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FARANEWS
ISSN 15908585
MENSILE DI
INFORMAZIONE CULTURALE
a cura di Fara Editore
1. Gennaio 2000
Uno strumento
2. Febbraio 2000
Alla scoperta dell'Africa
3. Marzo 2000
Il nuovo millennio ha bisogno di idee
4. Aprile 2000
Se esiste un Dio giusto, perché il male?
5. Maggio 2000
Il viaggio...
6. Giugno 2000
La realtà della realtà
7. Luglio 2000
La "pace" dell'intelletuale
8. Agosto 2000
Progetti di pace
9. Settembre 2000
Il racconto fantastico
10. Ottobre 2000
I pregi della sintesi
11. Novembre 2000
Il mese del ricordo
12. Dicembre 2000
La strada dell'anima
13. Gennaio 2001
Fare il punto
14. Febbraio 2001
Tessere storie
15. Marzo 2001
La densità della parola
16. Aprile 2001
Corpo e inchiostro
17. Maggio 2001
Specchi senza volto?
18. Giugno 2001
Chi ha più fede?
19. Luglio 2001
Il silenzio
20. Agosto 2001
Sensi rivelati
21. Settembre 2001
Accenti trasferibili?
22. Ottobre 2001
Parole amicali
23. Novembre 2001
Concorso IIIM: vincitori I ed.
24. Dicembre 2001
Lettere e visioni
25. Gennaio 2002
Terra/di/nessuno: vincitori I ed.
26. Febbraio 2002
L'etica dello scrivere
27. Marzo 2002
Le affinità elettive
28. Aprile 2002
I verbi del guardare
29. Maggio 2002
Le impronte delle parole
30. Giugno 2002
La forza discreta della mitezza
31. Luglio 2002
La terapia della scrittura
32. Agosto 2002
Concorso IIIM: vincitori II ed.
33. Settembre 2002
Parola e identità
34. Ottobre 2002
Tracce ed orme
35. Novembre 2002
I confini dell'Oceano
36. Dicembre 2002
Finis terrae
37. Gennaio 2003
Quodlibet?
38. Febbraio 2003
No man's land
39. Marzo 2003
Autori e amici
40. Aprile 2003
Futuro presente
41. Maggio 2003
Terra/di/nessuno: vincitori II ed.
42. Giugno 2003
Poetica
43. Luglio 2003
Esistono nuovi romanzieri?
44. Agosto 2003
I vincitori del terzo Concorso IIIM
45.Settembre 2003
Per i lettori stanchi
46. Ottobre 2003
"Nuove" voci della poesia e senso del fare letterario
47. Novembre 2003
Lettere vive
48. Dicembre 2003
Scelte di vita
49-50. Gennaio-Febbraio 2004
Pubblica con noi e altro
51. Marzo 2004
Fra prosa e poesia
52. Aprile 2004
Preghiere
53. Maggio 2004
La strada ascetica
54. Giugno 2004
Intercultura: un luogo comune?
55. Luglio 2004
Prosapoetica "terra/di/nessuno" 2004
56. Agosto 2004
Una estate vaga di senso
57. Settembre2004
La politica non è solo economia
58. Ottobre 2004
Varia umanità
59. Novembre 2004
I vincitori del quarto Concorso IIIM
60. Dicembre 2004
Epiloghi iniziali
61. Gennaio 2005
Pubblica con noi 2004
62. Febbraio 2005
In questo tempo misurato
63. Marzo 2005
Concerto semplice
64. Aprile 2005
Stanze e passi
65. Maggio 2005
Il mare di Giona
65.bis Maggio 2005
Una presenza
66. Giugno 2005
Risultati del Concorso Prosapoetica
67. Luglio 2005
Risvolti vitali
68. Agosto 2005
Letteratura globale
69. Settembre 2005
Parole in volo
70. Ottobre 2005
Un tappo universale
71. Novembre 2005
Fratello da sempre nell'andare
72. Dicembre 2005
Noi siamo degli altri
73. Gennario 2006
Un anno ricco di sguardi
Vincitori IV concorso Pubblica con noi
74. Febbraio 2006
I morti guarderanno la strada
75. Marzo 2006
L'ombra dietro le parole
76. Aprile 2006
Lettori partecipi (il fuoco nella forma)
77. Maggio 2006
"indecidibile santo, corrotto di vuoto"
78. Giugno 2006
Varco vitale
79. Luglio 2006
“io ti voglio… prima che muoia / rendimi padre” ovvero
tempo, stabilità, “memoria”
79.bis
I vincitori del concorso Prosapoetica 2006
80. Agosto 2006
Personaggi o autori?
81. Settembre 2006
Lessico o sintassi?
82. Ottobre 2006
Rimescolando le forme del tempo
83. Novembre 2006
Questa sì è poesia domestica
84. Dicembre 2006
La poesia necessaria va oltre i sepolcri?
85. Gennaio 2007
La parola mi ha scelto (e non viceversa)
86. Febbraio 2007
Abbiamo creduto senza più sperare
87. Marzo 2007
“Di sti tempi… na poesia / nunnu sai mai / quannu finiscia”
88. Aprile 2007
La Bellezza del Sacrificio
89. Maggio 2007
I vincitori del concorso Prosapoetica 2007
90. Giugno 2007
“Solo facendo silenzio / capisco / le parole / giuste”
91. Luglio 2007
La poesia come cura (oltre il sé verso il mondo e oltre)
92. Agosto 2007
Versi accidentali
93. Settembre 2007
Vita senza emozioni?
94. Ottobre 2007
Ombre e radici, normalità e follia…
95. Novembre 2007
I vincitori di Pubblica con noi 2007 e non solo
96. Dicembre 2007
Il tragico del comico
97. Gennaio 2008
Open year
98. Febbraio 2008
Si vive di formule / oltre che di tempo
99. Marzo 2008
Una croce trafitta d'amore
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Numero 23
Novembre 2001
Editoriale: Concorso IIIM
Questo Faranews e' quasi interamente dedicato ai vincitori
della prima edizione del Concorso IIIM
Terzo Millennio. I giurati Sandra
Ammendola, Orfeo Bartolini, Corrado Giamboni, Alessandro Giovanardi,
Michele Ruele e Marco Tassinari hanno premiato le seguenti opere:
La pioggia suona diversa d'estate di Sabrina Foschini (I);
Azalea di Marzia Marcotulli (II);
Coda di lucertola di Giovanni Rosa (III ex aequo)
e
Romagna solatia di Loretta Molari (III ex aequo).
Sono state segnalate le seguenti opere: Le
ali di Daniela Cavallini, Sogni
e speranze di Giorgio Di Paola, A
mio nonno di Giovanni Rosa, La
battuta di Clemente Francesco, Profeti
di stoltezza e Fede e ragione
di Vincenzo Andraous, Decadenza
di Danilo Cattaneo e Il
colloquio di Francesca Lozito.
Opere menzionate: Canto della fossa comune
di Manuel Semprini, Mariella di Alessandro
Paglierani, "Confessione di un delitto" di Silvia de Castiglione,
"Africa" di Caterina Rulli, "Guerra" di Tiziano
Ciccone, "La lettera del lunedi'" di Anna de Castiglione,
"Il racconto di lei" di Giorgio Zavarise e "Le nozze
sull'isola incantata" di Daniela Cavallini.
Dopo avervi segnalato Il Foglio letterario, concludiamo
con Vanessa un magico racconto brasiliano di Rosete
de Sa' e un breve reportage sulla marcia Perugia-Assisi
di Marco Tassinari.
Opere vincitrici
La pioggia suona diversa d'estate
(Sabrina Foschini
I classificata)
L'autrice e' nata a Rimini nel 1968. Diplomatasi all'Accademia
di Belle Arti di Ravenna, lavora nel campo delle arti visive e dal 1992
espone le sue opere in diverse gallerie d'arte pubbliche e private sia
in Italia che all'estero. Collabora con la rivista d'arte e letteratura
«Graphie» di Cesena. Nel marzo 2001 ha pubblicato Andare
per il sottile (I Quaderni del Battello Ebbro, Bologna), raccolta
di poesie.
La pioggia suona diversa d'estate.
Tenta il paragone col mare.
Anche qui nella campagna di stoffa lisa
sollevando odori estinti dal sole
accende una musica da lungomare
un ritornello dilatato di giostra meccanica
e lava le frasche viandanti di polvere,
dando avvio al moto dell'erba
in onde verdi e cupe per la notte.
Siamo assetate e lontane dall'acqua
io e questa terra gravida
che come me nasconde e sostiene
un passato di conchiglie.
(giugno 2000)
Motivazioni della giuria
Per la fedelta' alla tradizione poetica del Novecento e per il nitore
con cui riesce a fondere l'esperienza umana della vita ed il pulsare
doloroso della natura e delle stagioni.
Il paesaggio e l'ambiente, che pure sono protagonisti di questa poesia,
non prendono il sopravvento in quanto occasione lirica o sfondo per
proiezioni dell'anima, bensi' quali suscitatori di evasioni sotto forma
di metafore, di musicalita' non semplicemente consolatoria. Lo stile
contribuisce abbastanza bene all'allargamento di annotazioni complesse
e mai scontate, evidenziando tale pregio di fondo della poesia.
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Azalea
(di Marzia Marcotulli II
classificata)
Marzia Marcotulli e' nata a Roma nel 1974. Frequenta Lettere
presso la Terza Universita' di Roma. La passione per le parole, in poesia
e prosa, e' la costante della sua vita. Nel dicembre 2000 ha vinto il
I premio del concorso letterario interlingue Montagne d'Argento sul
tema "Caro amico ti scrivo" a cura di Keltia editrice, con pubblicazione
dell'opera nell'antologia dei vincitori.
C'e' una pianta il cui fiore sboccia ogni anno a ricordo
di un amore passato. Anche se amore e passato sono due
parole che non possono esistere nella stessa frase. Se un amore e' tale
non puo' passare e quel fiore rosa venato di bianco nel mio giardino
racconta ogni anno che sono stata, e sono tuttora, amata. Non si turba,
il fiore, del fatto che io invece quell'amore piu' non corrispondo,
e che forse in virtu' di cio' non ho mai veramente provato, e non si
cura neppure di sapere dove si trovi, ora, colui che un tempo me ne
fece dono. Il fiore: distratto regalo tra i tanti che non colmavano
la mia solitudine. E' stato un penoso addio, il nostro, tanto triste
che non ho ancora oggi parole per dirlo. Ero io che rompevo gli argini
di quel fiume tranquillo, che mi tingevo il volto di rosso e scendevo
in guerra gridando la mia indipendenza e il mio desiderio di amare davvero,
non solo di corpo e baci, ma di sottile intesa sussurrata con gli occhi,
di trepidante attesa vissuta con unico fremito di cuore, di essenza
pura di anima in ogni sguardo.
Eppure come fu difficile dire addio, prosciugare il mare di ricordi
accumulati insieme agli anni che trascorrevano. Presi il suo cuore e
il mio e ne feci brandelli. Bruciai le foto una ad una, le lettere di
lui che ripetevano in lenta litania il suo grande amore per me, eppure
mai una volta, mai e mai, io vi lessi di noi come unico corpo ed unica
mente. Non posso fare di questo una sua colpa, lui cosi' semplice e
sorridente nel suo annuire abbassando gli occhi, lui che diceva si'
qualunque fosse la mia idea, lui che viveva di luce riflessa. Lo lasciai
solo davanti alla vita e fu terribile, quasi tragico, con il resto del
mondo che gridava il suo sdegno e il mio peccato nell'averlo abbandonato.
Sembrai a tutti una sciocca, a lasciare quel ragazzo buono e caro, dall'ampio
sorriso sornione, ma tolsi l'anello scambiato in riva al mare da bambini,
quando il tramonto dietro noi scioglieva il sole all'orizzonte. Vidi
il suo dolore e giuro desiderai fosse mio, ma altri cieli mi attendevano
e cosi' presi a camminare.
Oggi amo come volevo amare, dando tutta me a chi ha la mia stessa vita
tra le mani. E di piu', posso dire che sono vera in ogni mia parola
e gesto e che la luce che emano si scontra e incontra con dolcezza e
possanza con chi ha altrettanta luce. Sono felice ora, mentre riposo
nell'incavo del suo braccio e non faccio piu' orribili sogni, sono felice
mentre ricerco i suoi occhi e li colgo gia' intenti a guardare i miei.
Sono felice, si'... ma quel fiore ostinato sboccia ancora.
E mi domando, a volte, se il sentimento di lui sia ancora qui in qualche
modo, se una briciola appena di tutto cio' che e' stato sia ancora linfa
abbastanza forte da far sbocciare quel fiore. Io non lo vedo mai nascere,
ma agli ultimi freddi d'inverno, come molti anni ormai, lo trovo rivolto
verso la luce. Aperto, sincero, vulnerabile fiore con i petali appena
schiusi e grinzosi, e mentre sale il giorno si stende alla luce avido
di vita e d'acqua. Non l'ho mai colto, lasciando che il tempo ogni anno
lo reclini verso la terra scura fino a cadere morbidamente e tornare
a dormire il suo sonno pacato. Quando questo avviene, quando un mattino
lo trovo riverso e steso, come un soldato che eroico ha compiuto anche
questa impresa ed ora giace inerme ma non sconfitto, io lascio che i
pensieri vaghino mentre osservo il mio giardino.
La pianta quasi neppure si vede piu', una vecchia azalea a tratti soffocata
dalla capelvenere che spopola su ogni terreno fertile in casa mia. Confesso
di non averla mai protetta dalle spore vaganti, cosi' che se oggi si
guarda li', tra tutto quel verde, neppure si vedrebbe che c'e' ancora
l'azalea, tranne per quel magnifico e testardo fiore che spunta a regalarmi
un sorriso, tutto cio' che rimane di un grande amore, da me ucciso un
giorno di marzo, lo stesso in cui ogni anno l'azalea fiorisce.
Motivazioni della giuria
Possiede una certa classicita' ed una schiettezza di stile senza velleitarismi
sperimentali che lo rendono vero ed elegante.
Una storia-d'amore-finito ricordata e raccontata spostandola intorno
ad un oggetto-richiamo, che fa da protagonista della vicenda e di un
finale prevedibile ma non scontato. Il racconto scorre con un tono perfino
ingenuo, che rivela la tensione a non risolvere l'espressione in elegia
o lamento, un tono la cui dominante e' una sorta di equilibrio fra una
normalita' da discorso di confidenti e l'unicita' di una riflessione
che non si appaga facilmente e trova modo di completarsi proprio in
quell'oggetto che ha reso protagonista.
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Coda di lucertola
(di Giovanni Rosa III
classificato ex aequo)
Giovanni Rosa e' nato a Modica nel 1948, dove insegna
Scienze Umane presso il Liceo polivalente "Giovanni Verga". Ha interessi
artistici nell'ambito pittorico e in quello calcografico. Da quando
ha iniziato a presentare le sue opere ai concorsi (1999) ha vinto numerosi
premi.
C'era una volta una lucertola, anzi la sua Coda. Proprio
cosi', una Coda di lucertola! Un ragazzaccio, per gioco (voleva farci
degli esperimenti, diceva!), l'aveva appena tranciata di netto con una
sassata dal corpo della madre. Dico cosi', perche' la Coda considerava
mamma quella vispa lucertola dai colori verdissimi e scintillanti, che
si godeva la vita al caldo sole di luglio.
La povera Coda avverti' un dolore bruciante, ma soprattutto un terribile
tuffo al cuore (si', aveva anche un cuore tutto suo!).
- La mia mamma, la mia bella mamma! - singhiozzo'. - Dove scappa, perche'
mi lascia sola sola in balia di questo aguzzino!?
Contorcendosi e saltellando affannosamente, tento' subito di rincorrerla,
ma lei, spaventata e dolorante, si era gia' messa in salvo dentro le
fenditure della tana, tra le pietre di un muretto di campagna. La Coda
fini' cosi' tra le mani del monello.
- Come fara' la mia mamma senza di me? - piangeva. - Io le facevo da
timone nelle corse pazze tra i sassi. Era cosi' bello scivolare tra
l'erba e i fiori con tanta eleganza e leggerezza. Senza di lei, sono
solo uno sgorbio sgangherato!
Dopo essersi ripresa un po' dallo sconforto, prese il coraggio a...
tutta coda e, saltellando furiosamente, disse a quel bruto, con una
vocina tremula ma minacciosa:
- Lo sai quale maledizione e' caduta su di te per avermi staccata dal
corpo di mia madre? Ti sei macchiata l'anima di sette peccati mortali!
- Anche tu conosci questa fandonia? - rispose sorpreso il ragazzo. -
Chi te l'ha detto?
- Me l'ha detto la mia mamma! - riprese piu' sicura. - Tu chiedilo alla
tua e vedrai che te lo confermera'!
- Io non credo a queste stupidaggini! - incalzo' il carceriere. - Ma
siccome... non si sa mai, so io come liberarmi da questa maledizione:
stacchero' la coda a un geco e cosi' mi levero' i sette peccati! Questo
non te l'ha detto la tua mamma?
La Coda divenne triste e ammutoli'. Era vero! Anche questo le aveva
detto la sua mamma: una sevizia fatta ad un geco, considerato brutto
e cattivo, pareggiava i conti per quella fatta ad una lucertola, che
era buona e bella. Cosi' stabiliva la credenza popolare!
La sera stessa, il piccolo crudele cacciatore si apposto' presso le
pareti delle case, dove erano collocate le lampade dell'illuminazione
pubblica. Sapeva che i gechi vi si mimetizzavano, immobili, per poter
catturare le falene attratte dalla luce.
Ma proprio mentre il monellaccio stava per lanciare il sasso contro
la nuova vittima, la Codina penso' a quanto avrebbe sofferto il geco
per quell'amputazione e soprattutto al dolore provato dalla sua coda,
separata dalla madre, come lei, per essere imprigionata e torturata.
Allora si agito' tanto dentro la tasca dove era rinchiusa, che il ragazzo
dovette sospendere il lancio e ascoltare le sue grida:
- Aspetta, aspetta. Non farlo. Ho trovato! Non c'e' bisogno di catturare
una coda di geco per liberarti dalla maledizione. Ecco... io ti perdono
e cosi' i sette peccati non ce l'hai piu'!
Improvvisamente il ragazzaccio si accorse di avere un cuore anche lui.
Lascio' cadere il sasso e, per la prima volta, si vergogno' di se' stesso.
L'indomani, quando il sole era gia' alto e le lucertole della campagna
erano gia' tutte stese a prendere la tintarella, il nostro amico, saltellando
per il cuore leggero leggero, torno' al vecchio muro e, con gesto delicato,
lascio' cadere la Coda vicino alla tana della madre.
Quando la raggiunse tutta contenta, ebbe pero' una sgradita sorpresa:
il suo posto non c'era piu'. Una nuova coda era gia' spuntata e stava
crescendo rapidamente.
- Mamma, come hai potuto, mi hai gia' dimenticata? - e piangeva a dirotto.
La povera lucertola non sapeva cosa dire, ma era chiaro che il cuore
le batteva forte forte per l'angoscia, perche' le gote le si vedevano
pulsare, gonfie per lo smarrimento e il dolore.
Il fanciullo, commosso, si offri' di fasciare con un po' di nastro adesivo
la Coda accanto a quella gia' spuntata, nella speranza che vi si reintegrasse.
L'operazione riusci' perfettamente e cosi', dopo qualche giorno mamma
lucertola, felice, torno' a godersi la vita al caldo sole di luglio,
abbracciata alle sue due splendide code.
Motivazioni della giuria
Una bella favola con finale imprevisto, movimenti colorati. Delicata
senza smancerie, buona ma non troppo buonista, dalla prosa pulita ma
non asettica. Qualche colpetto di lima le avrebbe tolto quel che di
didascalico che aleggia qua e la'.
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Romagna solatia...
(di Loretta Molari III classifcata ex aequo)
Loretta Molari e' nata a Montemarciano (AN) nel 1945.
Laureata in Pedagogia si occupa attualmente di gestione delle risorse
umane presso l'Universita' del Piemonte Orientale "Amedeo Avogadro".
La nonna e il padre sono santarcangiolesi "emigrati".
In un pomeriggio d'estate, fatto di luce accecante, quando
nell'aria ferma si sente solo il "rumore" assordante delle
cicale e il gran caldo puo' far sragionare i cristiani, si trovarono
fermi, davanti a un passaggio a livello chiuso; Bas-cen e la sua mula.
Bas-cen imprecava e bestemmiava, tentando invano di detergersi il sudore
dalla faccia e dal collo e da quant'altro poteva, con un fazzoletto
che sicuramente non aveva visto sapone da mesi se non da piu'. Bas-cen
era uno che quando bestemmiava lo faceva con grande impegno, passando
e ripassando tutto il suo fantasioso repertorio e tutto intento nei
due lavori, asciugarsi e bestemmiare, non si avvide subito che una lucente,
nera berlina, silenziosamente si era affiancata alla mula e ferma attendeva
anche lei la riapertura del passaggio a livello.
Ovvio che le colorite imprecazioni attirassero l'attenzione degli occupanti
la berlina nera.
L'autista, povero, ingessato nella divisa con cappello in testa, madido
di sudore guardava silenziosamente Bas-cen con espressione rassegnata,
quasi dolente ma comprensiva.
Il passeggero, invece, seduto dietro, affacciandosi un poco dal finestrino,
ma ben protetto dalle tendine scure, evidentemente incuriosito, lo apostrofo',
in un italiano perfetto, sia pure con un accento marcatamente di quelle
parti.
- Cosa avete, da lamentarvi tanto, brav'uomo?
Bas-cen, guardo' di traverso, indugio' solo un attimo, e poi, con un
senso di liberazione insperata, comincio'... e allora... ne ebbe per
tutti, governo, duce, podesta', padroni, preti, tasse, caldo, figli,
moglie, miseria, e via via, enunciando semplici concetti e ribadendoli
nel colorito dialetto, rafforzati dalle immancabili bestemmie.
Il passeggero, dopo averlo ascoltato per un po' in silenzio, entro'
nei discorsi, chiese, obietto', assenti', dissenti', spiego', sempre
pacatamente.
Bas-cen ribatteva, cercando di spiegarsi meglio, e nella visione apocalittica
che dava della vita reale, face nomi e cognomi dei responsabili, secondo
lui, indico' soluzioni, anche radicali (la forca, anche per i preti),
ma soprattutto insisteva su un concetto: la terra ai contadini e le
tasse ai signori. Il passeggero che Bas-cen peraltro non riusciva a
vedere bene in faccia perche' ritrosamente protetto dalla tendina, infine,
molto seriamente gli disse:
- Perche' brav'uomo, non andate a Roma, a Palazzo Venezia, e queste
cose non andate a dirle a "lui", ho sentito dire che "lui"
parla volentieri con i contadini, e poi e' anche lui di queste parti.
Bas-cen rispose che ci aveva gia' pensato e che forse un giorno o l'altro
l'avrebbe fatto davvero, non mancava mica di coraggio lui. Passo' il
treno, libero' il passo. La berlina si avvio' e lascio' indietro Bas-cen
e la sua mula in una nuvola di polvere bianca. Nei giorni a seguire
Bas-cen riando' spesso a quella strana conversazione, a quell'invito,
e alla sua quasi promessa. Cosi', un mattino di primo autunno, ancora
quasi notte, presa la mula, un fagotto con una fila di pane e un pezzo
di formaggio, una fiaschetta di vino, pochi centesimi in tasca, si avvio'
per la strada verso la capitale dell'impero. Non si era mai allontanato
da Santarcangelo e dintorni e quando comincio', strada facendo, a non
riconoscere piu' la parlata romagnola, ebbe un momento quasi di timore
e di ripensamento, ma che diamine... si fece coraggio e decise in cuor
suo di mettere a frutto quel lungo viaggio, lui che al massimo era arrivato
a San Marino e a Rimini, una volta a Forli'.
Viaggiava di giorno e la sera chiedeva ospitalita' per fermarsi a dormire,
in un fienile o sotto un portico. Era accolto bene ovunque, la miseria
accomuna, e a volte raccapezzava, vuoi un tozzo di pane e un po' di
formaggio, vuoi un bicchiere di vino. E parlava e ascoltava. Vedeva
la solita miseria, come quella delle sue parti, e ascoltava la disperazione
di quelli come lui, le imprecazioni, diverse dalle sue, ma cariche della
stessa rabbia. Ci mise un po' ma poi, come Nazzareno volle, giunse a
Roma e lasciata, non senza diffidenza, la mula fuori porta, si fece
indicare la strada verso il Palazzo. E vide altro ancora, la capitale
nella sua magnificenza e grandezza, la sua gente, una umanita' diversa
ma uguale nei poveri, si sbalordi', si confuse, vide tanto di piu' e
di diverso che al suo paese, e si convinse di avere visto tutto il mondo.
Giunse a Palazzo Venezia e non si sa come riusci' ad entrare e ancora
piu' misteriosamente riusci' ad ottenere colloquio con lui. Dopo una
scontata attesa, fu fatto passare attraverso saloni e stanze e i suoi
occhi si riempirono nuovamente di cose mai viste, se non al cinematografo
quelle due volte che c'era stato. E finalmente in fondo all'ultimo salone,
dietro una grande scrivania, impettito nella sua divisa militare "lui"
lo attendeva. Un segretario, dai modi spicci se pur in qualche modo
educati, lo invito' con un:
- Dite, dite, brav'uomo, sua eccellenza vi ascolta.
Bas-cen, cappello ridotto a un cencio, stretto nelle mani, fino ad avere
le nocche bianche, fece un passo in avanti, si sporse un poco, strizzo'
gli occhi ad osservare nella penombra creata dalla lampada della scrivania,
quella faccia che sembrava accennare un sorriso un po' sornione. Anche
Bas-cen sorrise tra se', si rizzo' sul busto, fece lo stesso passo indietro,
guardo' fisso, dritto negli occhi di quella faccia, respiro' profondamente
e calmo e anche un po' beffardo anche lui parlo' come rivolgendosi al
segretario:
- Me a no nient da dir... Me e "Lu" a sem gia' dacordi me
pasagi a livel.
Non aspetto' risposta, che comunque non venne, giro' sui tacchi e in
un silenzio irreale, rotto dal rumore dei suoi passi che lui confuse
con il battito del suo cuore, usci' a respirare l'aria limpida della
capitale dell'impero.
Motivazioni della giuria
Per completezza, semplicita' e caratterizzazione dei personaggi e per
la capacita' di evocare una situazione storica - benche' aneddotica
e verosimile - in accordo con l'immagine di una terra che durante l'estate
sembra esprimere le sue piu' forti risonanze.
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IL FOGLIO LETTERARIO
La rivista e' nata nel 1999 come uno spartano foglio A4
da un'idea di Gordiano Lupi, Andrea Panerini e Maurizio Maggioni e ha
come obiettivo l'avvicinamento dei giovani alla lettura. Attualmente
conta 48 pagine formato pocket e un supplemento a fumetti e viene distribuita
in Toscana e Umbria da L'Aquilone di Firenze. Il motto "I generi
a braccetto con la tradizione" coniuga il rispetto per la tradizione
con l'attenzione ai generi letterari (fantastico, horror, noir...).
Nel campo narrativo ricerca nuovi modelli espressivi e valorizza cose
tradizionali di buon livello e magari un po' dimenticate dalla critica.
In poesia l'atteggiamento tradizionale e' ancora piu' marcato. Piu'
che gli sperimentalismi si ricercano versi musicali con scelte lessicali
che dimostrino studio e lavoro. La presenza in redazione di Peter Russell,
Biagio Salmeri e Daniela Monreale lo sta a dimostrare. Agli abbonati
e' garantito uno spazio sul sito www.ilfoglioletterario.it
e per un anno ricevono la rivista con due libri omaggio.
Nel 2000 si costituisce una piccola casa editrice no profit (Le Edizioni
Il Foglio) che ha al suo attivo oltre 30 titoli (una decina sempre in
catalogo). Da novembre un nuovo allargamento verso orizzonti nazionali
con la collaborazione del movimento neo-noir di Ivo Scanner. In campo
editoriale le collane sono sette: Autori Contemporanei (poesia e narrativa),
Horror, I Quaderni del Foglio (antologie), Esperimenti Letterari, I
Saggi, I Tascabili, Fior di Fiaba. Le ultime pubblicazioni importanti:
Fame
(la trilogia cannibale), tre racconti horror d'autore su un tema
caro al cinema anni Settanta (il cannibalismo) e Putifarre
e Serafino, una fiaba del grande e compianto maestro Aldo Zelli.
Tra i titoli in programmazione, due libri di Peter Russell con le sue
ultime poesie. Per saperne di piu' contattare: lupi@infol.it
oppure il foglio@infol.it. Pagine
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La redazione del Foglio: Andrea Panerini (Direttore Editoriale),
Massimo Gherardi (Direttore Responsabile), Gordiano Lupi (Capo Redattore),
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(Webmaster), Dalmazio Frau (Disegnatore), Daniele Gay (Disegnatore).
Redattori: Maurizio Maggioni, Lisa Mugnai, Fabrizio Manini, Daniela
Monreale, Maria Luisa Pacifici, Andrea Verdiani, Isabella Rinaldi, Peter
Russell, Filippo Mezzetti, Biagio Salmeri.
Corrispondenti: Anna Lena Foracchia (Reggio Emilia), Daniela Raimondi
(Londra), Miriam Bendia (Roma), Barbara Buchignani (Pisa), Luciano Somma
(Napoli).
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Vanessa
(Pubblicato nella VI Antologia di Racconti Alberto Renart,
Fundaçâo Cultural Cassiano Ricardo, Sâo Jose' dos
Campos, Sâo Paulo, 1993)
Nuoto in un pozzo fondo fondo, spaventevoso, dove sono
caduta, caduta da sola.
Via, non si avvicini: la mia unghia e' grande e posso infilargliela
in faccia senza esitare, anche senza volerlo! Sarebbe soltanto uno di
quegli impulsi che ho ogni tanto, soprattutto quando mi sveglio con
l'unghia dipinta di rosa chiaro; colpa di mia sorella Vanessa.
Siccome e' piu' giovane di me, vive intromettendosi nella mia vita ed
e' gelosa, perche' faccio delle cose che lei non puo' fare. Lei si preoccupa
dei miei colori e i miei colori sono stati sempre forti: rosso, viola,
marrone.
Sono venute bellissime! Le ho dipinte con grande attenzione per non
macchiarle. Mi sono addormentata proprio li' dov'ero, sdraiata all'incontrario,
ai piedi del letto; la mia figura attorniata da vetri di smalto aperti,
sparpagliati per terra. Quando ho guardato le mie mani, sono quasi caduta
in un pianto chiuso, e cosi' sono caduta, per la prima volta. Vanessa
le aveva dipinte di rosa chiaro ed io odio quel colore svanito, Vanessa!
Oltre il fatto d'essere rosa, erano completamente macchiate.
Dormendo mi giro su di loro e restano piu' brutte della bocca di Vanessa.
Lei e' cosi' piccola che ancora sta cambiando i denti.
Quando sono entrata all'improvviso in camera da letto, lei era davanti
allo specchio e, nel vedermi, si e' girata mostrandomi con esibizione
la bocca viola; una cosa terribile da pazza! La lingua, le gengive,
gli unici denti che ancora le restavano, tutto interamente violaceo.
- Vanessa sputalo sputalo ora, questo e' il mio colore, pazza, piccola
invidiosa!
Mentro lo dico, la sciocchina continua a guardarsi allo specchio ridendo
di me come una allucinata. Io, alle sue spalle, comincio a sentire una
vergogna dannata e vado via correndo, fuggendo da Vanessa. Non posso
rimanere a guardarla. E' orribile! Tutto viola; viola sull'occhio, sul
dente, nel cuore, e lei fa cosi' come se stesse dentro allo specchio.
"Voila la fille. Mauve, mauve" grido in sogno perche'
lei mi senta e mi svegli, e torni ad essere cio' che e'.
L'eco che viene del pozzo e' un'eco di pace, di riconciliazione con
Vanessa. Ai! Rituale unico di luce. Dipinto di Miro', fatalita'; quando
cade sul margine immondo di rose strappate dai denti. Il pozzo ne e'
pieno, di tutti i colori. Rose che consegno a Vanessa in una allegra
offerta. Sono le mie rose, le belle piantine che ho coltivato durante
tutto il tempo di permanenza in quel pozzo buio.
- Prendi cara, tieni la fine del gambo, qui non ci sono spine. Non bisogna
aver paura, so bene quel che ti dico. Ricordi quando ci hanno regalato
quel dipinto di Miro'? Papa' non voleva, ti ricordi? Diceva che un dipinto
di Miro' non stava bene in una stanza di bambine; che cosa ridicola!
La', circondata di profumate rose, restavo sempre zitta. Quando sono
caduta nel pozzo tenevo stretta a me la tua bambola nera di legno. Vanessa,
hai messo da parte l'altra meta' della mia bambola? Sono rimasta per
tutta la caduta a tenerle il braccio; volevo che mi proteggesse dal
pericolo, dal pericolo piu' crudele! Noi due eravamo in un nascondiglio
infausto, come animali. Ah! pazza cantilena di chiaro di luna ferma,
con la melodia balbettata in do maggiore! La luna stava cantando per
me. Tranquilla e sonnolenta, sentivo la luna. Era agonizzante sentire
quel suono bassino: mi rendeva nervosa, molto nervosa. Per questo sono
fuggita da quel suono, dormendo attaccata alla bambola di Vanessa; ho
dormito fino a stancarmi, fino a portare il sole in fondo al mio pozzo,
ancora li', sdraiata nel letto di rose. Vanessa, ho inventato un passatampo
quando tu non eri vicina per imitarmi. Eccolo: resto sdraiata nel mio
letto di rose e sembro una dea. Tengo il piede tra le due mani e dico:
"L'acqua passa, non passa, e se passera'?" L'acqua e' passata.
"Ammalatevi!" esclamavo senza volere (senza volere), perche' mentre
l'acqua passava, loro si ammalavano: "Questo e' malato, questo e' malato,"
ma a volte guarivano: "Questo e' sano, questo e' sano..." Basta! Non
voglio ricordare; non ho ancora lasciato definitivamente questo pozzo
dove nuoto in mezzo ad altre mille! "Mille cosa, chi?" mi avrebbe domandato
Vanessa. Non lo dico, non lo dico perche' altrimenti lei mi imiterebbe,
e costruirebbe un pozzo fondo fondo, vicino al mio. Bambina dal colore
di Iansâ [Orixa' femminile che governa venti e tempeste, donna
di Xango', n.d.a.], restituisci il tuo incubo alle acque fredde, gelide.
Vengo dal pozzo fondo, dalla Senna, dal Nilo, dal sole che sciogliendo
brillante mostra il lato. Quale lato? L'altro lato che ancora nascondeva
Vanessa? Un giorno le ho parlato del potere della nebbia. Ho detto:
- Guarda, con la nebbia i pesci scappano - ed e' cio' che avviene.
Il suo pesce preferito e' saltato fuori dall'acquario. E' stato il caos.
Tutta la famiglia si e' svegliata alle sue grida acute. Sei corsa in
cucina e l'unica cosa che hai visto per salvare il pesce e' stata la
paletta della spazzatura. L'hai fatta strisciare sul pavimento e hai
messo il pesce un'altra volta dentro l'acquario. Io, intontita dal sonno,
osservavo la scena. Il giorno dopo, che cosa ho fatto? Sono andata in
biblioteca per trovare la soluzione per la salute del suo amico rigato.
- Vanessa, metti il pesce ormai moribondo in un barattolo arrugginito
e lascialo li' dentro un giorno ed una notte gocciolandovi rugiada sopra.
Questo pesce ha bisogno di rugiada, perche' lui e' come un piccolo essere
annegato nella completa oscurita', quando tutti dormono...
Dopo molto rimandare, hai messo il pesce dentro il barattolo, nell'angolino
del muro dell'orto, vicino alla pianta del peperoncino. In un altro
barattolo, ugualmente arrugginito, l'acqua e cotone, come diceva il
libro. Nebbia sul cotone, durante un giorno ed una notte; per aiutare
il pesce. Perfetto! Lui tornava con i bronchi coperti di rugiada, e
tu ritornavi a sorridere, ancora senza denti. Mi sveglio gridando.
- Vanessa, ho avuto un incubo orribile; sono caduta in un pozzo fondo
fondo. Vanessa, ho sognato il tuo pesce e il mio drago immaginario (quello
per cui muoio d'amore) dentro il sole. Il mio drago era molto strano,
il suo occhio era tutto bianco, incolore; il tuo pesce spaventato cercava
di nascondersi dietro una pietra. Vanessa, loro avrebbero dovuto affrontarsi.
Sarebbe stata una lotta fatale. Ma perche', perche'? Il tuo pesce cosi'
piccolo, indifeso; il mio drago con gli occhi scoloriti, morti. Forse
tutto sarebbe stato meno spaventoso, se io avessi capito le ragioni
del drago. Vanessa, cara, ci voleva tanto per uscire da quell'incubo!
Era doloroso, crudele, peggio che cadere in un pozzo di abissale solitudine.
A un certo punto non si e' dimenato piu', ma e' rimasto ad aspettare
la fine. Ah, proprio lo stesso pesciolino che giorni addietro ti avevo
aiutata a salvare. Vanessa, il mio drago non l'ha fatto apposta.
Vanessa, chiede aiuto per me. Voila la fille. Mauve, mauve.
- Vanessa, ho mangiato fragole marcie. Miseria! Vanessa, dove sei? Mauve,
mauve.
(di Rosete de Sa')
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Perugia-Assisi
Duecentomila persone diviso cinquanta posti fa quattromila
pullman. Allegramente parcheggiati fra le piazze e i campi da calcio
e le strade e i parcheggi di S. Maria degli Angeli e delle falde di
Assisi, in allegro fermento e manovra d'incastro. Forse sono anche trecentomila,
i pacifisti, azzarda qualcuno; fatto sta, il serpentone umano si snoda
ininterrotto sin dal centro di Perugia e continua sempre, si espande
e invade strade e campi laterali, rientra fra gli argini, poi si allarga
di nuovo, per tutta la giornata di domenica 14 ottobre del 2001. Come
negli anni passati, quando i partecipanti pero' oscillavano fra i 50-100
mila. Ma quest'anno e' diverso (lo dicono tutti e dev'essere dunque
vero per forza), tutto e' cambiato. Da qualche altra parte. Qui lungo
la statale cambia che c'e' il sole che scalda troppo, siamo imbottigliati
a destra e a sinistra e siamo stretti. L'importante e' quel cenno dell'elicottero
blu dall'altro, la Statale la chiudono al traffico, la fiumana umana
e' libera con orgoglio e invade la carreggiata, due corsie piene di
slogan e colori e della gente.
La gente e' in pace e nonviolenta ed e' occupata a pestarsi i piedi
ed a cantare, ad ansimare e ad urlare, e a fischiare, e a ridere e raccontare
storie, barzellette sporche sugli aerei e i grattaceli; in un poster
patinato Bin Laden sodomizza il presidente Bush, e l'han detto alla
TV i politicanti: qui nessuno condanna gli attentati, e han ragione,
di CocaCola non ce n'e' nemmeno l'ombra, e le urla sono "Pace",
mai "Condanna" o chissa' cosa.
Ma prima le questioni piu' importanti, in marcia un padre cerca la figlia
perduta fra la folla, la chiama per nome ma e' impossibile; io cerco
una ragazza, una ragazza cerca il suo ragazzo. I colori delle associazioni
sono tavolozza mescolata, la rotonda all'inizio della Statale e' una
centrifuga di schieramenti, uguale alla lavatrice per i calzini sudati
di domani. Perche' qui in rotonda la Perugia Assisi si apre, non ha
sostegni, si allarga e ricerca posizione, poi si mescola e si confonde,
gli amici di Milano si dividono e si ritrovano con altri di Sicilia
per errore, i boy scout cantano Guccini fra i poster di Guevara, e Legambiente
e Cigl coi Gesu' finti e un po' impazziti sbraitano il corano. Di gente
schierata a destra o altrove, se ce n'e' non si fa vedere. E tutti per
ritrovarsi si telefonano. Duecentomila telefonini cercano di telefonare
ad altri duecentomila telefonini, e trovano occupato, la rete mobile
collassa, solo la speranza: la filiera d'alberi in collina, a Collestrada,
una pausa per pipi' e si riparte, e l'arrivo ad Assisi e' per ognuno
ad un'ora diversa, e c'e' chi non ci arriva proprio. Io varco il cartello
Assisi ed e' troppo tardi, niente pausa o Basilica Superiore. L'organizzazione
e' saltata. Giu' al pullman, presto, e non lo trovero' prima di altre
tre ore, a mezzanotte, e per me sono le tre ore quando diventa tutto
buio e crollano le forze. Gruppi spontanei di persone si coordinano,
c'e' chi si fa prestare una bicicletta per raccogliere la gente, c'e'
chi fabbrica cartelli e scrive Pavia, Milano, Cagliari o Barletta, quelli
che si ritrovano si prendono per mano, fanno cordoni e urlano: "Cadoneghe,
Cadoneghe!", e chi sa dov'e' Cadoneghe se li vede li saluta, li
abbraccia e quasi piange, e forse ha ritrovato il suo di pullman fra
i quattromila nello smog e in un caos da superstiti. Ma nessuno si perde
d'animo, siam tutta gente che ha viaggiato, bandiere e striscioni sono
ancora fieri, e per tutta la notte lo saranno ancora. Don Albino Bizzotto
coi Beati Costruttori di Pace ci aspetta al pullman tre della quindicina
partiti da Padova, lui sorride, ed e' finalmente la pace, io crollo
scomodo a dormire.
Non credete ai media, che vi dicono che la marcia era un po' stregata,
di partito, di facciata. Il messaggio era "Pace, per favore",
e a chi ci dira': "Potevate starvene a casa, a cosa e' servito
tutto questo?", risponderemo: "Lo sappiamo tutti che la pace
e' la cosa giusta; solo nessuno ci vuole ancora credere. A darti una
speranza, e' servita la Perugia-Assisi, deficiente".
(di Marco Tassinari)
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