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FARANEWS
ISSN 15908585
MENSILE DI
INFORMAZIONE CULTURALE
a cura di Fara Editore
1. Gennaio 2000
Uno strumento
2. Febbraio 2000
Alla scoperta dell'Africa
3. Marzo 2000
Il nuovo millennio ha bisogno di idee
4. Aprile 2000
Se esiste un Dio giusto, perché il male?
5. Maggio 2000
Il viaggio...
6. Giugno 2000
La realtà della realtà
7. Luglio 2000
La "pace" dell'intelletuale
8. Agosto 2000
Progetti di pace
9. Settembre 2000
Il racconto fantastico
10. Ottobre 2000
I pregi della sintesi
11. Novembre 2000
Il mese del ricordo
12. Dicembre 2000
La strada dell'anima
13. Gennaio 2001
Fare il punto
14. Febbraio 2001
Tessere storie
15. Marzo 2001
La densità della parola
16. Aprile 2001
Corpo e inchiostro
17. Maggio 2001
Specchi senza volto?
18. Giugno 2001
Chi ha più fede?
19. Luglio 2001
Il silenzio
20. Agosto 2001
Sensi rivelati
21. Settembre 2001
Accenti trasferibili?
22. Ottobre 2001
Parole amicali
23. Novembre 2001
Concorso IIIM: vincitori I ed.
24. Dicembre 2001
Lettere e visioni
25. Gennaio 2002
Terra/di/nessuno: vincitori I ed.
26. Febbraio 2002
L'etica dello scrivere
27. Marzo 2002
Le affinità elettive
28. Aprile 2002
I verbi del guardare
29. Maggio 2002
Le impronte delle parole
30. Giugno 2002
La forza discreta della mitezza
31. Luglio 2002
La terapia della scrittura
32. Agosto 2002
Concorso IIIM: vincitori II ed.
33. Settembre 2002
Parola e identità
34. Ottobre 2002
Tracce ed orme
35. Novembre 2002
I confini dell'Oceano
36. Dicembre 2002
Finis terrae
37. Gennaio 2003
Quodlibet?
38. Febbraio 2003
No man's land
39. Marzo 2003
Autori e amici
40. Aprile 2003
Futuro presente
41. Maggio 2003
Terra/di/nessuno: vincitori II ed.
42. Giugno 2003
Poetica
43. Luglio 2003
Esistono nuovi romanzieri?
44. Agosto 2003
I vincitori del terzo Concorso IIIM
45.Settembre 2003
Per i lettori stanchi
46. Ottobre 2003
"Nuove" voci della poesia e senso del fare letterario
47. Novembre 2003
Lettere vive
48. Dicembre 2003
Scelte di vita
49-50. Gennaio-Febbraio 2004
Pubblica con noi e altro
51. Marzo 2004
Fra prosa e poesia
52. Aprile 2004
Preghiere
53. Maggio 2004
La strada ascetica
54. Giugno 2004
Intercultura: un luogo comune?
55. Luglio 2004
Prosapoetica "terra/di/nessuno" 2004
56. Agosto 2004
Una estate vaga di senso
57. Settembre2004
La politica non è solo economia
58. Ottobre 2004
Varia umanità
59. Novembre 2004
I vincitori del quarto Concorso IIIM
60. Dicembre 2004
Epiloghi iniziali
61. Gennaio 2005
Pubblica con noi 2004
62. Febbraio 2005
In questo tempo misurato
63. Marzo 2005
Concerto semplice
64. Aprile 2005
Stanze e passi
65. Maggio 2005
Il mare di Giona
65.bis Maggio 2005
Una presenza
66. Giugno 2005
Risultati del Concorso Prosapoetica
67. Luglio 2005
Risvolti vitali
68. Agosto 2005
Letteratura globale
69. Settembre 2005
Parole in volo
70. Ottobre 2005
Un tappo universale
71. Novembre 2005
Fratello da sempre nell'andare
72. Dicembre 2005
Noi siamo degli altri
73. Gennario 2006
Un anno ricco di sguardi
Vincitori IV concorso Pubblica con noi
74. Febbraio 2006
I morti guarderanno la strada
75. Marzo 2006
L'ombra dietro le parole
76. Aprile 2006
Lettori partecipi (il fuoco nella forma)
77. Maggio 2006
"indecidibile santo, corrotto di vuoto"
78. Giugno 2006
Varco vitale
79. Luglio 2006
“io ti voglio… prima che muoia / rendimi padre” ovvero
tempo, stabilità, “memoria”
79.bis
I vincitori del concorso Prosapoetica 2006
80. Agosto 2006
Personaggi o autori?
81. Settembre 2006
Lessico o sintassi?
82. Ottobre 2006
Rimescolando le forme del tempo
83. Novembre 2006
Questa sì è poesia domestica
84. Dicembre 2006
La poesia necessaria va oltre i sepolcri?
85. Gennaio 2007
La parola mi ha scelto (e non viceversa)
86. Febbraio 2007
Abbiamo creduto senza più sperare
87. Marzo 2007
“Di sti tempi… na poesia / nunnu sai mai / quannu finiscia”
88. Aprile 2007
La Bellezza del Sacrificio
89. Maggio 2007
I vincitori del concorso Prosapoetica 2007
90. Giugno 2007
“Solo facendo silenzio / capisco / le parole / giuste”
91. Luglio 2007
La poesia come cura (oltre il sé verso il mondo e oltre)
92. Agosto 2007
Versi accidentali
93. Settembre 2007
Vita senza emozioni?
94. Ottobre 2007
Ombre e radici, normalità e follia…
95. Novembre 2007
I vincitori di Pubblica con noi 2007 e non solo
96. Dicembre 2007
Il tragico del comico
97. Gennaio 2008
Open year
98. Febbraio 2008
Si vive di formule / oltre che di tempo
99. Marzo 2008
Una croce trafitta d'amore
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Numero 59
Novembre 2004
Editoriale: I vincitori del quarto
Concorso IIIM
Questo Faranews è dedicato ai vincitori della quarta
edizione del Concorso IIIM. I giurati
Andrea Campanozzi, Angelo Leva, Luciana Costi, Martino Baldi, Rosa Elisa
Giangoia e Fara Editore hanno premiato le seguenti opere (un grazie
sentito alla giuria e a tutti i partecipanti):
Primo classificato Alessandro
Hellmann (nato a Genova e residente a Roma) per il racconto Cavedani
e la poesia L'aria buona
con la motivazione visibile qui
Secondo classificato Donato
Mazzali (Milano) per il racconto Il figlio
della medium e la poesia La carne,
l'acqua e l'aria che le manda in giro con la motivazione
visibile qui
Terzo classificato Elia
Scanavini (nato a Milano e residente a Pegognaga) per il racconto
Autunno e la poesia L'altro
io con la motivazione visibile qui
I vincitori vincono libri rappresentativi dell'attività
editoriale Fara: 15 al primo, 10 al secondo, 5 al terzo.
Sono stati inoltre segnalati per la pubblicazione in Faranews,
con le i seguenti motivazioni, gli autori:
Corrado Giamboni (nato
a Roma e residente a Porto Mantovano): La storia del cane è esilarante,
sebbene lo scrittore non riesca a domare perfettamente la sintassi o,
per meglio dire, in lui si nota una certa “mancanza di fiducia”
nella propria capacità di esplicazione verbale. L'espressione
“cane-precedentemente-umano” è bellissima. La digressione
sul “cane della vita” è piacevole e ben scritta,
con qualche stranezza stilistica che trae fuori dalla realtà
la figura del cane non solo come bozzetto ma quasi come figura del destino,
dotata di non poca enigmaticità. Notevoli i due versi finali
“C'è magia nella notte”, “È nel
cielo che fugge”.
Milvia Comastri (nata
a Bologna e residente a Igea Marina): Ci fa entrare insieme nel turbine
dei suoi sogni con una grande capacità di modulare il lessico
e le immagini, senza mai strafare né farsi prendere la mano e
"sbroccare" in eccessi semantici e sintattici… come
iperboli, anacoluti o termini altisonanti o desueti… che danno
la sensazione di una patina stucchevole avvolta sul testo). In questo
caso l'autore ha controllato tutto con grande misura, e la circolarità
del racconto ci fa ripiombare nell'atmosfera da incubo “labirintico"
tessuto con le parole.
Gloria Venturini (Lendinara,
RO): Racconto di riflessione e di emozione, che tenta una trasfigurazione
di eventi cronachisticamente ricorrenti in una dimensione idealistica
e onirica. Linguaggio efficace e funzionale all'impianto narrativo.
Poesia di tensione interiore, efficace nella concentrazione espressiva.
Chiara Nobilia (Subiaco,
RM): prosa e poesia dirette. Forse soprattutto la poesia: c'è
tensione anche in una pasta al pomodoro, negli spaghettini. Allora basta.
È una poesia su cui si rimane senza letterarietà o idee
sulla vita o sull'anima. È cruda, è un taglio, senza dire
ferita, senza dire sangue ("era più pomodoro che pasta").
La prosa… è bello lo sguardo, quello che non si sa di ciò
che comunemente si legge. Il fatto di non avere interpretazioni, sentimentalità,
chiusure dolci, ovvietà a buon mercato. La vita ha più
ragione e rispetto quando è cosi, quasi povera e non conoscibile
per massimi sistemi.
Laura Giuliangeli (Roma):
Racconto lineare, didattico con sapori d'infanzia, con assonanze
del quotidiano faticare. Come in Calvino, i personaggi sono ben delineati,
riconoscibili, privi di significati nascosti a letture superficiali.
La morale è nel contorno: la natura che mostra sentimenti e reazioni
umane, l'uso negativo di risorse e mezzi potenzialmente positivi
naturalmente neutri, strade brulle come sineddoche di una vita difficoltosa.
Il mostro mangia la parte più importante e nobile e sparito lui
sparisce la foresta, parte dell'anima. Ritmo perfetto, finale
intuibile, lettura scorrevole. È tuttavia un quadro di Brueghel,
nell'insieme festoso nasconde i particolari che sotto la lente
d'ingrandimento si svelano mostri. Il canto poetico è organico
all'insieme del racconto e la rima è un tocco pregiato.
Valentina Mannone (nata
a Torino e residente a Moncalieri): Il racconto tratta temi importanti
come l'incapacità-impossibilità a essere genitori, la
vendita di un bambino, l'irrealizzazione dei propri desideri, l'alcolismo,
la morte. La lingua alterna momenti buoni a scivoloni ("Scattando
e isterica strappava a se stessa falsi sorrisi cedendo a vortici lacrimosi
e spiragli fragili di felicità.") ma tutto il racconto è
teso, è un unico plesso di dialoghi e descrizioni che porta giù
fino alla fine, o fino a quella curva dove i protagonisti troveranno
la morte. Emozionante.
La poesia, pur rimestando nei luoghi comuni, ha bei versi come: "Prima
gesso sotto i piedi, / ora gesso nelle vene."
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Opere
vincitrici
I cavedani
(Alessandro
Hellmann I classificato)
D'estate da ragazzini si partiva da Saliceto con
un secchio e una rete a catturare i cavedani in qualche torrentello.
Restavamo per ore appollaiati sui sassi, a parlare di niente, intenti
a cogliere un guizzo in quello sputo d'acqua, sotto il sole a
picco. Ricordo l'odore delle alghe secche. Anche oggi, le rare
volte che mi capita di tornare ancora al paese, riconosco in quell'odore
il profumo dei miei dodici anni. E riconosco le voci dei vecchi, le
crepe sui muri, la strada che si fa sterrato, i sassi. Basta così
poco, in un giorno come questo, per morire di malinconia...
Mia moglie mi sfiora i capelli con la mano, quasi una carezza, e accenna
un abbraccio, di una tenerezza dimenticata, annegando il viso tra il
mio braccio e la spalla. Lei non sa dei cavedani. Non sa di quando li
gettavamo nel secchiello pieno d'acqua velenosa del Bormida che
viene giù dall'Acna di Cengio e stavamo lì a contare,
con l'innocente cinismo dei bambini, fino al momento in cui avrebbero
voltato al cielo il ventre argentato. Uno, due, tre, quattro, cinque...
In piazza, davanti alla chiesa, c'è già qualcuno
ad aspettare.
“Forse non ti ricordi di me, ma io ti ho visto nascere... Eravamo
sempre insieme io e il tuo papà!”
È un uomo piccolo, magro, la testa ossuta e il volto scavato
come il greto di un fiume. Mi stringe forte l'avambraccio, come
volesse – in quella stretta – raccontarmi una storia lunga
una vita.
Poi altri volti, altre voci, altre parole.
“Diceva di aver messo da parte qualche cosa per ricomprare la
terra.”
Il cavedano disegnava gli ultimi cerchi nervosi in quell'acqua
che non era più acqua. Acqua rossa. Acqua malata. Uno, due, tre,
quattro, cinque...
“Un uomo così forte... Il male se l'è portato
via in due mesi.”
Fa così caldo qui, quasi non si respira. Entro in chiesa e per
un attimo è come immergersi in un'urna fresca di acqua
corrente e pietre vive. La ricordavo più grande. Chissà
perchè in momenti come questi la mente tende a sfuggire al presente
e al corso ineluttabile delle cose: così capita di sorprendersi
concentrati su pensieri e osservazioni banali, come le dimensioni di
una chiesa o il colore di un abito, o di perdersi in un abbraccio di
ricordi tanto lontani da sembrare parte di un'altra vita.
I cavedani grandi erano i più difficili da prendere. Si nascondevano
sul fondo delle pozze, dove l'acqua è più alta.
Erano anche i più diffidenti, sempre pronti a guizzare sotto
le pietre o tra le alghe al minimo movimento. Bastava un riflesso sulla
superficie calma dell'acqua a metterli in allarme, un breve contatto
del nostro mondo con il loro. La vita gli aveva insegnato qualcosa.
Eppure anche loro, prima o poi, sarebbero finiti nella rete o presi
all'amo. Era solo una questione di tempo, di attesa, di pazienza.
Anche quelli, alla fine, li si poteva prender per fame.
Ci sono due corone di fiori. Una carezza di colore contro il marmo dell'altare.
“I figli e i nipoti”. “L'Acna e i colleghi tutti”.
Ma non è più il tempo delle parole, perché ogni
parola, ormai, ha la misura del silenzio. Salirà come un cancro
dalla gola e si fermerà, fredda, sulle mie labbra. Saprà
di fenolo. Saprà di sangue.
Penso ancora ai cavedani e vorrei chiedere scusa ad ognuno di loro.
Questi sono i ricordi del giorno in cui ho salutato mio padre, il suo
corpo gonfio nel vestito della domenica, disteso sul dorso. Il ventre
al cielo, come un cavedano.
L'aria
buona
(Alessandro
Hellmann I classificato)
Non ne ricordo
il sapore in gola
e il colore negli occhi
ma forse anch'io
un giorno
ho respirato
l'aria buona
sciogliendo
l'anima magra
nell'azzurro.
Alessandro Hellmann,
classe 1971, ha all'attivo svariate pubblicazioni nell'ambito
della musica leggera in veste di cantautore e autore. Le sue poesie
sono state pubblicate dalle più importanti riviste letterarie
italiane (Prospektiva,
Poeti e Poesia, Punto
di Vista, Orizzonti,
Omero).
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Il
figlio della medium
(Donato Mazzali II
classificato)
Sua madre aveva compiuto novantun anni ed era ancora incredibilmente
bella. Al posto del sangue aveva nelle vene la clorofilla di una sequoia
americana. Lei aveva detto: "Ho sentito papà, ieri sera".
Lui l'aveva fissata duramente. Poi con rabbia aveva vomitato la
verità: "Papà è morto". Lei lo aveva
guardato stupita: "Perché dici così?"
Se ne era andato nella sua stanza ma prima che avesse fatto in tempo
a chiudere la porta era entrata la verità di lei: "Lo sai
che sono una medium". Già, una medium.
Sicuramente sua madre non era una donna comune. A sessant'anni
lo aveva partorito. Nove anni più tardi, in un chiaro giorno
di primavera, suo padre aveva lasciato, come un costume di scena, il
suo vecchio corpo su una panchina del parco. Lei invece aveva continuato,
con allegra noncuranza a beffare la morte. I bambini lo avevano messo
in croce per quei genitori che lui non chiamava nonni. È così
che aveva iniziato ad odiare tutti quanti e il tempo lo aveva reso nervosa
carne sempre in sospetto di un agguato. La morte di suo padre era stata
quasi un sollievo. Alla gente diceva di esser stato adottato. Poi un
giorno lei gli aveva comunicato che parlava con gli spiriti. Sua madre
era solo vecchia o anche sciocca?
Ben presto un misterioso andirivieni nel loro appartamento era stato
notato dal palazzo e lui aveva capito di essere diventato un sorvegliato
speciale. La presenza di estranei in casa non lo aveva disturbato. Quelli
credevano alle buffonate di sua madre e quando li incontrava sull'uscio
lo facevano sentire importante con le loro occhiate riverenti. Lo infastidiva
invece il disagio sulle facce degli inquilini. Salutavano frettolosamente
timorosi di beccarsi un sortilegio. Col tempo ci aveva fatto l'abitudine
e a volte si era perfino divertito ad apostrofarne qualcuno con frasi
dal senso oscuro. Nessuno lo prendeva più in giro ora.
Avrebbe voluto andare a vivere per conto proprio ma c'era pur
sempre sua madre. Lei rifiutava solennemente il denaro dei suoi beneficiari
ribattendo che era in missione per conto di Dio. Non sapeva se lei avesse
mai visto The Blues Brothers. Lui metteva in casa tutto lo stipendio
e, mentre sua madre chiacchierava con i suoi fantasmi, faceva la spesa,
pagava le bollette, puliva il bagno, metteva nel microonde la cena.
Non aveva amici veri e propri tanto meno la ragazza. Aveva deciso che
avrebbe aspettato il giorno in cui lei fosse morta.
Sua madre aveva aperto la porta e lo aveva guardato con quel suo sguardo
per metà affabile e per metà preoccupato: "Papà
dice che ci vuole bene e che ci è sempre vicino". "Ah,
sì?" aveva risposto lui: "E quando torna a casa?"
Lei aveva lisciato le pieghe del golfino di alpaca che indossava come
se non ci fosse altro da fare. Poi lo aveva guardato intensamente. Lui
non sopportava quella storia della medium anche nel privato. Quella
finta vita oltre la morte. Improvvisamente sua madre si era distesa
sul letto accanto a lui e gli si era rannicchiata contro: "Abbracciami,
tienimi con te". Lui confuso l'aveva circondata goffamente.
Sentiva il respiro muoversi dentro quell'esile corpo che aveva
attraversato quasi tutto il secolo. Ora, trasmutato in sostanza vuota
ascoltava la sua voce parlare con il tono baritonale di suo padre: "Com'eri
da ragazza?". Lei aveva risposto teneramente: "Te l'ho
già detto tante volte". Le aveva preso la mano ossuta e
aveva guardato le vene azzurrine e sporgenti che portavano il battito
vitale continuamente dal cuore a tutte le periferie del mondo che era
lei. Sua madre piangeva piano sul suo petto.
Lui disse: "Non avere paura. Andrà tutto bene."
Lei rispose quieta: "Sì, papà."
La
carne, l'acqua e l'aria che le manda in giro
(Donato Mazzali II
classificato)
Ho questa carne che mi sposta in là come nave sull'oceano
ho questa anima che vaga insieme ad essa cercando un approdo
Molti volti riposano come conchiglie in un cassetto
altri sono api laboriose sul fiore generato dalla bianca radice del
mio cuore
Molte creature sono entrate e sono uscite da me
tra ieri e oggi il vento non le ha mai fatte tornare
Io sono stato in nessun posto
fino a quando me ne sono andato
Avrei voluto raccontare una storia ma ho dormito
e ho sognato di dimenticare
Domani sarò vecchio e una qualsiasi innocenza
sarà il mio libero e nuovo andare
"Ho conseguito l'attestato di grafico pubblicitario
e il diploma di maturità artistica. Ho lavorato per anni come
grafico, illustratore e web designer. Grazie alla teoria del neoliberismo
economico e alla deregolamentazione del mondo del lavoro oggi sbarco
il lunario consegnando la spesa a chi la ordina sul web. Senza assunzione
ne garanzia di alcun genere, s'intende. Non sono sposato, non ho figli.
I miei interessi comprendono la letteratura, il cinema, il fumetto e
la musica."
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Autunno
(Elia Scanavini III
classificato)
Ormai non mi impressionavo più. Vedere quelle case
rovinare in un cumulo di mattoni, coppi e legna marcia, mi riempiva
di tristezza ma non mi turbava più.
Fin da bambino giocavo a schivare i buchi lasciati dalle mattonelle
rotte, tra un travetto e l'altro, nel deposito di farina di granaglie.
Quello sì era un edificio vecchio. Era giusto di fronte a casa
mia. Massiccio e imponente costituiva il corpo di fabbrica più
grande di tutta la corte e oltre alle varie farine per gli animali,
c'erano accatastate una quantità di cianfrusaglie veramente
incredibile. In sostanza, per delle corti così grandi quegli
edifici costituivano dei veri depositi, non solo di attrezzi e utensili
per la campagna e l'allevamento, ma di ogni arnese e ferro del
mestiere che poteva servire la quotidianità della vita contadina:
tutto il necessario per ogni tipo di manutenzione o riparazione. La
ragione di questo accumularsi era una diretta conseguenza del fatto
che non veniva mai buttato via nulla: tutto poteva essere aggiustato
o modificato per essere poi sfruttato per qualche utilizzo affine.
Allora capita ancora oggi che sotto tetti crollati su solai ormai disabitati
si trovi ogni genere di richiamo al passato. E un senso di malinconia
avvolge tutto e spazza via la poesia di un mondo ormai dimenticato,
che non ci appartiene più.
Io e altri siamo nati in questo limbo di nuovo che avanza a stento e
di vecchio che tenta di rimanere a galla. Siamo stati marchiati da questa
origine ibrida, una mescolanza priva di un vero stampo distintivo. Un
territorio dai confini dettati dagli argini di fiumi e canali. Luogo
di passaggio dove chi transita non è mai invogliato a fermarsi.
Crescere in un ambiente del genere è difficile. Non si riesce
a vedere l'orizzonte di un possibile miglioramento. Tutto è
scritto e prestabilito. Sei nato in campagna, sei destinato alla campagna.
Ma poi succede che ti imbatti in persone che questo passato lo vivono
ancora. Sono lì, in carne ed ossa che ti sbattono in faccia la
loro vita fatta di espedienti. Gente che la televisione non sa neanche
cos'è, gente che vive di rapporti interpersonali con galline,
vacche e capre; gente che mangia uova, formaggio, latte caldo appena
munto e insalata selvatica raccolta sul rivale di un fosso, gente che
non pesa sulla società. Gente che non urla e che si beffa di
tutti noi, alla salute delle nostre bollette da pagare e delle nostre
malsane tribolazioni.
Qui sto imboccando una strada difficile: quella
che obbliga a fare
qualche passo indietro piuttosto che avanti.
Quella stessa gente muore e nessuno per giorni se ne accorge.
Perché così si muore in natura.
Ogni volta che cadono le foglie sento i pensieri che si arrampicano
a testa in giù. Sembrano scavare e non riesco a domarli. Cercano
forse un riparo sotto quelle foglie.
L'altro
io
(Elia Scanavini III
classificato)
Ascoltare le note mi trasporta
Sono tante volte viaggi voluti
Non so perché ne senta il bisogno
A volte ho bisogno di ricordare
A volte ho bisogno di piangere
Poter ricordare è un grande dono
Poter piangere è un grande dono
Ho scoperto più forte, ciò che traina la mente
Lo spostamento d'aria di un treno in transito
Ha l'effetto fisico del vento ma la potenza del suono
Non sposta me, ma sposta me
Non sposta me, ma sposta me
"Non ho mai amato leggere, anzi direi che lo odiavo
e odio leggere. Poi ho conosciuto i Massimo Volume a metà degli
anni Novanta. Il cantante, Emidio Clementi, scriveva i testi delle canzoni.
Fu il legame con lui che mi spinse a leggere. A me sembrava quasi che
leggere fosse qualcosa da ricchi, da borghesi. Io non lo ero e facevo
dell'altro. Ho cominciato ad apprezzare la lettura di scritti
di persone che mi erano vicine. Quelli avevano un senso. Il mio tempo
impiegato per loro non era sprecato. Cominciai a scrivere quasi per
gioco. Le prime cose che mi venivano in mente. Sono pubblicati due miei
scritti nelle edizioni 2003 (La vita) e 2004 (Finali)
di VERBAMARKET – Vetrina ad uso di giovani scrittori mantovani,
un'iniziativa di Grilliperlatesta
/ Avamatta. Inoltre è
apparso un mio scritto sulla rivista “Laciodrom – Buona
strada” n° 11 (Perché amministrarli? I giovani
vanno vissuti), sul tema politiche giovanili. Ho scritto inoltre
un libro dal titolo Frammenti
– dal c.s.a. Kà del Diavolo alle Officine Fluviali,
la cui bozza presentata al concorso Pubblica
con noi 2003 ha meritato la segnalazione della giuria e sarà
pubblicato da Prospettivaeditrice."
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Opere selezionate
C'è qui questo cane (Corrado
Giamboni)
C'è qui questo cane che viene tutti i giorni a
trovarmi, si ferma in un angolino, sta fermo e mi guarda. Un cane di
taglia media, resta lì un dieci-quindici minuti, mi guarda, non
so, comunque tutte le volte che gli passo vicino mi fissa proprio come
fanno i cani, quasi come ad aspettare un mio segnale, poi mi segue col
muso spingendolo un po' in avanti, con un fare anche un po' beffardo
e non solamente da semplice cane, ma piuttosto da cane-precedentemente-umano
(in una vita precedente intendo dire), o comunque da cane-anziano-che-ne-ha-già-viste-tante.
E io, se è davvero così, da parte mia non è che
gli possa dare o dire più di tanto, ma comunque in qualche modo
si vede che lo attraggo e che gli sono simpatico, visto che continua
a fissarmi quando passo o anche quando sto fermo qui davanti, e questo
mi fa piacere ma mi imbarazza anche un po'. E' imbarazzante essere presi
di mira da un cane, mi viene da pettinarmi, da mettermi a posto mentre
sto per passargli davanti o semplicemente mentre mi guarda che sto fermo
qui davanti, neanche fossi una bella figa… che cos'hai da guardare?
Non mi sembra neanche anziano come cane. Ha il muso simpatico però…
altrimenti non mi lascerei mica guardare così.
Ma la cosa veramente strana è che questo cane forse lo vedo solo
io, e un po' per la reticenza a parlarne in giro, un po' perché
sta lì troppo poco, devo ancora verificare se si tratta per così
dire del mio cane, oppure se mi sto facendo dei viaggi che potrei risparmiarmi.
Dicono che quando uno ha trovato il suo cane, qualcosa di importante
nella sua vita si stabilizza per prendere finalmente e definitivamente
forma, il cane gli dirà qualcosa che solo lui sarà in
grado di comprendere e che bisognerà capire bene perché
non verrà ripetuta. Ogni persona racconta una storia ma non lo
sa, dice la canzone della Mannoia, e il cane aiuterà la sua persona
a trovare la propria strada. Dopo di che se ne andrà svoltando
l'angolo e da quel momento non si farà più vedere, e la
vita, resa più stabile dalla nuova consapevolezza acquisita,
potrebbe però entrare in una fase discendente, non in termini
di tempo ma di qualche altra cosa che forse si potrebbe definire realizzazione
dell'inedito. Cioè, da quel momento le cose nuove che facciamo,
i pensieri nuovi che abbiamo, i gesti d'amore, le attenzioni, lo stupore
potrebbero diventare sempre meno, finché noi alla fine non saremmo
che la ripetizione esatta di noi stessi, esatta e prevedibile, e nulla
potrà più meravigliarci e noi non potremmo più
meravigliare nessuno: praticamente morti.
Per questo motivo ciascuno di noi aspetta il suo cane con una certa
ansia non scevra di apprensione. A me la parola scevra mi è sempre
piaciuta, anche se la uso poco.
Molti il proprio cane l'hanno già incontrato – non c'è
un età stabilita – ed esso ha potuto comunicargli cose
importanti per la loro storia. Molti però non l'hanno riconosciuto,
e questo è drammatico: avere vissuto senza aver riconosciuto
il proprio cane, e quindi senza avere saputo che cosa aveva da dirci.
Che comunque gli incontri che ti cambiano la vita, se ci fai caso, avvengono
sempre in circostanze differenti da quella che ti saresti aspettate.
E comunque no, secondo me mi sto facendo troppi viaggi dovuti al caldo,
semplicemente questo cane normalissimo se ne sta lì per i casi
suoi e si rilassa. Se fosse un umano e fumasse si farebbe una sigaretta,
una pausa. Semplicemente un abitudinario. I cani lo sono, i gatti meno,
a quel che so.
***
- C'è magia nella notte.
- È nel cielo che fugge.
(SENTINELLE)
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Labirinti (Milvia
Comastri)
Sogni. Sogni ad occhi aperti sogni nel cassetto sogni
ricorrenti sogno o son desto la vita è un sogno sogni di gloria
i sogni muoiono all'alba sogni infranti sogni da interpretare
dalla cabala al lettino denti patimenti mare madre sogni allegorici
sogni leggeri di bambino con risate come cascatelle sogni evanescenti
sogni che sono incubi sogni ambiziosi io ho un sogno i have a dream
dormire sognare morire forse sogni profetici sogni di santi di eroi
di naviganti sogni fuori rotta.
Sogni di un pazzo
Il mio, di sogno, qui, in questa stanza con croci alle finestre, su
questo letto stretto e bianco, con gli acidi odori dei medicinali, con
i passi felpati che si aggirano intorno e chiaroscuri e grida da altri
chiamati follia. Il mio, di sogno, che si dilata da questo dormiveglia
inciampante indotto da piccole pillole tonde.
Cammino in una strada piana, la luce è abbacinante, un sole bianco
è fissato in un cielo basso che mi schiaccia. Non vedo nessuno,
ma so che non sono solo, so che dalle finestre chiuse di palazzi piramidali
occhietti sferici mi osservano, sento il sibilo maligno dei loro sguardi.
Mi accorgo con orrore che non ho vestiti e il mio corpo nudo si ripiega
a terra, con le unghie comincio a grattare l'asfalto per scavare
una buca a nascondere la mia vergogna. Ma non asfalto trovano le mie
dita tremanti ma acqua e mi immergo in quella limpidezza, e rido e rido
mentre verso di me nuota un delfino azzurro. Mi sfiora e ha pelle di
seta, e sono felice, ma capisco che quello è solo un sogno e
ancora mi ritrovo in quella strada con le piramidi di acciaio e vetro
e c'è gente in marcia che mi viene incontro e mi circonda.
E hanno maschere bianche sui loro volti, e gli occhi sono nere foglie
lanceolate. Bengala colorati scoppiano in cielo ed ho paura ma anche
mi affascinano quelle vivissime tinte che esplodono vicino al sole.
Le maschere si sciolgono sui volti delle persone a me intorno, e riconosco
i miei compagni di stanza, e il dott. Cenni e l'infermiera Danieli
che mi si stringono addosso sempre più minacciosi. Poi le finestre
dei palazzi si spalancano e mi illudo che qualcuno si affacci e mi aiuti,
ma dietro quelle finestre non c'è nulla, solo bui rettangoli
opachi. Grido, ma la bocca spalancata non trasmette suoni ed il terrore
e la frustrazione mi sovrastano. E mi sovrasta la gente e mi schiaccia
e non ho più spazio per me, mentre tutti insieme gridano tu sei
un numero, un numero, un numero e l'eco va e ritorna e rimbalza
lontano e ritorna. Poi ecco come niente sono in un altro luogo, un prato
con fiori colorati e grandi, una salita davanti a me, e tu in cima,
che mi tendi la mano, ma te ne stai immobile, avanzo e i fiori mi sorridono,
le corolle lievemente piegate, con un atteggiamento di benevolenza.
Avanzo, lo sguardo fisso su di te, salgo, che fatica, mi arrampico,
ma la tua immagine diviene sfocata, stai diventando trasparente, ti
confondi sempre più con il cielo. Ancora l'esplosione dei
bengala colorati, e mi fermo incantato ad ammirarli. E non mi accorgo
che la salita è finita, e che al di là c'è
un baratro infinito e so che precipiterò. Ho paura e grido.
Una mano mi scrolla.
“Un altro brutto sogno?”
Riemergo in un acre bagno di sudore, il cuore che mi martella nel guscio
che ancora chiamano corpo.
Sogno, realtà, cos'è più confuso per me?
Cosa più crudele? L'algida razionalità del sogno
o lo slittamento della mia folle mente?
Sogni. Sogni ad occhi aperti sogni nel cassetto sogni ricorrenti…
Igea Marina, 19 marzo 2004
Testo di riferimento: “Doppio sogno” di Arthur Schnitzzler
Vita (Milvia Comastri)
Tace ora il vento.
Nel silenzio improvviso
non più rumori,
ma spazio vuoto
di sibili e fruscii
e acute voci di prefiche dolenti.
Riposa il bosco nell'attesa
sospesa
d'altre ferite.
Igea Marina, 14 febbraio 2004
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Ai bordi della vita (Gloria
Venturini)
Ai bordi della strada, in un'ora morta del giorno, un
bambino viene abbandonato da una madre troppo giovane, troppo egoista
per amarlo. Per il padre è stato solamente il piacere di una
notte, niente di più.
Ai bordi della strada, vicino ad un cassonetto, avvolto da un asciugamano
insanguinato, ora c'è un bambino rinnegato.
Un'automobile fugge veloce, senza rimpianti, senza esitazioni, neppure
una lacrima, solo un problema risolto.
Il bambino sorride all'azzurro del cielo, un alito di vento lo accarezza,
in quel caldo pomeriggio d'estate. Agita le sue minute gambe e con le
piccole manine sembra salutare il sole abbagliante ed afoso.
Nel volto una serenità senile, un'espressione gioiosa, sconosciuta
alla gente.
Le cicale sono le uniche compagne del piccolino, gli cantano una dolce
ninna nanna, e lui, s'addormenta. Il giorno lascia il posto alla notte,
mai un tramonto così tenue aveva colorato l'orizzonte.
La luce brilla negli occhi del bambino, che avvolto dalla meraviglia,
è incantato dalle bellezze del mondo. Giunge la notte, le stelle
con il loro scintillio lo cullano e nel cuore infante, ignara vibra
la poesia più bella dell'infinito.
L'aurora apre la porta al nuovo giorno. Il bimbo rivolge gli occhi al
cielo amico, senza sapere che la sua piccola vita si sta spegnendo.
Non ha pensieri, sente solo i morsi della fame e il calore insopportabile
del sole. Piange e si agita con le ultime forze rimaste.
Le cicale cantano, l'azzurro del cielo sovrasta sereno, e piano piano,
il bambino chiude gli occhi e si addormenta per sempre.
Non ha capito la vita, l'ha osservata solo per un momento.
Quando l'indomani gli uomini della nettezza urbana lo trovano, nonostante
il ghiaccio che gela le loro vene, si addolciscono nello scorgere un
beato sorriso tra le piccole labbra; lui rideva ancora al cielo.
Le sue piccole braccia sono abbandonate in una dolcezza infinita, che
nessun adulto potrebbe mai provare. Con il cuore dilaniato da una ferita
senza storia, con l'animo a pezzi, con le lacrime che scendono impotenti
dagli occhi, l'uomo culla il bimbo, come fosse stato suo figlio, come
non ha mai fatto la madre.
L'autoambulanza arriva, per dare un giusto valore a quella piccola vita
stroncata.
Il cielo è azzurro, il sole risplende, le cicale cantano, poco
più in là, bambini giocano gioiosi sul prato.
Ai bordi dei giardini celesti, un angelo prende tra le braccia il piccolo
abbandonato, ora non ha più fame, ora non ha più caldo,
ma sorride ritrovando il celeste nello sguardo dell'amico divino.
Ai bordi della vita la luce dell'anima vola serena con ali di cristallo.
Il gelo dentro (Gloria
Venturini)
Un sogno -
in bianco e nero,
un silenzio -
di lacrime di carta.
Una vita incrinata -
pronta a disilluderti,
un velo di nebbia
ammaestra l'anima -
al gelo.
Dentro -
un mare in bufera,
da far tacere.
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Lui, Lei e il Bambino in braccio
(Chiara Nobilia)
Lui sta lavorando: fa il poliziotto, perché se no che ti metti
a fare. Oggi ha la barba lunga. Lui guida e il collega affianco parla
di qualcosa.
Lei: anche lei sta lavorando. Non le piace quello che fa, non le piace
il posto, non può stare a preoccuparsi di questo.
Madonna quanto fa caldo: Lui suda con la schiena contro quel sedile
nero, e la camicia della divisa è troppo pesante.
Anche Lei sta sudando; meno male che tra un po' smetterà
e potrà andare a prendere in braccio il suo Bambino. Chiude gli
occhi e pensa Dai solo un altro po'.
Lui e Lei: vite che oggi strusceranno forte una sull'altra.
Il collega adesso sta dicendo che proprio non gli va di andare a perlustrare
il mattatoio comunale: è quasi ora di staccare, e poi che cazzo
ci può stare in un mattatoio.
Quello che ci può stare lo trova Lui: immondizia; affianco una
culla; a venti metri una femmina come Lei,
che ancora suda,
che dopo un po' di secondi si ferma,
che pensa E adesso mio figlio.
Il giornalista riesce ad essere lì verso le cinque e tre quarti,
mentre Lui e Lei tengono a turno il Bambino in braccio, mentre il collega
di Lui si lamenta al cellulare di questi stronzi dei giornali, che arrivano
sempre tardi, e poi magari fanno giusto poche righe.
Infatti.
“[…] I poliziotti hanno immediatamente avvisato il magistrato
al quale hanno raccontato quello che era accaduto. La madre in minigonna
appartata con un cliente anziano, e il neonato esposto al caldo e vicino
l'immondizia. Per la donna è scattata una denuncia per
abbandono di minore. Il piccolo ha soli 11 giorni e quindi non è
possibile allontanarlo dalla madre. In futuro, però, la donna
potrebbe essere separata dal figlio.[…]” («Il Messaggero»,
domenica 4 luglio 2004, Cronaca di Roma, p. 34)
Venerdì all'una e mezza (Chiara
Nobilia)
Ho rotto il rapporto con te
e poi sono tornata a casa,
e mi sono fatti gli spaghetti pomodoro e basilico.
Erano spaghettini,
e ci ho messo il basilico fresco che ho preso sul balcone.
Era più pomodoro che pasta.
Gli spaghetti non me li faccio mai:
non li so arrotolare.
Tu,
non sai arrotolare me.
E allora basta.
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Un bocconcino prelibato
(Laura Giuliangeli)
Il Poeta, il Politico, il Mercante, il Soldato e il Re
camminavano nel bosco da tanto tempo che non ricordavano quando avevano
cominciato o dove fossero diretti. Spinti da un inspiegabile impulso,
avanzavano nel buio denso degli alberi che respiravano pesantemente
sopra le loro teste e impedivano quasi del tutto il passaggio dei raggi
solari. Il terreno, nascosto da muschio e foglie morte, era umido e
molle, i piedi vi affondavano sgradevolmente fino alle caviglie e spesso
rimanevano incastrati in buche profonde formate dalle enormi radici.
“Se avessi un'arma potrei abbattere questi alberi ostili!”
disse il Soldato, e subito la vegetazione circostante emise un sospiro.
“Se avessi i miei uomini, ordinerei loro di bruciare tutta la
foresta!” esclamò il Re, e il respiro tutto intorno divenne
cupo.
“Se avessi i miei soldi, pagherei qualcuno per aprire un varco
in quest'orribile selva!” disse il Mercante, e il fiato delle
piante si fece affannoso.
“E io,” disse il Politico, “darei parte del mio potere
a chi mi aiutasse a radere al suolo quest'inutile bosco!”
Gli alberi tremarono, poi trattennero il respiro ed aspettarono, ma
il Poeta non disse nulla.
La foresta, ora, era diventata tanto fitta da costringere gli uomini
ad avanzare lentamente in fila indiana; saltarono le squallide radici,
spezzarono i rami che si protendevano minacciosi verso di loro, si arrampicarono
sui corpi degli alberi morti finché, infine, la flebile luce
cessò del tutto. Nell'impenetrabile oscurità si
avvertiva il fruscio del vento fra le foglie, e il sinistro ansimare
delle piante sembrava quasi un gemito malinconico. Improvvisamente,
un bagliore squarciò le tenebre e dalla luce fredda e bianchissima
emerse un essere orribile, formato solo da una gigantesca testa rotonda,
verde e squamosa, al centro della quale spuntavano due occhi gialli
e acquosi e, sotto questi, un lunghissimo naso adunco pieno di grossi
bubboni purulenti. Dalla bocca rossa e sottile fuoriuscivano due lucide
zanne ricurve.
“SONO UN MANGIATORE DI ANIME E HO FAME! DATEMI LA VOSTRA ANIMA!”
disse il mostro roteando gli occhi.
Il Re, il Soldato, il Politico ed il Mercante si guardarono stupiti
e spaventati, ma non capivano cosa volesse quella terribile creatura.
Il Poeta invece non disse nulla, ma i suoi occhi erano colmi di tristezza.
Il mostro si avvicinò e disse di nuovo:
“SONO UN MANGIATORE DI ANIME! HO FAME, DATEMI LA VOSTRA ANIMA!”
e annusò i cinque uomini, poi il suo sguardo si posò sul
Poeta. Il Re aprì la bocca per parlare, ma il mostro lo precedette.
“NON VOGLIO NE' POTERE, NE' TERRE, NE' SOLDI,
NE' ARMI. SOLO LE VOSTRE ANIME, MA VEDO CHE SOLO UNO DI VOI PUÒ
SODDISFARE IL MIO APPETITO.” Si alzò in volo e si fermò
davanti al Poeta. Aprì la bocca ed emettendo uno spaventoso rumore
gorgogliante iniziò a succhiare l'aria, finché il
Poeta gridò e si accasciò in terra. Il mangiatore di anime
sospirò soddisfatto, poi fece un rutto roboante e disse:
“UN BOCCONCINO DAVVERO PRELIBATO. STANNO DIVENTANDO COSI'
RARE LE ANIME, ULTIMAMENTE…” e sparì. Con lui scomparve
anche la foresta e i quattro uomini rimasti poterono tranquillamente
tornare alle proprie case.
L'ultima onda (Laura
Giuliangeli)
Irrompe, s'infrange, mi frusta la mano
mi spinge, mi agguanta, mi porta lontano
mi sfida, m'intriga, m'invita ad andare
negli abissi profondi, profondi, del mare.
Dapprima selvaggia s'abbatte furiosa
per poi lasciare la riva, ritrosa.
La luna irradia una limpida luce
che tacitamente a lei mi conduce…
In quel bagliore vorrei avanzare
sempre più avanti, avanti nel mare.
Poiché ora, immobile, su questa sponda
Aspetto quieta l'ultima onda.
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Forse ineluttabile?
(Valentina Mannone)
L'unica costante delle loro vite negli ultimi mesi,
era il sudore che li accompagnava in qualsiasi azione.
Lui guidava perdendosi con lo sguardo nello sterrato. Lei con le ginocchia
al petto, rubava un po' d'aria con il naso in su. Si teneva
le punte dei piedi, nudi e impolverati come quelli di una ragazzina
sulla spiaggia.
- Ok, non ne posso più! Abbiamo fatto la scelta giusta?
Chiedeva lei con movimento nevrotico della mano con cui stava fumando.
Lui non le rendeva nemmeno uno sguardo, si dissolveva con la polvere
sollevata dalla macchina.
- Insomma è stata una cosa giusta per tutti, no?
Aveva bisogno di essere rassicurata.
- Pensaci un attimo, eravamo nella merda, no? Era tutto un casino e
poi si è risolta bene. Credo che siamo stati fortunati.
Lei crollava su se stessa. La ricerca di sguardi le faceva roteare gli
occhi e il silenzio le riempiva la testa.
- Dimmi qualcosa, è una scelta che abbiamo preso insieme, non
ti importa nulla? Mi senti? Abbiamo fatto la cosa giusta. Per lui e
per noi. Sono sicura che starà bene.
Era come se lui non sentisse nulla, come se le emozioni scivolassero
via. Ma non era così, lui sentiva tutto e la sua pelle sempre
più lucida, rilasciava la sua ansia nell'aria. Un'ansia
dall'odore vagamente alcolico.
- Avevamo bisogno di soldi. È stato giusto così! È
tutto finito ora stiamo tutti bene ognuno con la propria famiglia. Sai
che ne penso? Ricominciamo tutto tu che ne dici?
Scattando e isterica strappava a se stessa falsi sorrisi cedendo a vortici
lacrimosi e spiragli fragili di felicità.
- Lo so perché non parli!
Lui muoveva solo piccoli respiri.
- Pensi che sia colpa mia vero? Dai dimmelo. Cosa potevamo fare? Questo
genere di cose si combinano sempre in due non lo sai? Cosa dovrei fare
eh? Ammazzarmi! Vuoi che i sensi di colpa mi uccidano? E dopo…?
Lei desiderava farlo parlare, lui voleva farla smettere.
- Lo so cosa stai pensando! Che sarei stata una cattiva madre vero?
Che una buona madre non vende suo figlio al primo riccone sterile che
tra una Ferrari e un cavallo si compra anche un mocciosetto bisognoso.
Avresti preferito farlo morire di fame con due idioti alcolizzati come
noi?
La macchina sembrava rispettare quel religioso silenzio e anche la radio
aveva perduto ogni frequenza per unirsi a quella processione.
- Parla ti prego, pensavo che anche tu volessi questo. Ricordi? Parla,
dì qualcosa.
Lui continuava a guidare seguendo i contorni della strada, cambiando
le marce solo quando non se ne poteva fare a meno. La strada sembrava
liscia proprio come le loro azioni.
- Dobbiamo stare uniti.
Diceva lei e ancora…
- Io non ce la faccio più, vorrei morire.
Lui continuava a seguire le sue linee disegnate a terra, senza curarsi
del fatto che quelle linee forse non erano poi così dritte.
La strada spariva dietro la montagna, ma questo a lui non interessava.
Lui continuava ad andare dritto.
Non è più adesso il tempo
(Valentina Mannone)
Punisco la mia anima
con spasmi ritorti tra le carni del tempo.
Debole e ancora acerba,
stanca e di nuovo vinta,
subisco lo stillicidio della leggerezza altrui con finta indifferenza.
Prima gesso sotto i piedi,
ora gesso nelle vene.
Illusione di giovane beltà,
Residuo organico di una raffinata menzogna.
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