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FARANEWS
ISSN 15908585
MENSILE DI
INFORMAZIONE CULTURALE
a cura di Fara Editore
1. Gennaio 2000
Uno strumento
2. Febbraio 2000
Alla scoperta dell'Africa
3. Marzo 2000
Il nuovo millennio ha bisogno di idee
4. Aprile 2000
Se esiste un Dio giusto, perché il male?
5. Maggio 2000
Il viaggio...
6. Giugno 2000
La realtà della realtà
7. Luglio 2000
La "pace" dell'intelletuale
8. Agosto 2000
Progetti di pace
9. Settembre 2000
Il racconto fantastico
10. Ottobre 2000
I pregi della sintesi
11. Novembre 2000
Il mese del ricordo
12. Dicembre 2000
La strada dell'anima
13. Gennaio 2001
Fare il punto
14. Febbraio 2001
Tessere storie
15. Marzo 2001
La densità della parola
16. Aprile 2001
Corpo e inchiostro
17. Maggio 2001
Specchi senza volto?
18. Giugno 2001
Chi ha più fede?
19. Luglio 2001
Il silenzio
20. Agosto 2001
Sensi rivelati
21. Settembre 2001
Accenti trasferibili?
22. Ottobre 2001
Parole amicali
23. Novembre 2001
Concorso IIIM: vincitori I ed.
24. Dicembre 2001
Lettere e visioni
25. Gennaio 2002
Terra/di/nessuno: vincitori I ed.
26. Febbraio 2002
L'etica dello scrivere
27. Marzo 2002
Le affinità elettive
28. Aprile 2002
I verbi del guardare
29. Maggio 2002
Le impronte delle parole
30. Giugno 2002
La forza discreta della mitezza
31. Luglio 2002
La terapia della scrittura
32. Agosto 2002
Concorso IIIM: vincitori II ed.
33. Settembre 2002
Parola e identità
34. Ottobre 2002
Tracce ed orme
35. Novembre 2002
I confini dell'Oceano
36. Dicembre 2002
Finis terrae
37. Gennaio 2003
Quodlibet?
38. Febbraio 2003
No man's land
39. Marzo 2003
Autori e amici
40. Aprile 2003
Futuro presente
41. Maggio 2003
Terra/di/nessuno: vincitori II ed.
42. Giugno 2003
Poetica
43. Luglio 2003
Esistono nuovi romanzieri?
44. Agosto 2003
I vincitori del terzo Concorso IIIM
45.Settembre 2003
Per i lettori stanchi
46. Ottobre 2003
"Nuove" voci della poesia e senso del fare letterario
47. Novembre 2003
Lettere vive
48. Dicembre 2003
Scelte di vita
49-50. Gennaio-Febbraio 2004
Pubblica con noi e altro
51. Marzo 2004
Fra prosa e poesia
52. Aprile 2004
Preghiere
53. Maggio 2004
La strada ascetica
54. Giugno 2004
Intercultura: un luogo comune?
55. Luglio 2004
Prosapoetica "terra/di/nessuno" 2004
56. Agosto 2004
Una estate vaga di senso
57. Settembre2004
La politica non è solo economia
58. Ottobre 2004
Varia umanità
59. Novembre 2004
I vincitori del quarto Concorso IIIM
60. Dicembre 2004
Epiloghi iniziali
61. Gennaio 2005
Pubblica con noi 2004
62. Febbraio 2005
In questo tempo misurato
63. Marzo 2005
Concerto semplice
64. Aprile 2005
Stanze e passi
65. Maggio 2005
Il mare di Giona
65.bis Maggio 2005
Una presenza
66. Giugno 2005
Risultati del Concorso Prosapoetica
67. Luglio 2005
Risvolti vitali
68. Agosto 2005
Letteratura globale
69. Settembre 2005
Parole in volo
70. Ottobre 2005
Un tappo universale
71. Novembre 2005
Fratello da sempre nell'andare
72. Dicembre 2005
Noi siamo degli altri
73. Gennario 2006
Un anno ricco di sguardi
Vincitori IV concorso Pubblica con noi
74. Febbraio 2006
I morti guarderanno la strada
75. Marzo 2006
L'ombra dietro le parole
76. Aprile 2006
Lettori partecipi (il fuoco nella forma)
77. Maggio 2006
"indecidibile santo, corrotto di vuoto"
78. Giugno 2006
Varco vitale
79. Luglio 2006
“io ti voglio… prima che muoia / rendimi padre” ovvero
tempo, stabilità, “memoria”
79.bis
I vincitori del concorso Prosapoetica 2006
80. Agosto 2006
Personaggi o autori?
81. Settembre 2006
Lessico o sintassi?
82. Ottobre 2006
Rimescolando le forme del tempo
83. Novembre 2006
Questa sì è poesia domestica
84. Dicembre 2006
La poesia necessaria va oltre i sepolcri?
85. Gennaio 2007
La parola mi ha scelto (e non viceversa)
86. Febbraio 2007
Abbiamo creduto senza più sperare
87. Marzo 2007
“Di sti tempi… na poesia / nunnu sai mai / quannu finiscia”
88. Aprile 2007
La Bellezza del Sacrificio
89. Maggio 2007
I vincitori del concorso Prosapoetica 2007
90. Giugno 2007
“Solo facendo silenzio / capisco / le parole / giuste”
91. Luglio 2007
La poesia come cura (oltre il sé verso il mondo e oltre)
92. Agosto 2007
Versi accidentali
93. Settembre 2007
Vita senza emozioni?
94. Ottobre 2007
Ombre e radici, normalità e follia…
95. Novembre 2007
I vincitori di Pubblica con noi 2007 e non solo
96. Dicembre 2007
Il tragico del comico
97. Gennaio 2008
Open year
98. Febbraio 2008
Si vive di formule / oltre che di tempo
99. Marzo 2008
Una croce trafitta d'amore
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Numero 66
Giugno 2005
Editoriale:
Risultati del Concorso Prosapoetica
I giurati
del Concorso Prosapoetica “terra/di/nessuno”
2005 (Angelo Leva, Daniele Borghi, Fabio Orrico, Helene Paraskevà,
Paola Castagna, Rosa Elisa Giangoia, Stefano Martello e Fara Editore)
sono lieti di proclamare vincitori della IV edizione del Concorso:
1. Francesca Lozito (Rimini) autrice di Aspettando
il tuo ritorno
2. Ugo Perugini (Milano) autore di Astruserie
3. ex aequo Costantino Loprete (Salerno) autore di
Autunno
3. ex aequo Massimo Andreuccioli (Roma) autore di La
camera delle parole.
La giuria ha segnalato anche i seguenti autori: Roberta
Marino (Catania) autrice di La frontiera del ricordo,
Stefania Corrocher (Quarrata, PT) autrice di La
cuoca tra i ghiacci, Annalisa De Ruvo (S.
Mauro Pascoli, FC) autrice di Io: storia naturale.
Ringraziamo di cuore i giurati per il loro compentente lavoro e ci complimentiamo
con i vincitori.
Vincitori
Aspettando
il tuo ritorno
di Francesca Lozito
Sono i tempi dell’assenza della dialettica, amore
mio.
Discutere vuol dire darsi sempre ragione e il risultato è che
non si arriva mai ad un punto d’incontro. Le nostre idee sono
costrette in un angolo, schiacciate al muro da una improbabile ragione
superiore o, come la chiamavano i filosofi, “di stato”.
Le idee che hanno preso il posto degli ideali, che avevano sfiorato
le ideologie – tempi lontani, sepolti dal livore, che ad un certo
punto è diventato il suono di uno sparo di chi faceva finta di
stare con voi, ma che in realtà voleva che le cose non cambiassero.
Noi le nostre piazze le avevamo battute in un tempo in cui la scelta
era tra la mediocrità ed il coraggio. Portavo in giro le mie
idee col parabello in spalla quando me ne andavo su per le montagne
dell’Ossola. Avevo 17 anni e potevo fare solo quello, anche se
le armi non mi piacevano, potevo solo cercare di rendere più
difficile all’invasore commettere soprusi.
Sparavo all’invasore allora ed oggi non mi capacito, dopo sessant’anni,
di dovermi sentire incolpato di quelle azioni da chi ne ha beneficiato
anche solo per il fatto di potere scegliere liberamente da che parte
stare. Perché noi non potevamo scegliere, né prima, né
dopo, la storia si faceva sotto i nostri occhi e noi ci dovevamo adeguare.
Se oggi ripenso ai rischi che ho corso mi considero un incosciente,
più di una volta ho rischiato di farmi prendere, ma qualcosa
mi ha permesso di continuare a percorrere il sentiero.
Fino ad arrivare in questa piazza. Oggi ci ritroviamo così in
tanti qui per te, che sembri ancora più piccola sui cartelli
che molti portano in spalla per chiedere la tua liberazione.
Sono qui e non è stato facile: i miei anni pesano quando devi
affrontare un lungo viaggio. Indosso le scarpe da ginnastica che mi
hai regalato tu. Porto il fazzoletto della nostra libera repubblica
dell’Ossola al collo, perché penso che allora come oggi
si debba chiedere ragione, con un gesto di questa incredibile follia.
Sono qui e mi solleva tutto questo calore che ricevo dalle persone che
incontro per strada, che mi riconoscono, che mi salutano come se le
conoscessi da sempre, che fanno coraggio a me e a tua madre. Che ha
superato resistenze interiori ben più forti delle mie nello scegliere
di essere qui. Lei, minuta come te, introversa e forte, si dimostra
convinta di quello che sta facendo.
Sono qui, bambina mia, e faccio un sogno ad occhi aperti mentre sto
camminando. Sogno che esista un paese che non sceglie di fare la guerra
per interessi economici, sogno che un altro paese, sempre per interesse,
non gli vada dietro, sogno che due volontarie della cooperazione ricostruiscano
con tanto impegno e dedizione le scuole di una città ed una biblioteca
andata distrutta, e che continuino il proprio lavoro, amate e stimate
dalla popolazione locale.
Sogno che la religione non possa essere presa a pretesto per fare delle
battaglie, di nessun genere.
Sogno che tu e quelli come te possiate raccontare le cose come stanno,
senza essere condizionati, tantomeno accusati, o addirittura rapiti.
Sogno che alle persone possa essere restituita la propria coscienza,
sottratta da anni di imbonitori facili, gli incantabisce, come li chiamavi
da bambina.
Sogno, infine, che quando il giorno della tua liberazione verrà
non ci sia spargimento di sangue. E che nessuno debba farti scudo col
suo corpo per salvarti la vita.
Chi dovrà capire, comprenderà che è stato tutto
uno sbaglio.
Ci sveglieremo dall’incubo e ci riaddormenteremo nel sogno.
Vorrei potertelo raccontare così quando ti faranno ritornare
a casa.
Francesca
Lozito nasce a Chieri, in provincia di Torino, nel 1976. Vive a
Rimini da quindici anni. Di mestiere fa la giornalista. Collabora con
testate locali e nazionali. spazioturchino.splinder.com
Motivazioni della giuria
"Mai come nell’attuale momento storico la memoria
assume un tratto determinante e fondamentale. Perché oggi non
esiste memoria, o almeno non esiste una memoria condivisa bensì
tante memorie divise da ragioni diverse, legate ad un colore politico:
memorie a metà, memorie che non tengono conto dei fatti, memorie
trasfigurate da una dichiarazione e dai moderni mass media che regalano
apparente democraticità e sostanziale omologazione. In tal senso
questa poesia è un inno al ricordo di tempi tristi che videro
giovani combattere tra di loro per un ideale che oggi – forse
proprio grazie a quei giovani – è al sicuro dietro regole
costituzionali che non corrono pericolo.
È il ricordo di una giovinezza passata sui monti non per diletto
ma per salvare la vita, propria e di tutti quelli che ancora non avevano
abbandonato la pianura.
Forse il linguaggio utilizzato è un po’ 'lento', ma chi
se ne frega; il messaggio è troppo alto, troppo bello, troppo
intriso di sangue (da una parte o dall’altra non importa, il colore
è sempre rosso) e necessita di una ripetizione continua, ossessiva.
Per avere chiaro nella mente e nel cuore ciò che è successo.
Per avere chiaro nella mente e nel cuore che ciò che è
successo non dovrà ripetersi mai più." (SM)
"Il testo è apprezzabile per la capacità
dell'autore di rielaborare una vicenda di cronaca in chiave letteraria,
secondo una prospettiva di dinamica interna che collega passato, presente
e futuro." (REG)
"Una lettera 'aperta' che sembra scritta dal padre
di Giuliana Sgrena. Ha valore letterario modesto. Le restituisce dignità
il tono pacato eppure fiero di una persona che vuole ad ogni costo credere
ancora nella società degli uomini." (DB)
"Davvero bello l’attacco. Il testo ha una certa
tenuta e un fondo di amarezza non riconciliata che piace non poco. Affiora
in più punti la retorica e una certa indulgenza verso luoghi
fin troppo tipici di certa narrativa della resistenza. Un po’
di disincanto e cinismo in più avrebbero giovato." (FO)
"È un incedere piano ed elementare senza salti
dell’estro poetico. Ma alcune sintesi hanno grande potere evocativo
e nell’insieme fanno esplodere un mondo di sofferenza, di traguardi
di una vita e di una vita sempre fluente e mai finita. Chi vuol capire
e chi ha gli anni per capire sogna con questo pezzo unità mai
sopite. Si attende il ritorno di ciò che forse non tornerà
più." (AL)
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Astruserie
di Ugo
Perugini Vorrei parole malleabili. Come
cera. Che possa manipolarle, allungarle, deformarle. Spalmarle, sbeffeggiandoti,
sulla tua faccia che sorride. Fino a farne un calco negativo. Sulle
tue labbra aperte, sui tuoi occhi spalancati che mi guardano senza capirmi.
Mi piacerebbe avvolgerle attorno al tuo corpo nudo. Farle aderire ai
tuoi seni, fino a delinearne i capezzoli. Vorrei fartele arrivare tra
le gambe, per tracciare il disegno minuto dei peli ricci del tuo pube,
irriverenti punti interrogativi per un sesso consumato tra mille dubbi.
E infine, riempirtene la vagina, giù fino ai reconditi recessi
dove moriamo ogni giorno nella speranza di rinascere uomini. Ma rinasciamo
bambini, sempre più smarriti. Sempre più indifesi.
Vorrei parole malleabili. Per stirarle con i denti. Farle diventare
lunghe lunghe come chewing gum. Gonfiarle d’aria, per poi farmele
scoppiare sulle labbra, con scrocchio secco. Una pernacchia in faccia
al vostro perbenismo. O permalismo. Vedere i vostri visi imbarazzati.
Ma così non si fa! Il vostro collo che si intirizzisce. Offeso.
È la prima parte del corpo che rende visibile la reazione della
persona indispettita. Lo sapevate? Ma che sapete voi!
Vorrei parole rotolanti come biglie, come perle iridescenti. Da spargere
tra i piedi di chi mi cammina davanti. Fingendo di fargli un favore.
E invece solo per il gusto di trattarlo come un porco. Le perle a chi
le dai? E con l’intento, evidente, di farlo scivolare per terra.
E vederlo scivolare. Dopo aver goffamente cercato di tenersi in equilibrio
remigando con esiti scoordinati le braccia nel vuoto. Istantanea bloccata
dalla mia immaginazione. Click. E poi la scena riprende. Ma rallentata
all’eccesso. Con il gusto del particolare. Il piede destro sulla
prima biglia. La sua inequivocabile perdita d’equilibrio. Il piede
che si piega in modo innaturale. La gamba che cede. Il ginocchio che
si flette. L’altro piede che slitta sulle biglie rimaste. Che
roteano come piccoli mondi di un universo che si fa sberleffo dell’equilibrio
e di te. Che ti credi un dio. Un equilibrio perduto in un secondo. Tanti
problemi per mantenerlo e poi… Il corpo che senza controllo si
catapulta in avanti. Fermo immagine! Vola? Sì, sembra che voli.
È sospeso per aria. A pochi centimetri da terra. Disarticolato
e ridicolo come un burattino. E il viso. Ma l’hai visto il viso?
Un viso senza espressioni. O meglio, quel che si suol dire un’espressione
stupida. Cadi e non ci puoi far niente. Qualche altro fotogramma. È
troppo divertente. Inutile, proviamo gusto ad assistere alle disgrazie
altrui. Ora spalle, collo e testa si avvicinano al suolo. Evviva la
forza di gravità. Bloccala ancora una volta, l’immagine!
Guarda: la mano destra con le dita accartocciate: è già
atterrata, il viso invece è ancora a due centimetri dal suolo.
Un istante prima dell’impatto. Siamo qui ad aspettare il tonfo.
Quando la caduta è iniziata non si può fare altro. Cioè
non si può che aspettare il tonfo. E che tonfo sia! Per scatenarci
in una risata che è un po’ amara ma liberatoria. Guardale
lì le biglie, colorate, screziate, disgraziate, che rimbalzano,
saltabeccano, slittano, schizzano, si disperdono dovunque dopo che il
danno è combinato. E il corpo, peso morto che piomba sollevando
pulviscoli di polvere grigia. Impalpabile.
Vorrei parole che avessero un peso specifico rilevante. Per metterle
sul piatto della bilancia della giustizia che pende sempre dalla parte
del più forte. E, invece, le mie non sono che esili bolle di
sapone, colorate. Che galleggiano nel vuoto, sopra di te, che scoppiano
dopo pochi istanti. E se lo fanno vicino agli occhi bruciano un po’.
Solo un po’. Come quei dispiaceri sottili che cerchi di camuffare
perché gli altri non capiscano che sei sensibile. Forse troppo.
Le parole, invece, soprattutto quelle degli altri, sono fastidiose come
zecche. Ti entrano nelle orecchie e si annidano sotto pelle. Hai voglia
a grattarti come fanno i cani! Con rabbia ottusa e sgraziata. Difficilmente
si staccano. E se lo fanno si sono portate via un po’ del tuo
sangue.
Lasciatemi in silenzio. Non ammorbate più l’aria con le
parole. Non lo farò nemmeno io, lo prometto. Almeno per qualche
istante.
Cinquantasei anni, milanese, giornalista pubblicista, critico d’arte
e scrittore. Ugo Perugini
è specialista nel saltabeccare da un genere letterario all’altro.
Spinto dalla curiosità e dal gusto di mettersi continuamente
in gioco. Anche per evitare di annoiarsi e per sfuggire dalla tetra
piantagione di “banale” in cui viviamo ogni santo giorno.
È in corso di pubblicazione un suo libro per ragazzi, intitolato
Alina, che cammina sul soffitto, edizioni I fiori di
campo, Landriano (PV).
Motivazioni della giuria
"D'Astruserie lodo l'enfasi adoperata: è
stupefacente nell'insieme delle sensazioni. Vorrebbe, lo scrittore,
vorrebbe… 'vorrei parole malleabili come cera', 'vorrei parole
malleabili per stirarle', 'vorrei parole rotolanti, rotolanti come biglie',
'vorrei parole che… vorrei almeno per qualche istante': impasta
ogni sensazione nell'eliminazione dei concetti, rileva elasticità,
morbidezza, fragilità: 'non capiscono che sei sensibile. Forse
troppo'. È figura a me cara, l'interiore che scaraventa al di
fuori del suo involucro nel quale sta stretto, stati d'animo di una
vita non sempre gratificante. Considero che non è capacità
dei tanti saper scrivere in tale modo. Lo scrittore inizia partendo
eliminando dal suo pesante pensiero il carnale delle successioni 'irriverenti
punti interrogativi per un sesso consumato tra mille dubbi' come unica
fonte originaria. Il desiderio umano è espresso ottundendo i
sensi, la capacità descrittiva di tutto ciò che si prova,
dà prova, appunto, di un buon bagaglio di sapere. Lo scrittore
ti abbraccia lasciandoti senza fiato per il piacere di donarti una rinascita.
Di questo scritto amo il silenzio di cui è formato e nel quale
lo scrittore inesorabilmente ti porta come unica alternativa ovvia del
sistema." (PC)
"Quasi un gioco di parole sulle parole stesse. Parole che diventano
oggetti concreti per farne uso diverso e migliore del consueto. Parole
come creta a cui dare forma, vigore, plasticità o durezza."
(DB)
"Il ritmo incalzante trascina in una frenetica sfida in tre tempi:
inizia con una vorticosa ricerca di creatività, si scompone in
adagio come l’immagine al rallentatore e riprende poi ferocemente
fino a concludere con un silenzio vero, udibile." (HP)
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L'Autunno
di Costantinto
Loprete Di un variopinto pulcinella di
mare
quel
beccare
distrae lo sguardo alla finestra,
sconfina nel golfo.
Pronto!?
Mi sto minimalizzando in un contesto
Multimediale:
Non ti ascolto. Ero solo contento di stare
con
te.
Quante nuvole ho fatto?
Fiancheggiato
dai platani
le
foglie
a peso morto l’autunno, uno qualunque
facsimile
incollato all’arcobaleno,
sorriso in corso.
Costantino Loprete, 42-enne
vive a Salerno dove è nato da lucani, (padre camionista di lingua
italo-albanese, madre casalinga). Docente di fisica nella pubblica scuola
superiore. Fuma però non divaga sogni; fotografia, cinema. È
stato recentemente inserito nella nostra Antologia
Pubblica.
Motivazioni della giura
"Per il potere assoluto dell’immagine, per
il narrar leggiadro dell’attimo distratto accompagnato dall’armonia
planetaria dei pensieri che la rispettosa originalità delle parole
mantiene limpidi persino nell’astrattezza della fuga." (HP)
"Qui il poeta riesce a darmi sensazioni dell'ennesima
stagione assente, la più cercata, la più temuta, la più…
disperata. 'Mi sto minimalizzando in un contesto Multimediale'. La malinconia
diviene quasi euforia, non curante del dolore circostante intrinseco
nel poeta, il cui intento è messo a nudo nella semplicità:
lascia un ricordo… come una vecchia foto nella quale il tempo
non altera il sorriso: 'facsimile', 'incollato all'arcobaleno', 'sorriso
in corso'. (PC)
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La camera
delle parole
di Massimo
Andreuccioli
queste parole compongono le pareti, queste frasi non significano
nulla - sono solo la tinta - grotta di chiasso e rumore - ogni logica
svanisce - lentamente si dissolvono il senso e la ragione - cresce lento
lamento - parole strette lettere staccate - non creduto - piuttosto
osservato - ogni linea - ogni fine ringraziamento - occhiali spaziali
- numeri di grazia ricolmi danzano sensuali percepiscono affamati attendono
venerati assassini - martello istantaneo il dispiegarsi di stelle -
un delirio cresce sul muro un frammento di giallo cielo che appena risorge
- la camera che vibra di oscuri sospetti - crescita elettrica la voce
del cuore - freddo e improvviso l'arresto - l'attesa è finita
si può scendere dal nido - si può smettere di strisciare
- il granito dei denti - la fretta assassina la dispersione di un calore
geloso- fuori dal tempo la gioia è presente fuori dal gregge
degli agnelli carnivori la calma si lascia spogliare - la notte giunge
bagnando la pelle del cielo d'inkiostro-pe!
trolio - la mano diventa polvere di ruggine soffiata dentro i polmoni
- superando le stazioni del dolore - il volo elevato al vuoto si arrende-
cresce un disturbo verde rampicante intorno la colonna vertebrale -
sono andato perfino da un medico lo scorso dicembre - con le palpebre
incise - disegni di fiori - segni di streghe e diaboliche imprese -
questi brevi tratti di nulla questa fine senza mistero- morbida cresce
la camera - nervo operaio - la fine assoluta dirige la danza minerale
orgasmo di cori brillanti milioni di colori - la salvezza scelta lenta
processione - formiche di rame scavano gallerie dentro la bianca terra
di carta - formiche di fuoco scavano l'agonia della carne- la gioia
del dolore- santo sangue evapora- rinunce e scalpelli- chiodi e dottrine
piegate- selvaggi e spietati gli innumerevoli sforzi - dentro i giardini
densi di petali e di squame - fuori la camera il vento soffia dentro
i polmoni - e intona un canto con il mio nome - sussurrando tempeste
di!
sabbia - la polizia del pensiero sta arrivando - giunge la m!
arcia di luride ossa - in vibranti scosse feroci avanzano calpestando
- ogni centimetro della pelle del viso - li vedo arrivare - non curante
siedo - e li lascio passare - sfiorandoli appena con il velo della mano
- dentro la camera in attesa - di una porta che si apre - insondabile
vigilia dentro un bosco - ramificazioni verbali - che non portano in
nessun luogo - quindi possono condurre - verso il nulla - la porta che
attendo - lo spazio interrotto - le spalle piegate - la collina d'incenso
sotto le scale - il sacro nutrimento del divino diritto di approfittare
- simultanea digestione del mio stomacomentale - un rutto dentro il
cervello che spazza via i pensieri - una bolla un cristallo di luce
dalle labbra spinta via vola danzando - afferra i veli di azzurre nebbioline
roteando denso calore sul viso candido di un risveglio -
la tartaruga morbida scatola striscia spingendo scivola ogni tiepido
sogno distante d' istante incantato - questo è il pentimento,
il perimetro del pavimento, il pavimento del mento, è la non
struttura portante della camera - o la struttura mollante della camera
se meglio credete - filari d'inchiostro vuoti di senso - puri lineari
estesi luminescenti cortesi - di uno spietato candore - il corpo si
scioglie in schiuma di gialla urina celeste - le parole estese fino
a soffocare il cielo - i ragni sulla giacca preziosi bottoni - razzi
e percussioni - ritmo di miele impastato tra i denti- gloriosa e fiera
noia sbadiglia e fa tremare la terra - magnifico il sussulto degli occhi
svastici da marciapiede - la luna ha deciso - il sole sta scegliendo
- il colore di un sogno di fama tenero d'orgoglio - non lo so non ci
sono stato - mai sceso quelle scale - mai aperto l'armadio - mai detestato
la fune strappata in sfilacciati lamenti - mai ascoltato il rumore -
solo il suono galleggia!
ndo - denso e infinito respiro d'inkiostro - mai bevuto l'odore - occhi
dell' oceano statemi a guardare - orecchio del mondo ascolta questo
balzo - eccomi arrivare - puro è il dilemma - di fango le stagioni
-oscure ragioni - e ragionevole buio - e infine infinita - si apre la
porta
Massimo Andreuccioli
vive a Roma.
Motivazioni della giuria
"Vi è un inconscio messo a nudo o meglio rinchiuso
in una camera quasi una stanza per gli ospiti. Ogni io recondito
e ripudiato è cercato, fiutato e lasciato con estrema grazia
nei nostri quotidiani:
'percepiscono affamati attendono veneranti assassini'. Dello scrittore
danzano stuzzicanti le poetiche dalla sensualità invitante, rende
onore alla bellezza delle parole adoperate per, sempre e comunque, galleggiare:
'Questo è il pentimento, il perimetro del pavimento, il pavimento
del mento'. Piacevole la capacità di giuocare con le parole.
Rende dinamiche emotive provando a dare una logica anche dove apparentemente
non esiste: 'la polizia del pensiero sta arrivando giunge la m! arcia
di luride ossa'." (PC)
"Pensieri brevi che a volte sembrano titoli ispirati;
a separare questi brevi e inespressi nuclei narrativi e tematici delle
lineette. L’idea non è nuovissima e debitrice praticamente
di tutta la beat generation ma almeno c’è del ritmo e il
coraggio (la volontà?), di risultare anche sgradevole."
(FO)
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Segnalati
La
frontiera del ricordo (le chiavi di Arianna)
di Roberta
Marino
La frontiera del ricordo non era stata ancora oltrepassata,
dieci croci sovrastavano il mio presente e le sue tortuose vie. La prima
era il giorno in cui imparai a scrivere, la penna era l’archetto
che sollecitava le corde del pensiero, ma non era una spada, né
una bacchetta magica, semplicemente era il rotolo da cui si dipartiva
il filo del destino, un destino che poche parole sapevano descrivere.
Arianna aveva tre chiavi, una apriva tutte le porte, un’altra
apriva solo la porta del sogno, l’ultima chiudeva il futuro per
sempre.
Arianna non conosceva quale fosse ciascuna di essa. Le aveva sempre
custodite in una grotta popolata da pipistrelli, dove scorreva un ruscello,
tra le pietre bianche. In mezzo a quelle pietre dormivano le chiavi
che risplendevano dorate quando l’alba le colpiva col suo raggio.
Un giorno Arianna decise che era l’ora di conoscere il potere
di quelle chiavi. Si ricordò di come ne era venuta in possesso:
una gliela aveva data Artemide e proveniva da Apollo, non era di oro
ma brillava più di tutte, la dea le aveva detto di custodirla
nell’acqua perché immersa in un torrente avrebbe conservato
la sua energia; l’altra gliela aveva data Afrodite con la promessa
di non cederla mai a nessuno, anche se un giorno, dopo averla usata
avrebbe dovuto restituirla al dio del mare; l’ultima l’aveva
trovata nel deserto, un serpente l’aveva da sempre custodita,
non era un caso che la chiave fosse d’oro, era più pesante
delle altre e luccicava nell’acqua.
Quale potere avesse ognuna di esse le era ignoto, ma era anche il motivo
che la spingeva a recarsi nella grotta solo per guardarle e fantasticare
su quali porte avrebbero aperto.
Arianna scelse la prima quella che proveniva dal sole e non appena ebbe
fatto la sua scelta davanti a lei si aprì immensa la porta del
sogno. Ella passò attraverso quella porta e scomparve tra i bagliori.
Raggiungere Arianna, quel giorno con la penna in mano, quella era diventata
la mia ambizione.
Roberta
Marino è nata il 27 Gennaio 1977 a Conegliano (TV), ma vive
a Catania dove frequenta la Facoltà di Scienze della Comunicazione
e lavora come web designer. Nel '97 ha pubblicato la sua prima raccolta
di poesie Farfalle nell'abisso per la casa editrice
romana Laurus Robuffo. La raccolta contiene poesie scritte durante il
Liceo, tra i quattordici e i diciotto anni. Nel 2003 è uscita
con la casa editrice Il Foglio Letterario, la raccolta Sconvolgimenti
che contiene poesie dedicate all’amore, all’estasi, al sogno,
all’incubo. Alcune sue poesie sono state tradotte in finlandese
per una antologia di poeti siciliani curata dalla scrittrice Anu Rinkinen.
Vive la poesia come linguaggio dell'inesprimibile, rivelazione dell'inconscio,
condensazione delle energie psichiche.
Motivazioni della giuria
"L'autore dimostra la capacità di realizzare
una narrazione in cui la realtà viene sfumata attraverso il filtro
della memoria e della rievocazione mitologica, da cui si possono ricavare
sensi profondi dell'esperienza di vita." (REG)
"Il poema, che può sembrare parte di una poesia
più lunga, si sintonizza sui topoi idilliaci della Arcadia silvestre
per una rielaborazione onirica di miti e leggende avvinte alla rivelazione
della nascita poetica." (HP)
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La
cuoca tra i ghiacci
di Stefania
Corrocher
Quella casa, lassù sulle nuvole, ha solo un solstizio:
quello d’inverno. Il gelo le ha murato un volto di ghiaccio, un
cristallo trafelato di nebbie.
Fuori è tutto un bosco, fitto di dubbi. La casa è abitata
da statue di neve un tempo animate di sole, ma da quando il tempo è
caduto, tutto si è come fermato, rappreso nella vanità
delle cose. È stata una tempesta di primavera inoltrata a spostare
l’asse : è arrivato il gelo che ha seccato tutto, compreso
le buone azioni: niente è più lo stesso, persino le fontane
del giardino fiorito sono gelate, e tra i fiori resiste solo il profumato
calicanto tra stecchi segreti. Non è tristezza, la stagione essenza,
tra il breve inverno e inverno seguente è motivo di speranza,
e rende il tutto denso di attesa, lenta, prigioniera del bianco ora,
ma se il bianco smette di vorticare e si ferma, spiegherà in
se tutti i colori, a partire dalla terra ferma.
Un tempo le statue erano vive: persone, coi loro bronci e i loro sorrisi,
e la casa era gialla di vita che scorreva veloce, materia radicata nella
terra natia : vite olivo papaveri, girasoli cipressi grano, boschi di
querce e d’erica, tra solide mura di pietra.
Un tempo: il tempo regnava, appiccicandosi alle ombre, assorbendo o
esplodendo i colori come in stagioni del cuore, sicure del loro ritorno.
Il tempo era azione, fanciullo eccitato con la fionda , freccia scagliata
sulla roccia , in cima alla salita. Ma i fiumi della terra madre non
erano miele e l’aria era viziata da una densa cappa d’incenso…
così il tempo si lavava le mani sul sangue dell’IO.
La casa era abitata da persone, parenti – apparenti, riti, saluti
e segreti che forzavano l’anima, della casa, al rancore: intonaco
fiorito di muffa; nella casa-villaggio serpeggiavano rampicanti di regole,
tacite al sole, radicatesi nelle crepe tra i sospiri. Ma tutto filava,
tessuto nel giudizio che tutto copriva, fino a rendere inutile la pioggia
celeste; neppure il sereno allentava la morsa, anche se la pellicola
della vita, a volte, spesso? Girava a vuoto.
Adesso è quiete. Una preghiera a fette aspetta sul vassoio. Non
ci sono invitati: il salone è vuoto e stampe storiche fissano
princìpi antichi su pareti scarne, in cucina, è rimasta
la cuoca dei monti Sensi, stretta nello spazio tra fornelli e acquaio
a fare a pezzi le paure: calde tra i ghiacci. Non è sola. In
alto, nella torre d’avorio c’è la figura di Cristallo
che nella notte più corta dell’anno si muove e sventola
la bandiera di stelle per svegliare tutti i sogni : il giorno dopo è
già primavera, anche solo di un giorno, e tutto si commuove ridendo,
come per magia. Cristallo e la cuoca dei Sensi si incontrano casualmente
solo quel giorno, sul letto d’edera riemerso tra i boschi, e lei
gli fa la solita domanda, tutte le volte gli chiede: “Ho perso
la ragione, la stavo allevando nel bosco dei dubbi, e mi sono rimaste
solo le paure, non sai…dove posso cercarla?”
Lui la bacia, lei si intenerisce, lui si scioglie dentro di lei, nascono
tutti i fiori, le dice: “La ragione, non si trova: nasce, rinasce
ogni volta” e riconoscendosi negli occhi silenziosamente leggono:
dall’incontro di sogni e bisogni.
Stefania
Corrocher vive a Quarrata in provincia di Pistoia.
Motivazioni della giuria
"È un bel racconto in forma di poesia con
una struttura, un
inizio e una fine. Alcuni elementi sono citati e poi acutamente ripresi
creando così l’impressione del racconto. Alcune trovate
geniali ('… serpeggiano rampicanti di regole, tacite…')
sembrano fini a sé stesse ma alle attente riletture si scoprono
contributi inaspettati. Ricorda per certi aspetti il pastore errante
leopardiano." (AL)
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Io:
storia naturale
di Annalisa
De Ruvo
All’inizio della mia gioventù dormivo. L’umidità
della terra penetrò il guscio che mi proteggeva, impregnò
la mia carne e sciolse il mio sangue. Quando poi sentii il calore della
luce mi alzai. Infilai le mani nel terreno e, rompendo le zolle con
le dita, bevvi. Tendendo le braccia aprii le palme contro la luce e
spandetti il mio sudore verso il cielo. Così restai, crescendo
paziente nella penombra. Finché raggiunsi il sole e distesi centinaia
di mani a raccoglierlo.
Nacqui che non ero che un tubicino, ma ora sono bello e forte. Gonfio,
disteso, viaggio avventurosamente tra le radici dell’albero. Incontro
ricami di funghi, batteri nuotanti nel buio, alghe, frammenti di rocce,
prati di resi marcescenti nel mio viaggio. Tutto mi passava attraverso,
mi nutre e rinasce dietro me. Quando avrò percorso troppa strada
e non avrò più fame, nulla mi attraverserà più,
ed io finirò.
Io, migliaia di io, di cui non ricordo l’origine, viviamo ora
su questa setola di lombrico.
Nacqui coperto del sangue che mi aveva protetto, riempii i miei polmoni
del sudore degli alberi ed offrii la mia pelle ai batteri che mi avrebbero
sciolto un giorno. Così entrai nel mondo, bevendo seduto sul
cuore di mia madre. Fui ripulito del sangue perché me ne dimenticassi.
Vissi conoscendo e ordinando il mondo senza parole, ed anche questo
scordai. Persi così le cose senza nome, e tutto ciò che
non seguiva il mio tempo, fosse immobile o effimero.
Io poggio qua. Non vi erano alberi sopra di me, né erba o terreno
sotto di me. Di me era fatto sopra, sotto ed accanto. Di me è
fatto questo suolo, ed io sono negli alberi, nell’erba ed in voi
che passate. Ma io non ho voluto nulla, non ho nulla desiderato. Tutto
è accaduto. Ho visto l’acqua, il sole, il vento, le alghe,
i muschi, i funghi, i batteri, i vermi, gli insetti sgretolarmi e mischiarsi,
morire nascere, crescere, mescolarsi di nuovo. La mia memoria è
troppo antica perché possa distinguere uomini e lombrichi. Né
alcuna importanza hanno per me alberi o erba, uomini o lombrichi, o
lo scorrere del tempo: percui non ho memoria di nulla.
Ed io, essere umano, che ho contato per abitudine i cicli delle stagioni
dalla mia nascita, e, seguendo la stessa abitudine, ho finito per contare
i millenni della mia specie, di cosa ho memoria? Cosa ha importanza
per me? Cosa voglio? Almeno io sono importante per me stesso? Perché
se è così, ricordami che sono fatto della luce del sole,
del sale che l’acqua ha sciolto dalle pietre, dell’azzurro
che le piante hanno espirato nel cielo prima, durante e dopo di me.
Annalisa De Ruvo, al suo trentasettesimo
anno di età, vive a San Mauro Pascoli, dove lavorano anche le
donne, con Nunzio ed i loro figli Giulia e Luca. Si è laureata
in biologia per colpa di un’attrazione verso le forme (non ve
ne sono di più varie che in natura) mescolata ad una curiosità
sul funzionamento del mondo vivente (il Mondo con la maiuscola, per
noi tapini viventi). Si occupa di educazione ambientale per missione
e disegna per passione. Cambierebbe volentieri la sua vecchia citroen
per una vecchia auto a metano.
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