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FARANEWS
ISSN 15908585
MENSILE DI
INFORMAZIONE CULTURALE
a cura di Fara Editore
1. Gennaio 2000
Uno strumento
2. Febbraio 2000
Alla scoperta dell'Africa
3. Marzo 2000
Il nuovo millennio ha bisogno di idee
4. Aprile 2000
Se esiste un Dio giusto, perché il male?
5. Maggio 2000
Il viaggio...
6. Giugno 2000
La realtà della realtà
7. Luglio 2000
La "pace" dell'intelletuale
8. Agosto 2000
Progetti di pace
9. Settembre 2000
Il racconto fantastico
10. Ottobre 2000
I pregi della sintesi
11. Novembre 2000
Il mese del ricordo
12. Dicembre 2000
La strada dell'anima
13. Gennaio 2001
Fare il punto
14. Febbraio 2001
Tessere storie
15. Marzo 2001
La densità della parola
16. Aprile 2001
Corpo e inchiostro
17. Maggio 2001
Specchi senza volto?
18. Giugno 2001
Chi ha più fede?
19. Luglio 2001
Il silenzio
20. Agosto 2001
Sensi rivelati
21. Settembre 2001
Accenti trasferibili?
22. Ottobre 2001
Parole amicali
23. Novembre 2001
Concorso IIIM: vincitori I ed.
24. Dicembre 2001
Lettere e visioni
25. Gennaio 2002
Terra/di/nessuno: vincitori I ed.
26. Febbraio 2002
L'etica dello scrivere
27. Marzo 2002
Le affinità elettive
28. Aprile 2002
I verbi del guardare
29. Maggio 2002
Le impronte delle parole
30. Giugno 2002
La forza discreta della mitezza
31. Luglio 2002
La terapia della scrittura
32. Agosto 2002
Concorso IIIM: vincitori II ed.
33. Settembre 2002
Parola e identità
34. Ottobre 2002
Tracce ed orme
35. Novembre 2002
I confini dell'Oceano
36. Dicembre 2002
Finis terrae
37. Gennaio 2003
Quodlibet?
38. Febbraio 2003
No man's land
39. Marzo 2003
Autori e amici
40. Aprile 2003
Futuro presente
41. Maggio 2003
Terra/di/nessuno: vincitori II ed.
42. Giugno 2003
Poetica
43. Luglio 2003
Esistono nuovi romanzieri?
44. Agosto 2003
I vincitori del terzo Concorso IIIM
45.Settembre 2003
Per i lettori stanchi
46. Ottobre 2003
"Nuove" voci della poesia e senso del fare letterario
47. Novembre 2003
Lettere vive
48. Dicembre 2003
Scelte di vita
49-50. Gennaio-Febbraio 2004
Pubblica con noi e altro
51. Marzo 2004
Fra prosa e poesia
52. Aprile 2004
Preghiere
53. Maggio 2004
La strada ascetica
54. Giugno 2004
Intercultura: un luogo comune?
55. Luglio 2004
Prosapoetica "terra/di/nessuno" 2004
56. Agosto 2004
Una estate vaga di senso
57. Settembre2004
La politica non è solo economia
58. Ottobre 2004
Varia umanità
59. Novembre 2004
I vincitori del quarto Concorso IIIM
60. Dicembre 2004
Epiloghi iniziali
61. Gennaio 2005
Pubblica con noi 2004
62. Febbraio 2005
In questo tempo misurato
63. Marzo 2005
Concerto semplice
64. Aprile 2005
Stanze e passi
65. Maggio 2005
Il mare di Giona
65.bis Maggio 2005
Una presenza
66. Giugno 2005
Risultati del Concorso Prosapoetica
67. Luglio 2005
Risvolti vitali
68. Agosto 2005
Letteratura globale
69. Settembre 2005
Parole in volo
70. Ottobre 2005
Un tappo universale
71. Novembre 2005
Fratello da sempre nell'andare
72. Dicembre 2005
Noi siamo degli altri
73. Gennario 2006
Un anno ricco di sguardi
Vincitori IV concorso Pubblica con noi
74. Febbraio 2006
I morti guarderanno la strada
75. Marzo 2006
L'ombra dietro le parole
76. Aprile 2006
Lettori partecipi (il fuoco nella forma)
77. Maggio 2006
"indecidibile santo, corrotto di vuoto"
78. Giugno 2006
Varco vitale
79. Luglio 2006
“io ti voglio… prima che muoia / rendimi padre” ovvero
tempo, stabilità, “memoria”
79.bis
I vincitori del concorso Prosapoetica 2006
80. Agosto 2006
Personaggi o autori?
81. Settembre 2006
Lessico o sintassi?
82. Ottobre 2006
Rimescolando le forme del tempo
83. Novembre 2006
Questa sì è poesia domestica
84. Dicembre 2006
La poesia necessaria va oltre i sepolcri?
85. Gennaio 2007
La parola mi ha scelto (e non viceversa)
86. Febbraio 2007
Abbiamo creduto senza più sperare
87. Marzo 2007
“Di sti tempi… na poesia / nunnu sai mai / quannu finiscia”
88. Aprile 2007
La Bellezza del Sacrificio
89. Maggio 2007
I vincitori del concorso Prosapoetica 2007
90. Giugno 2007
“Solo facendo silenzio / capisco / le parole / giuste”
91. Luglio 2007
La poesia come cura (oltre il sé verso il mondo e oltre)
92. Agosto 2007
Versi accidentali
93. Settembre 2007
Vita senza emozioni?
94. Ottobre 2007
Ombre e radici, normalità e follia…
95. Novembre 2007
I vincitori di Pubblica con noi 2007 e non solo
96. Dicembre 2007
Il tragico del comico
97. Gennaio 2008
Open year
98. Febbraio 2008
Si vive di formule / oltre che di tempo
99. Marzo 2008
Una croce trafitta d'amore
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Numero 21
Settembre 2001
Editoriale: Accenti trasferibili?
Il filo conduttore di questo ventunesimo numero di Faranews
non e' del tutto evidente (ma crediamo ci sia). Sappiamo che l'accento
puo' svolgere diverse funzioni: ad esempio "ancora" significa
una cosa se l'accento cade sulla prima sillaba, un'altra se l'accento
cade sulla seconda. C'e' anche un accento enfatico. Se dico: "Amo
Maria", faccio una semplice constatazione. Se dico "Amo Maria"
calcando quest'ultima parola, voglio significare che amo Maria e non
un'altra persona che magari l'interlocutore poteva avere in mente.
Perche' accenti trasferibili? Perche' le parole sono di per se' mobili,
barche per pacchetti di pensiero, come ci dimostra Il mondo
e' il mio sortileggi'o di Andrea Steinfl. Sono tre
note e' il VII capitolo di Eco, romanzo
inedito di Mauro Raggini di cui vi proponiamo un assaggio (come vedrete
si parla di accenti: la parola deriva dal latino "ad cantus"
). Alcuni versi possono trasportarci in luoghi in cui le parole sono
forse piu' libere e semplici: Caioletto. Alessandra
Carnaroli ce ne offre di acuminati in Taglio intimo.
Dopo avervi proposto alcuni siti, presentiamo le recensioni
ad animale e a Orientarsi e crearsi un
lavoro. Per finire La focaccia di Michele Ruele
ci presenta la figura settecentesca di frate Amodeo. Ricordiamo a chi
ama scrivere il nostro concorso IIIM.
Buona lettura.
INDICE
Il mondo e' il mio sortileggi'o (Andrea Steinfl)
Sono tre note (Mauro Raggini)
Caioletto (Alessandro Ramberti)
Taglio intimo (Alessandra Carnaroli)
Siti interessanti
Recensioni
- animale
- Amarcord Giovane Impresa
La focaccia (Michele
Ruele)
Torna all'inizio
(Le insidie della terra
senza blu)
01. Il mondo e' il mio sortileggi'o
ovvero un nuovo video - un party per festeggiarlo - una breve ma
intensa visita nel mondo parlallelo - il primo incontro con Almissa.
(di Andrea
Steinfl)
Tutto significa.
Anche l'astro radiante tatuato sulla schiena di Anja. Che' altrimenti
la vita farebbe tombola con i numeri a caso.
Cosa mi ha convinto a festeggiare oggi?
Anja-pelleblu s'immedusa nel cono di luce, ruba la luna diamantata dal
tavolo e la poggia in testa. Welcome Neo-Shiva-deluxe. Poi esce, dallo
schermo al plasma in fondo alla sala e da tutti quelli sintonizzati
con il primo canale nazionale.
La schienasole letteralmente tramonta dietro il sipario rosso e ci fa
corto il fiato. Ed e' li' che viene il tuffosbuffo al cuore. Il cervello
fa cliclac. Si socchiudono curiosi i pori e il Messaggio si cerbottana
dal mezzo pixellato all'anima. Roba di santi sebastiani elettrici al
solo cercare di visualizzarla.
Trenta secondi di morbo maclunatico in prima serata.
Applausi mentre la sigla del telegiornale si ingoia gli
schermi. Chi urla il mio nome?
Gli ansi-lumen aumentano discreti. Renderizzano uno spazioaperto identico
sputato ad un sistema digerente in scala, poltrone simil villi intestinali
comprese. Sputano fuori dal nero i contorni di uno smolecolare multietnico
di discrete proporzioni. La sala si digerisce gli ultimi battimani.
Le mie immagini formato pal, si fanno gel, si spalmano sui miei ospiti
festanti.
Gli angoli stondati si gorgogliano di un vociare volapuk.
Incrocio Marjia, quarant'anni di amanti-padri, sui blocchi
verso altrettanti di amanti-figli. Al momento allineata al suo punto
zero. Cosa che la rende demi-godibile questa sera. Strascica cadaverici
concetti sulla trasformazione genetica di dreyer, anzi, a pensarci bene
- sospira - trattasi di ri-esumazione creativa alla jurassic park.
nel mio video?
Globi oculari intrappolati nell'ambra mi danzano nel cervello. Mi si
spezza il feeling con la tartina di caviale.
Deve galleggiare qualcosa di eccezionalmente simile tra
le sinapsi al thp di Hito - che da Urano o giu' di li' inocula impunito
frammenti interstiziali di un erte' cibernetico nell'apologia della
mia televendita. Digital Deco. Minimalisme Nouveau. Spero di aver capito
male. Ma e' vero il contrario.
Diversi fusi orari separano da anni il magro involucro del nippo-francese
dai suoi centri logici.
Il mio party e' una globbalah babbalah e io parlo con
le orecchie. Sono in piena alchimia. Mi trasmuto in diretta. Cerco negli
sguardi qualcuno che se ne renda conto. Ma sono solo, con la mia magma
ars. Il labirinto diventa piu' spesso. Le voci si incrociano come antifurti
laser intorno al mio centro. Vorrei rientrare ma non posso. Rotolo via
spinto da un enorme scarabeo invisibile.
Nell'arco che mi vuole a testa in giu', arriva altro parlare.
Si aggancia all'estuario d'onde elettromagnifiche: Che tutto questo
prezioso distillato di invenzioni e fisiologia, orgasmi infine nella
vendita di un whisky o una macchina sportiva, e' inevitabile misura
dello spazio-tempo che ci ospita?
E' il Nostro Tempo - la voce di Jong tonda accento Southern
Comfort, gli occhi ancora agganciati al videowall si insinua in difesa
del Sacro Mercato Impero - Siamo corpi sognanti - in attesa di cibo.
Tutto qui.
Desiderio.
Bisogno.
Appetito della Mente.
E tu Alan - indicandomi pantocratico - per questo cibo
immaginifico - tu sei un buon cuoco - tra i migliori - il migliore,
forse. Probably the best cook in the world - pontifica, lisciandomi
con lo sguardo inclinato dell'Unto.
Tutto il resto, signori, e' roba da mondo-parallelo. Fanta-fuffascienza
marxiana. Il problem non ci tocca, neanche in fin di rima.
Spasmi. Perche' il problem, hey hey my my, c'e'
c'e' e mi palpa la rima eccome.
Anzi mi ri-guarda direttamente It's more to the picture, than meets
the eye. Perche' ahi me, proprio me, il piede nel fottuto parallelomondo,
io ce l'ho di default.
Altrimenti Kilid non avrebbe quei due tentacoli purpurei
che ondeggiano mentre si fanno strada dentro le sue orecchie.
E sarei molto, Molto piu' agitato nel vedere, il mio cameraman japonaise,
sigillato di fresco in una bara trasparente sottovuotospinto come un
qualsiasi GI Joe da supermercato, in saldo estivo perloppiu'.
Vallo a raccontare.
M'ha fregato l'astigmatismo, mi storiello. A furia di
cercar di mettere a fuoco son uscite fuori le fiamme. Mi si sono incrociate
le linee dell'oggi e quello che non si doveva incontrare invece lo ha
fatto. Cortocircuitandosi appresso tutto il mio piccolo mondo privato.
Pochi micron sanguinari e
Vedo-le-cose-da-un-altro-punto-di-vista.
Altro, da me.
E a quel punto apriticellophan!
Non posso piu' farne a meno.
Niente e' piu' semplicemente li'. Niente e' piu' fa lo stesso.
Niente e' solo quello che e'.
Tutto significa. Tutto e' anatomia.
Il mondo e' il mio sortileggi'o.
Il mondo e dico tutto il tondomondo, e' diventato un'immensa
unica continua sagrada op-art ipnotica che mi chiama a se', nelle frattalita'
dei suoi otto verticale e tredici orizzontale - che c'e' sempre qualcosa
di nuovo e di piu' nascosto e di piu' sconvolgente da conoscere, perche'
e' chiaro che gli Preme comunicarmi qualcosa, giu'deepdown in un mesmeri'o
di livelli semperdiscendenti, che La Verita' e' un polimero organico
di mutevole composizione e si stende elastica ed infinita fin sulle
rive di un passato affollato e bituminoso da exxon valdes che percepisco
ma non riesco a rianimare.
Zero-ventiquattro, il mondotutto e' segno.
Particolare non da poco:
Nel reality-acquario del cocktail che mi sottrae l'iride proprio in
questo istante, l'evento principe e' un altro: sulla linea del mio sguardo
agnostico, inghiottito nella temporanea associazione di corteimpresa
dei miracoli, tra pedoni, sorrisi di caballeros avec dame con diverse
specializzazioni e triangolazioni varie, ci sono, surprise-surprise,
anche io.
L'originale da cui sono sfuggito in questo danteggiare
parallelo: Alan, il regista sangrilla della mia sangrilla, che sbrinda
al suo party.
E quando Mi metto a fuoco - post un improvviso sguiscio d'amordolce,
sorge repentina e vera l'Urgenza. Nel batticuore disagio, la Domanda
regina si affuoca. Immediata e Pericolosa. E sulla scenetta simil-life
allegra di bollicine logo jpgaultier e sguardi da 6 espressioni ricaricabili
(immancabilmente tre al prezzo di due), assolve sovraimpressa all'altezza
del Mio plesso solare, proprio come nelle mie pubblicita', la Big Question:
E' Mia Questa Vita?
Il fatto che nel sottofondo si agitino le note demivintage
dei talk-talk mi disulcera ma non mi evita una gelata epidermica che
mi manda in serpentina i muscoli del collo/n.
Certo, apparentemente meglio dello "scopami che sono gia' morta"
che danza blinkeggiante in corpo 64 sugli occhi decarburati di Marija
o la tartaruga gigante che appiattisce Hal nel sarcofago della poltrona
di schiuma. Ohmioddio. Forse voglio rientrare.
Interno Occupato. Riprovare.
Allora e' questo il mantra nascosto nel Mio mondo parallelo!
La sensazione, di essere como todos, un animatrix mosso da forze banali,
mi distrugge.
Sono un obbediente spigolatore di vogliuzze?
E chiara ed inspiegabile la consacolpevolezza, che c'e' del Vero. Che
non sono Io, purtroppo, affanculo, il proprietario di me stesso. L'alambiccatore
del mio instabile composto. Il paro'n del mi vapo'r.
Vivo di oredaria. Una scritta lampo di dissolvenze incrociate
infinitesimali ma percepibili mi urta come un trenoincorsa.
E allora per chi sbuffistantuffisputi bastardo avatar del cazzo! Mi
sale la voglia di metterMi le mani in faccia. E liberarla. Disingannandola.
DisingannandoMI.
Se alzo le labbra, so di aver denti da cane.
Salto metrate di fotogrammi della Realta' come un flashgordon
suonato, uggiolando incredulo intorno all'altro me, il piu'vvero
me?, all'Alan Festeggiato, marchiato di un infamante vita da controfigura
e orora appiombato da un piccolo uditorio e intento a plasticarsi la
carne in volto in costrutti socialmente utili, di certa stabilita' e
credibilita'.
A bordocampo mi agito ringhio, interrogo la vetroballa
degli eventi, mentre la sala tutta, tenue e crasso compresi, e' in preda
a contrazioni stroboscopiche da super maalox.
Arranco disarcionato in una gastrite architettonica.
E tanto per dare al toto una complicazione plus, m'annuso un colpo alla
coda dell'occhio: mi giroscatto e nel belmezzo di una copiosa grandinata
virtuale (notevole dispendio di mezzi e professionalita'), si staglia,
filiforme, La Donna. Di rosso fasciata e d'oro le gambe.
La qualcosa ha instant-ibernato il mio daffarsi, spasmi
apnea allegati, intubandolo intra le Sue Grazie.
Anche Lei, li', nel Corridoio Aldila'.
madame?
Richiamata dagli occhi allungati della femme, la sottotitolazione
giapponese, appare per prima - segno tangibile di millenaria organizzazione.
Ma il tutto non produce risultati apprezzabili all'interno della mia
colonia neuronale.
Il sottotitolo occidentale e' in ritardo, ma semplice e d'effetto: Almissa,
1970.
Mi-i guarda, la mia visione, difra i chicchighiacci.
Ti leggo, tu sei il piromane - esordisce.
E tu, wer bist du? - le chiedo.
Piromane?
Io sono mia madre - risponde e scoppia in un pianto di grandine. Che'
le regole del bordocampo sono senza pieta', leggono cose che a sentirle
fa male.
Le faccio sbocciare in moviola le mie dita sul viso.
Io ho paura - le dico mentre il budello parallelo mi ruba la voce.
Rimango sasso ad ascoltare le mie labbra - Io Ho Paura della Mia Voce.
Le palpebre si abbassano. Io e le mie parole una doppia elica. In caduta
libera.
Almissa misazia gli alveoli, e mentre m'increspo in un
sorriso d'ammalio, nel mondovero Anja d'armani svestita appoggia la
testa alla mia spalla.
Il contatto con la modellattrice mi riappiattisce nell'aldiqua'
e io alzo bandiera bianca.
Solo again in the realmondo.
Me ne vado.
A distanza di tiro non regolamentare, c'e' Zanni. Non Ora. Arbitro,
fuorigioco!
Il legale mi freezza con una invisibile pistola paralizzante impiantata
nel suo indice. Poi si stupra il mio campo visivo con intuibile soddisfazione.
Bisogna approfittarne, Alan - strategia. efficacia. il futuro e' una
Brutta Bestia.
Quattro neuroni-special corp mi si sono riattivati hop-hop e cercano
una soluzione all'interazione con il gessato savoir-faire dell'avvocato.
Non fosse altro per non essere schizzato sulla bianca chemise da un
cocktail di fluidi corporali. Che' la Brutta Bestia, c'e' davvero. E
sta per farlo in due davanti ai miei occhi. Una roba tuttunghia direi,
che gli troneggia alle spalle.
Il testo dice: prossimamente su questo canale.
Zanni & Zanni.
Reset.
Allora, A? La business proposition mi appare cristallina.
Parliamone. Settimana ventiquattro e' ok. Basta. Via.
Abbandonare il loco. Prima di essere digerito e ruttato via. Grandioso.
Grazie. Un urlo alle spalle mi conferma il raddoppio dei soci fondatori
dello studio legale che da anni mi rappresenta. Nel tumulto da antiacidi,
ho un flash della Grandinosa, appesa ad un frescolana incravattato da
producer. E' vestita di nero e non c'e' oro sulle sue gambe. Chissa'
come le apparivo io? Poi niente. Mi sgombro il passo tra boli presenzialisti
multicolori, ispirato in un ciranesco sentimento di noia per tutto.
Me compreso. Che cosa ho fatto in queste ore?
Non c'erano angoli in cui rifugiarsi, e' stato questo?
Addomani sentiro' un peso per questo riflusso di snobismo pre-onirico
- ma adesso che si esprima libero.
Io sono qui. con il resto faremo i conti. In stretto ordine alfabetico,
metodo scientifico - senza slanci di passionalita', questa volta.
A cominciare dalla a.
Come Almissa.
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Sono tre note
(di Mauro Raggini)
"And this man will die... He will. Eventually."
(Isabelle, Amateur)
Sono tre note. Anzi, due. Una e' la prima che ti viene
in mente, la seconda invece e' piu' bassa e ripetuta due volte. La seconda
nota, quella piu' bassa, deve durare piu' delle prime, come se ti fermassi
ad ascoltarla mentre la canti. Perche' queste note le devi cantare.
Dico davvero. Non importa che tu lo faccia ad alta voce - magari stai
leggendo questa storia in mezzo ad altra gente - puoi farlo dentro di
te, ma e' importante che le intoni, altrimenti sarebbe inutile continuare
a leggere. Allora, prima canta una nota qualsiasi. Poi una appena piu'
bassa e lunga. E adesso questa nota ripetila facendola durare di meno.
E visto che e' piu' facile trovare la melodia di una canzone quando
hai il testo, prendi una parola di tre sillabe e canta ogni sillaba
con le note che hai scelto. Una parola come bambino, per esempio. Bam-bi-no.
Cantala. Bam-bi-no. Fa' pero' attenzione che la seconda nota
duri piu' a lungo delle altre due, e se vuoi essere sicura di dare ad
ogni sillaba la giusta durata conta il tempo sulle dita, da uno fino
a quattro, oppure, se preferisci, puoi muovere il piede; sono gesti
discreti, non attirano l'attenzione di nessuno. Uno, due, tre, quattro.
Bam-bi-i-no. Non calcare pero' eccessivamente la seconda nota, sii sciolta.
Uno, due, tre e quattro, e uno, due, tre e quattro. Bam-bii-no, bam-bii-no.
Ecco, adesso che hai in mente il ritmo giusto e l'atmosfera di queste
note, ti raccontero' una storia come se accadesse ora, e per ascoltarla
non puoi fare a meno della melodia che hai appena imparato.
C'e' un uomo. Un uomo che cammina. C'e' un uomo che cammina in un pomeriggio
d'inverno per le strade deserte di una piccola citta' balneare quasi
disabitata, di quelle che si riempiono di turisti solo nella stagione
estiva. Calpesta le foglie di platano accartocciate dal gelo che coprono
i marciapiedi. Fa freddo, e indossa un cappotto con il bavero alzato,
il respiro si condensa e viene sospinto alle sue spalle da una brezza
leggera che sa di mare, perche' il mare non e' lontano, si trova dall'altra
parte di quella fila di case, laggiu' in fondo. L'uomo cammina adagio,
ma seguendo una direzione sicura, come chi ha una meta da raggiungere.
Pensi, si reca ad un appuntamento, mentre la fatica dei suoi passi viene
amplificata da una carezza lenta della testa che l'uomo compie sotto
ai tuoi occhi. La mano preme forte sulla tempia, le dita si allungano
verso la nuca schiacciando l'orecchio, avvolgono il collo e scivolano
in avanti, risucchiate dal bavero. Dallo sforzo della carezza e dei
passi lenti di chi va verso un incontro che intuisci inevitabile capisci
che e' malato, e formuli un pensiero che ti fa rabbrividire. Quest'uomo
morira'. Quest'uomo morira' alla fine, e io non potro' fare nulla per
salvarlo, hai pensato. Ed e' stato un pensiero cosi' forte che il tuo
cuore si e' stretto in un singhiozzo, come se avesse saltato un battito,
e se da una parte vorresti fermarti un momento per staccare la tensione
da quello che ti faccio trovare con le mie parole sotto agli occhi,
dall'altra ti senti gia' del tutto coinvolta in questa storia, e allora,
quasi con un gesto gratuito e autolesionista continui a pensare, sto
guardando un uomo che muore. E intanto un uomo ancora vivo cammina davanti
a te. Per strada non si sente nessun rumore all'infuori dei suoi passi,
te ne accorgi solo quando il silenzio e' rotto dallo schianto di una
tapparella. Giri gli occhi in tempo per vedere le ultime tre file di
buchi che si chiudono ormai senza suono, come se fossero le foglie cadute
di un albero, che non hanno piu' niente da dire, si mostrano in terra
e basta, cosi' distogli lo sguardo da loro e ritorni sull'uomo, anzi,
sul suono dei suoi passi, ascolta, battono lo stesso ritmo che ti ho
insegnato, contano piano fino a quattro. Uno, due, tre, quattro. E'
un pomeriggio d'inverno, e sui marciapiedi coperti di foglie morte un
uomo stanco cammina. Un uoo-mo. (...)
(Incipit del VII capitolo del romanzo Eco.
Mauro Raggini e' nato a Rimini nel 1967. Ha pubblicato traduzioni dal
portoghese e dal francese: La scoperta del mondo,
di Clarice Lispector, La tartaruga, 2001; L'Angelo
ancorato, di Jose' Cardoso Pires, Fahrenheit 451, 2000; Il
metro del mondo, di Denis Guedj, Longanesi, di prossima pubblicazione.)
Torna all'inizio
Caioletto
(di Alessandro
Ramberti)
Le pietre adatte
alla lapidazione
sono la nostra gravita' e
possiamo liberarcene
solo con grazia:
se le tiriamo ad altri
ne avremo sempre
l'impronta
presente
come piombo.
***
Sento
il frinire
delle cicale
intenso
e poi la
pausa
imprevedibile
come un incontro
insperato
(che ti cambia).
Ho giudizi
piu' tranquilli,
i pensieri fissi
interruzioni piu' lunghe.
I piedi
ricordano
l'ultimo
sentiero
impolverati
quasi un
velo di zucchero.
***
Si'
ci sono
credo
di aver capito
(di aver sentito)
- e' un semplice schiarimento
ma e' come il bianco
che circonda queste
lettere.
***
Con le gambe
la distanza
e' piu' grande
di molto
ma come si chiamano
gli alberi
del colore
delle foglie
di ulivo
in linea
a trecento metri
dai miei occhi?
Dividono un campo
scosceso
e intorno
non ci sono che
boschi
di un verde
deciso
e lontana chilometri
emerge la massa grigia
sul profilo turchese dei monti
del Sasso Simone.
Salici - mi hanno detto.
***
Caioletto
Sono ruderi.
Il sentiero
non esiste
che a tratti.
Per raggiungerli
mi strio gli
arti con
i rovi
spinosi,
infango
gli scarponi
nell'argilla
bagnata dal
rivolo limpido
cosparsa
di rami
maceri.
Quando arrivo
sul colle
la casetta scoperchiata
che ormai ospita
gli alberi
e' posta in un punto
che da' gioia alla vista.
Piu' sopra il Casciao,
da cui sono partito,
e' separato da un
bosco intricato e
dirupati calanchi.
Pochi decenni
sono bastati
ad accumulare
in casuali
piramidi
travi sconfitte
muri dilapidati.
E la mia vita
osserva
da piu' di quattro.
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Taglio intimo
(di Alessandra Carnaroli)
Immagina di avere
sotto le unghie
un po' di pelle morta,
di quella che ti gratti via
dalla punta del naso
ogni volta che dici una bugia:
io sono furba,
il mio naso non diventera' mai
una seggiola per uccelli.
Io sono furba.
Immagina.
***
Posso danzare con i piedi sulle
tue scarpe?
Sono leggera come la polvere.
Sono bianca come la polvere.
Sono invisibile
e il vento che canta
mi fa ridere
e se rido
volo
perche' mi gonfio d'aria.
Posso danzare con i piedi sulle tue scarpe?
Stringimi forte il petto:
ho due polmoni
al posto delle ali.
***
Tu sei dopo il muro
dormi con la luce accesa
dentro la pancia aperta.
Sei un materasso pesante
ed io ho ancora i piedi sporchi
e non posso poggiarli sulle lenzuola.
La tua pancia bianca respira
ed io devo lavarmi i piedi
e tutto mi passa in mezzo al cervello
come un'esca lanciata
per portarmi via il riposo.
Tu sei dopo il muro
e parli con il maresciallo Rocca,
con Piero Angela
ed io devo infilare i piedi nel bidet
per vedere l'acqua scura scendermi fino in gola
e fare glu glu
fare grrr.
Non ti svegliare
scorro da sola.
Ora mi addormento,
ora il pescatore spegne la luce
e si prende tutti i miei pesci.
Anche la tua pancia grassa
puo' attaccarsi forte al ramo,
puo' attaccarsi forte all'amo.
(Da Taglio
intimo. Alessandra Carnaroli e' nata nel 1979, risiede
a Piagge (PU), e' iscritta al quarto anno dell'ISIA di Urbino.)
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Siti interessanti
Nautilus: Letture e scritture (Giulio Mozzi, 1997)
http://nautilus.ashmm.com/9701it/arte/letture/mozzi1.htm
Popoli
http://www.gesuiti.it/popoli/index.html
Unesco
http://upo.unesco.org/
Ungaretti
http://www.avnet.it/itis/ungaretti/frp_oper.htm
Il mestiere di scrivere
http://www.mestierediscrivere.com/
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Recensioni:
animale
Libro enigmatico e magmatico, animale di
Paola Turroni, si apre con un verso "scrivere e' come camminare" che
ricorda da vicino un aforisma di Peter Handke: "Si puo' aver voglia
di scrivere come si ha voglia di camminare. Per scrivere non e' necessario
raccontare una storia". Non so se la Turroni ama e conosce Handke, ma
sicuramente ha in comune con lui l'inesausta necessita' di riflessione
sui perche' della scrittura, sul senso profondo della letteratura, della
poesia come bussola per muoversi nel reale, del linguaggio come sfinge
da interrogare.
Come raccolta di poesie animale e' abbastanza
anomala, anzi, piu' che di raccolta, io parlerei di poema, che' le sezioni
che attraversano il libro appaiono assolutamente complementari, tutte
tese come sono a compenetrarsi l'una nell'altra, attraverso una serie
di richiami e riprese. Le parole appaiono spesso tagliate a meta', sdoppiate
dal diverso spessore dei caratteri, divise da trattini, suggeriscono
l'impressione di tenere fra le mani un libro doppio, non facile, che
vuole negarsi alla prima comprensione del lettore perche' "ci sono momenti
in cui scrivere e' come usare sangue".
E' questa scontrosita' del testo a rendere interessante animale,
a rafforzare l'impressione di avere a che fare con una letteratura quasi
malata (e per questo in cerca di un antidoto possibile come dimostra
la sezione trasversale "Il laboratorio" che interrompe in
piu' punti il libro con bollettini medici) che, speriamo, possa contribuire
a mettere in discussione le certezze della poesia piu' sana e accademica.
(Fabio Orrico in Scritti
inediti www.scrittinediti.it/profili.htm)
Amarcord Giovane
Impresa
Orientarsi
e crearsi un lavoro e' il titolo del volume di Primula Lucarelli
e Milena Cecchini pubblicato da Fara che celebra i 15 anni dalla nascita
di Giovane Impresa, l'agenzia per l'indirizzo e l'incoraggiamento al
lavoro autonomo (...) Questa pubblicazione si presenta dunque come un
preciso manuale (dotato, fra l'altro, di un CD ROM esplicativo) per
chi voglia aiutarsi nel dar vita alla propria impresa (...) non un arido
resoconto, bensi' un'appassionata autobiografia di un'organizzazione
che ha posto l'individuo e la sua storia personale al centro (...) Si
potrbbe quasi dire che ci troviamo davanti a una moderna lezione di
pedagogia del lavoro, fondata sull'autoformazione, l'auto-orientamento
e soprattutto sulla capacita' di dare un senso autonomo alla propria
vita ed al proprio percorso esistenziale e lavorativo: queste pagine
tentano di portare alla luce un uomo nuovo, piu' responsabile e capace
di affrontare gli incessanti mutamenti del mercato ma anche piu' libero,
interiormente consapevole e capace di non perdere umanita' e senso delle
proprie radici e della propria storia (...).
(Alessandro Giovanardi, «il Ponte» del 26
agosto 2001)
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La foccaccia
(di
Michele Ruele)
A.D. 1700, 14 dicembre, il giorno dopo Santa Lucia
Un freddo compagno non l'aveva mai sentito. Osservo' i
coperti della sua terra mezzi neri di vecchie scandole e mezzi bianchi
dalla neve gelata. Quando fu in fondo all'erta, nello slargo sotto il
castello, guardo' verso la Porta della Scala e una nebbia d'argento
saliva dalle ghiaie del Leno quasi in secca, trasformando il mattino
di zendro in una sorta di scodella vuota ribaltata in cui il latte lustro
colava alla rovescia. Frate Amodeo doveva aver riguardo per le pozze
ghiacciate, lisce fra le rughe del pantano indurito, e si mise a camminare
dalla parte del selciato sotto il palazzo del Podesta', rasente al muro,
per non scivolare.
Veniva su dalla terra come un lamento gelido, pallido. Si accorse di
avere in mente pensieri mezzi bianchi e mezzi neri. Menego, il ragazzino
che era venuto a chiamarlo di buonora al convento, fuori a Santa Caterina,
gli aveva dato pressa, perche' suo fratellino piu' piccolo stava male
sul serio. Il frate aveva raccolto malvolentieri tutte le robe da prendersi
dietro per un estremo sacramento che gli crepava il cuore.
Ah, invece il dopodesinare di all'ieri gli aveva lasciato una scia di
contentezza, perche' con i piccinini nella scuola del convento si era
fatta la festa di Santa Lucia e uno travestito da asinello con un sacco
sulla testa, l'altro con il vassoietto e dentro gli occhi, uno piu'
piccolino col piatto della farina gialla e la sale, avevano fatto il
teatro per l'arrivo dei regali. Frate Amodeo si era vestito su con una
maschera da ometto triste e comico insieme, che aveva chiamato Carlotto:
due baffetti ridicoli, la tonaca stretta stretta sul petto e anche troppo
comoda sotto, pero' che sembrava elegante, due sgalmerone che meta'
bastava ai piedi e un bastoncino da appoggiarsi.
I piccinini avevano riso e anche pensato, perche' al frate cappuccino
andava bene cosi', dilettando educare, e la maschera di Carlotto ai
bambini piaceva tanto.
Anche al Giobatta era sempre piaciuta. "Quand'e' che ritorna il
Carlotto?" chiedeva sempre. "E' andato nelle Indie a chiacchierare
coi selvaggi primitivi" gli diceva frate Amodeo. E il piccinino
a figurarsi navi e foreste, e selvaggi con due teste con cui dialogare
non era facile, ma non per il Carlotto, che ne sapeva sempre una di
piu'.
Ieri pero' il Giobatta non c'era: si era gia' preso su la polmonite
e stamattina, in questo gelo lustro...
Frate Amodeo sospiro', si strinse piu' attaccato al muro delle case
per ripararsi dal freddo, desidero' ardentemente che il suo cammino
verso la casa dove andava potesse essere eterno, per non arrivarci mai.
Non osava pregare, che forse neanche non serviva: se c'e' una giustizia,
e se e' buona, non c'e' di bisogno delle mie orazioni, non c'e', pensava.
Il quartiere di Santa Maria, oltre il ponte sul Leno, era silenziosamente
sospeso in quel grigio gelato. Il frate abbasso' la testa mentre passava
davanti al convento delle Carmelitane, e a vederlo dal davanti veniva
fuori dal cappuccio solo la barba. Avrebbe fatto paura a uno che incontrava.
Qualcuno c'era bene, era Menego che correva verso di lui: "Fermo,
fermo - gridava - non bisogna piu' che vieni a mia casa: ha detto mia
mamma che il Giobatta sta meglio e il prete non serve."
Poi il picena scappo' via sollevando scricchi di fanghiglia ghiacciata
e pestata dalle zatele svelte, insieme con il totoc delle suole di legno.
Carlotto e' amico dei piccinini, e, se incontra un frate che va a dare
un'estrema unzione con l'olio santo del genere che andava quella mattina
frate Amodeo, cambia strada e spande una lagrima. Anche frate Amodeo
cambia strada e torna indietro. Tira fuori dalla sacca un tocchetto
di focaccia avanzata dalla festa di all'ieri e nell'argento gelido,
fiatando come un mantice felice, ci ficca i denti avido, di un gusto
che basta.
(dalle Storie
di frate Amodeo)
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