso
unaura di antipatia, che è almeno pari alla simpatia di
cui gode tra ampi strati di semplici credenti.
Occorre a questo proposito annotare che si impone una distinzione tra
quello che fu Padre Pio e quello che è il fenomeno Padre
Pio. Se si visita oggi San Giovanni Rotondo oppure si seguono
le attività di alcuni gruppi di devoti che a lui si richiamano,
si rischia appunto di provare una forte avversione per manifestazioni
che passano dallesaltazione al miracolismo, dal culto della personalità
allo spiritualismo disincarnato dal mondo.
Sicuramente Padre Pio si è girato nella tomba pardon:
in Paradiso - , al sentire i resoconti di miracoli che gli venivano
attribuiti nel corso di una recente trasmissione televisiva: visione
senza pupille, falangi della mano ricresciute e così via. Il
religioso di Pietrelcina non ha mai voluto essere un taumaturgo, una
sorta di precursore del Sai Baba. Di sé diceva voglio essere
ricordato come un frate che prega e in vita ha sempre cercato
di tutelare la discrezione e il raccoglimento, di regolare se non di
scoraggiare certe forme di culto della personalità. Attorniato
dapprima dalla consueta dose di invidia con cui certi confratelli ricompensano
chi si distingue per alcune doti, venne poi visto come fenomeno
e dunque come strumento di attrazione, godendo di sentimenti ambivalenti
da parte della sua comunità religiosa. Quella stessa che lo ricorda
oggi con opere ciclopiche, mentre lui aveva richiesto solo la costruzione
dellospedale modello Casa sollievo della sofferenza.
Molti affermano che Padre Pio non lo si può del tutto capire,
ed hanno ragione; non si risparmiano però nel cercare di carpire
i vantaggi che possono derivare dallo sfruttamento di un filone di successo.
Anche il Vaticano e i vescovi italiani che lo guardavano con un senso
di superiorità, oggi lo recuperano e valorizzano, nel contesto
di un rinnovato interesse e stima per la religiosità popolare,
che mostra uninvidiabile capacità di tenuta, a fronte del
numero calante dei fedeli.
Tanti sono dunque i fenomeni antipatici che circondano questo personaggio
e che lo rendono inviso soprattutto ad intellettuali ed a persone che
cercano di vivere una fede adeguata ai tempi. Eppure, al di là
di quello che ne hanno fatto i contemporanei e i posteri, Padre Pio
era proprio antipatico di natura. O meglio: non ha mai cercato di rendersi
simpatico, ma piuttosto di restare autentico e di proporre il Vangelo,
la spiritualità e la morale cristiana sine glossa
(cioè senza adattamenti) come voleva il serafico padre San Francesco,
cui il suo ordine dei Cappuccini si richiama. E questo è indubbiamente
un elemento che caratterizza il profeta, uomo chiamato a testimoniare
la presenza e la volontà di Dio in un mondo spesso dimentico
di Dio e perciò alla deriva. Don Giuseppe De Luca scriveva in
occasione della beatificazione del Nostro che costui era rozzo
e ignorante, scorbutico e limitato, ma era un uomo di Dio. Un
uomo divorato per la passione di quella Verità che solo Dio è,
di quella Verità che ama profondamente luomo e non può
tollerare di vederlo dibattersi nellincoerenza umiliante e nel
peccato che lo sfigura. Ecco allora anche il coraggio di Padre Pio,
di cui ancora troppo poco si parla. Non un coraggio ribelle contro listituzione,
ma contro la religiosità tiepida, lipocrisia e la menzogna,
come recita un suo discorso che spesso risuona registrato
nei corridoi del piccolo convento di S.Maria delle Grazie: Dio
ha in abominio la menzogna e la falsità!.
Padre Pio era dunque un veggente: non in quanto prevedeva il futuro,
ma nel senso che vedeva lucidamente le miserie delluomo e al tempo
stesso vedeva faccia a faccia Dio, cui le affidava e da cui chiedeva
la forza per accompagnare tante persone. Questa sua duplice visione,
della concretezza delle contraddizioni umane e dello splendore terribile
di Dio, lo ha sempre squassato e provato, senza tuttavia renderlo rassegnato
o domito.
La reliquia più importante di Padre Pio, la sua eredità,
non sono allora le scaglie di sangue coagulato delle stimmate o i guanti
con cui si copriva le mani piagate, che in ogni casa di S. Giovanni
tendono a mostrarvi, ma le sue parole di fuoco, la sua incapacità
di scendere a compromessi e al tempo stesso un amore umile,
totale ed ubbidiente per la Chiesa di Cristo. Non si può cioè
essere devoti di San Padre Pio se non essendo cooperatori a pieno titolo
nella vita della comunità ecclesiale. Si offenderebbe lo stesso
Santo se se ne isolasse la devozione, rendendola un masso erratico rispetto
a tutto linsieme della vita, dellimpegno e della preghiera
della Chiesa di cui lui si sentiva figlio devoto e umilissimo.
E questo è in sostanza il suo messaggio: meno santini su di me
e più santi grazie a me!
don Paul Renner c/o Seminario di Brixen - via del Seminario,
1 - 39042 Bressanone (Bolzano) - tel. 0472-837220 fax 0472-837600 paulren@dnet.it
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Berlino
(di Andrea
Campanozzi)
BERLINO
Un poeta
e che godimento!
Vedere un'alba di luna
in un bottone allacciato,
capire da un numero di tram
che starai via una settimana,
e dalle scarpe che porterai
dove ti porteranno e sarai.
Ho nel desiderio del sonno
la mia corsa più frequente.
Domani voli a Berlino,
mentre sbaglio
per eccesso di situazione:
questo è il 2002.
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Due poesie
(di Adeodato Piazza
Nicolai)
La telefonata
Abba, figlio, perché non rispondi?
Trema la terra, il velo si squarcia
il sole si oscura e tu non registri
neppure la telefonata. Figlio,
perché non misuri come
la notte rode i miei fianchi
e il giorno tampona le dita?
Sapesti, figlio, il trivellare
della coscienza che logora
laria, potresti capire lora
più piccola dellinterminabile
strascico al fondo del mare
dove gli scogli sono affilati,
dove zavorra larsura. Ascolta
lurlo strozzato tra i denti,
la lingua gonfia al punto
di soffocare qualsiasi sillaba
desiderosa di galleggiare
alla tua superficie così sigillata.
Sapesti lassurda stagione: non
abbandonarmi, mio figlio. Pietà
(Padova, 6 novembre 2002 ore 1:20)
Paternità
per Michele
Da poco arrivato sul davanzale
del tuo divenire, ti dondolavo
sulle ginocchia; sembravi
la luna vestita di sole ma
il paragone stonava. Non
ho mai scoperto il motivo
di quella piccola diversità
ma la stonatura teneramente
allattava il tuo breve respiro.
Trentanni dopo dallaltra
sponda dondoli ancora
dietro una foto sbiadita
che qualche volta ritiro
dal mio taccuino.
Me lavevi regalata
quando ti eri sposato
e pure allora non ho
mai saputo perché
la vibrazione stonava
(Padova, 5 ottobre 2002 ore 5:45)
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Namaste www.namaste-ostiglia.it/lasthelp/
Impronte concorso per scrittori migranti www.eksetra.net
Lonergan http://web.tiscali.it/Lonergan/
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