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FARANEWS
ISSN 15908585
MENSILE DI
INFORMAZIONE CULTURALE
a cura di Fara Editore
1. Gennaio 2000
Uno strumento
2. Febbraio 2000
Alla scoperta dell'Africa
3. Marzo 2000
Il nuovo millennio ha bisogno di idee
4. Aprile 2000
Se esiste un Dio giusto, perché il male?
5. Maggio 2000
Il viaggio...
6. Giugno 2000
La realtà della realtà
7. Luglio 2000
La "pace" dell'intelletuale
8. Agosto 2000
Progetti di pace
9. Settembre 2000
Il racconto fantastico
10. Ottobre 2000
I pregi della sintesi
11. Novembre 2000
Il mese del ricordo
12. Dicembre 2000
La strada dell'anima
13. Gennaio 2001
Fare il punto
14. Febbraio 2001
Tessere storie
15. Marzo 2001
La densità della parola
16. Aprile 2001
Corpo e inchiostro
17. Maggio 2001
Specchi senza volto?
18. Giugno 2001
Chi ha più fede?
19. Luglio 2001
Il silenzio
20. Agosto 2001
Sensi rivelati
21. Settembre 2001
Accenti trasferibili?
22. Ottobre 2001
Parole amicali
23. Novembre 2001
Concorso IIIM: vincitori I ed.
24. Dicembre 2001
Lettere e visioni
25. Gennaio 2002
Terra/di/nessuno: vincitori I ed.
26. Febbraio 2002
L'etica dello scrivere
27. Marzo 2002
Le affinità elettive
28. Aprile 2002
I verbi del guardare
29. Maggio 2002
Le impronte delle parole
30. Giugno 2002
La forza discreta della mitezza
31. Luglio 2002
La terapia della scrittura
32. Agosto 2002
Concorso IIIM: vincitori II ed.
33. Settembre 2002
Parola e identità
34. Ottobre 2002
Tracce ed orme
35. Novembre 2002
I confini dell'Oceano
36. Dicembre 2002
Finis terrae
37. Gennaio 2003
Quodlibet?
38. Febbraio 2003
No man's land
39. Marzo 2003
Autori e amici
40. Aprile 2003
Futuro presente
41. Maggio 2003
Terra/di/nessuno: vincitori II ed.
42. Giugno 2003
Poetica
43. Luglio 2003
Esistono nuovi romanzieri?
44. Agosto 2003
I vincitori del terzo Concorso IIIM
45.Settembre 2003
Per i lettori stanchi
46. Ottobre 2003
"Nuove" voci della poesia e senso del fare letterario
47. Novembre 2003
Lettere vive
48. Dicembre 2003
Scelte di vita
49-50. Gennaio-Febbraio 2004
Pubblica con noi e altro
51. Marzo 2004
Fra prosa e poesia
52. Aprile 2004
Preghiere
53. Maggio 2004
La strada ascetica
54. Giugno 2004
Intercultura: un luogo comune?
55. Luglio 2004
Prosapoetica "terra/di/nessuno" 2004
56. Agosto 2004
Una estate vaga di senso
57. Settembre2004
La politica non è solo economia
58. Ottobre 2004
Varia umanità
59. Novembre 2004
I vincitori del quarto Concorso IIIM
60. Dicembre 2004
Epiloghi iniziali
61. Gennaio 2005
Pubblica con noi 2004
62. Febbraio 2005
In questo tempo misurato
63. Marzo 2005
Concerto semplice
64. Aprile 2005
Stanze e passi
65. Maggio 2005
Il mare di Giona
65.bis Maggio 2005
Una presenza
66. Giugno 2005
Risultati del Concorso Prosapoetica
67. Luglio 2005
Risvolti vitali
68. Agosto 2005
Letteratura globale
69. Settembre 2005
Parole in volo
70. Ottobre 2005
Un tappo universale
71. Novembre 2005
Fratello da sempre nell'andare
72. Dicembre 2005
Noi siamo degli altri
73. Gennario 2006
Un anno ricco di sguardi
Vincitori IV concorso Pubblica con noi
74. Febbraio 2006
I morti guarderanno la strada
75. Marzo 2006
L'ombra dietro le parole
76. Aprile 2006
Lettori partecipi (il fuoco nella forma)
77. Maggio 2006
"indecidibile santo, corrotto di vuoto"
78. Giugno 2006
Varco vitale
79. Luglio 2006
“io ti voglio… prima che muoia / rendimi padre” ovvero
tempo, stabilità, “memoria”
79.bis
I vincitori del concorso Prosapoetica 2006
80. Agosto 2006
Personaggi o autori?
81. Settembre 2006
Lessico o sintassi?
82. Ottobre 2006
Rimescolando le forme del tempo
83. Novembre 2006
Questa sì è poesia domestica
84. Dicembre 2006
La poesia necessaria va oltre i sepolcri?
85. Gennaio 2007
La parola mi ha scelto (e non viceversa)
86. Febbraio 2007
Abbiamo creduto senza più sperare
87. Marzo 2007
“Di sti tempi… na poesia / nunnu sai mai / quannu finiscia”
88. Aprile 2007
La Bellezza del Sacrificio
89. Maggio 2007
I vincitori del concorso Prosapoetica 2007
90. Giugno 2007
“Solo facendo silenzio / capisco / le parole / giuste”
91. Luglio 2007
La poesia come cura (oltre il sé verso il mondo e oltre)
92. Agosto 2007
Versi accidentali
93. Settembre 2007
Vita senza emozioni?
94. Ottobre 2007
Ombre e radici, normalità e follia…
95. Novembre 2007
I vincitori di Pubblica con noi 2007 e non solo
96. Dicembre 2007
Il tragico del comico
97. Gennaio 2008
Open year
98. Febbraio 2008
Si vive di formule / oltre che di tempo
99. Marzo 2008
Una croce trafitta d'amore
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Numero 48
Dicembre 2003
Editoriale:
Scelte di vita
La fine dell'anno è anche un tempo di bilanci.
La vita può essere definita come lo spazio delle scelte: se l'uomo
non può scegliere è privo di libertà, e senza libertà
non c'è spazio né storia. In questo numero denso di parole
vitali, libere, vere saremo accompagnati da Drazan Gunjaca,
padre Paolo Maria, Enrica Musio, Mohamed
Ghonim, Miloud. Segnaliamo infine alcuni siti
interessanti. Buon Natale e felice 2004!
Si
chiama guerra
di Drazan Gunjaca
Finisci così in una specie di letargo, ti raggiunge
una stanchezza incomprensibile, e aspetti che qualcosa ti smuova da
quell’apatia. Possibilmente qualcosa di bello. È umano
sperare anche quando non ha scopo, non è vero?
L’altro giorno ho iniziato a scrivere una specie di saggio sulla
globalizzazione e mi sono arreso. A dire il vero, non c’è
più niente da dire che non sia già stato detto. Si possono
eventualmente rielaborare alcuni vecchi temi in un modo nuovo. Di far
questo non avevo voglia. E poi sono successe alcune cose brutte... O
meglio, continuano a ripetersi le stesse cose brutte, ma in modi nuovi.
Forse c’è del senso nello scrivere di questo, adattandosi
alle loro nuove modalità.
Comunque sia, a causa di questi eventi brutti ho lasciato perdere il
saggio e contro voglia sono tornato al mio tema più odiato –
la guerra. Però, già che abbiamo toccato la globalizzazione,
partiamo da lì.
Se tutto è stato globalizzato, ed è vero, perché
la maggioranza delle persone pensa che le guerre non sono state globalizzate?
Non sono diventate di tutti noi: un “patrimonio” comune?
Perché le consideriamo sempre come se fossero di qualcun altro,
finché non bussano alla nostra porta? O meglio, perché
facciamo finta di non sentire che bussano continuamente a quella stessa
porta? Pensiamo forse che le serrature messe in fretta o i sistemi di
sicurezza all’avanguardia terranno fuori dalla nostra porta i
visitatori non voluti?
Passiamo al singolare, perché tutte le guerre hanno talmente
tante cose in comune che non ha proprio senso parlarne al plurale. Dunque,
non capiamo che la guerra ci bussa alla porta non perché le nostre
serraturine la possono fermare, ma per illuderci con la nostra ingenuità.
La guerra è una creatura piena di curiosità. Le interessa
sapere fino a dove arriva la cecità degli uomini. E poi, quando
capisce che non ha limiti, non ne può più della sua elementare
educazione (che all’inizio rispetta sempre) e ritorna alla sua
natura originale.
Intendiamoci, non è che fa finta di essere qualcos’altro,
all’inizio. Anzi. Probabilmente si diverte un po' per il fatto
che la gente le dà diversi nomi, tutti eccetto quello vero. Ed
il suo vero nome è guerra. Niente di troppo difficile da ricordare
o capire. Almeno ci sembra così.
E quando finalmente la chiamiamo col suo nome, e dobbiamo farlo, prima
o poi, allora per molti è già troppo tardi.
D’altra parte, se vogliamo essere onesti verso di lei e verso
noi stessi, dobbiamo ammettere che la sua reazione è abbastanza
logica. Infatti, una totale sottovalutazione che si avvicina a una provocazione,
di una cosa talmente forte, impetuosa e arrogante, deve finire male.
Naturalmente, innervosita da tanta ignoranza assurda, si infiltra fin
troppo facilmente nel nostro piccolo mondo e ne diventa padrona assoluta.
Prima di tutto rompe tutte le nostre serrature, disattiva i sistemi
di sicurezza, poi denuda la nostra incapacità a tal punto che
le nostre vite si riducono a un attimo.
Un attimo che può durare un’ora, un giorno, o un anno...
Dipende dall’umore della padrona delle nostre vite. E la guerra
è senz’altro la padrona peggiore. E perché dovrebbe
essere migliore con tanti sudditi che umilmente aspettano il suo arrivo?
Dicono che anche le guerre hanno i loro padroni. Ne dubito. Chi sono?
Semplici servi che la guerra usa spudoratamente proprio come le vittime
innocenti di quegli stessi umili servitori. Ricordiamoci per un momento
di alcuni tra i più grandi “signori” della guerra.
Per esempio Attila, Hitler, non ha importanza. Ricordiamoci come sono
finiti. Non è così che finiscono i signori, i padroni:
così finiscono i servi.
Riflettiamo un po': da dove sono venuti questi “padroni”,
chi li ha creati... Noi. Con il nostro comportamento descritto prima.
È incredibile quanto si può fare non facendo niente.
Sto divagando. In effetti, non avevo un tema speciale né un intento
speciale, già che c’ero volevo dire che la guerra sarà
anche in futuro, quando vorrà, la sacrosanta padrona delle nostre
vite finché non avremo la forza di chiamarla col suo vero nome
e per tempo.
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La
parabola della mia vita (seconda parte)
(la prima parte è stata pubblicata nel n.
30 di Faranews)
Comprendevo che il mio bisogno profondo era “bisogno
di Dio”, così decisi di alzarmi e di andare da mio Padre,
quello del cielo. Era venuto il momento di confessare il mio peccato
e riconciliarmi con Dio.
«Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse
incontro, gli si gettò al collo e lo baciò.
Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te;
non sono più degno di esser chiamato tuo figlio.
Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più
bello e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi.
Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché
questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto
ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa» (Lc 15,20-24)
Chiesi dunque a don Giuseppe se fosse disponibile per la confessione.
Era Domenica mattina; prima di pranzo ci sarebbe stata la Messa e questa
volta sentivo il desiderio di parteciparvi pienamente, con la comunione
eucaristica.
Quando raggiunsi il Don, su una piccola altura poco più sopra
il rifugio, mi sembrava di essere atteso da molto tempo e mi sentii
accolto da un caldo e forte abbraccio. Con lui c’era un Padre
che mi aspettava da tanti anni, potrei dire da una vita, e che non vedeva
l’ora di riabbracciarmi.
Fu una “confessione fiume”, sia perché durò
a lungo (c’erano parecchi anni e molti peccati che mi pesavano
sulla coscienza), ma anche per il fatto che mi sciolsi in un fiume di
lacrime; lacrime di pentimento e di dolore per il male che avevo fatto,
lacrime di gioia e di stupore per l’amore e il perdono del Signore.
Fu per me una vera esperienza di rinascita, di risurrezione: da morto
che ero per i miei peccati mi ritrovai pieno di vita per la grazia di
Dio. Io ritornavo al Signore per confessargli il mio peccato, la mia
indegnità e Lui mi rispondeva non tenendone minimamente conto,
come non fosse successo niente, rivestendomi con la sua misericordia
e preparando per me una gran festa, la festa più bella che potessi
mai ricevere.
Uscii da quell’incontro con le lacrime agli occhi ed il cuore
che scoppiava di gioia; con la certezza che Dio si era fatto presente
nella mia vita, mi aveva aspettato ed attirato a Sé, per donarmi
tutto il suo amore, nonostante io non lo meritassi, per farmi comprendere
che Lui era infinitamente più grande del mio peccato e che io
non potevo più vivere senza di Lui.
Fu veramente una festa, la festa del perdono e della fede ritrovata.
Festa che trovava il suo compimento e la sua pienezza nella celebrazione
dell’Eucaristia, la festa delle feste.
Corsi a prepararmi per giungere in tempo all’appuntamento, al
banchetto dell’Agnello di Dio, per potermi sedere anch’io,
questa volta, a mensa con Dio e con i fratelli.
Ricordo che partecipai a quella Messa con grande “emozione”
ed “attenzione”, come fosse la mia “prima Comunione”;
ed in certo senso era proprio così, dopo anni di abbandono e
d’astinenza…
Ora ero lì in modo molto più consapevole e responsabile,
soprattutto volevo esserci, stavolta l’avevo scelto io.
Da quel momento è avvenuto in me un cambiamento sostanziale,
direi fondamentale: avevo riscoperto Dio presente e operante nella mia
vita e non potevo né volevo più farne a meno. La Sua presenza
ora non era più di “disturbo” o indifferente, ma
decisamente essenziale; sentivo che non potevo più fare a meno
di Lui, come dell’aria che respiriamo e della luce che c’illumina.
Oramai Dio era per me “il Signore”, il centro e punto di
riferimento di tutta la mia vita.
Forse ti potrà sembrare troppo “esagerato” e repentino
questo cambiamento; in realtà non c’è stato nulla
di forzato né d’innaturale, semplicemente ad un certo punto
è scoccata una scintilla, si è accesa una luce ed io ho
incominciato a vedere… Nulla era più come prima, come se
avessi cominciato a credere in quel momento per la prima volta, come
se il mio battesimo e la mia fede avessero preso vita lì e ora.
Quindi anche le mie scelte ed i miei comportamenti ora non potevano
più essere quelli di prima, come se il Signore non ci fosse o
non mi riguardasse; tutto ormai doveva passare per lui e fare riferimento
a Lui, anche il rapporto con Cristiana…
Fu il primo pensiero che attraversava la mia mente: non potevo tenere
nascosto il miracolo avvenuto in me, le meraviglie fatte in me dal Signore
e la prima persona a cui raccontare queste “grandi cose”
era certamente colei con cui stavo condividendo tutta la mia vita.
Presi carta e penna e scrissi una “lettera fiume” alla mia
ragazza, cercando di raccontarle meglio che potevo quanto mi era accaduto,
cosa era cambiato dentro di me e di conseguenza cosa “doveva”
cambiare tra noi due. Il nostro rapporto infatti non poteva rimanere
al di fuori dell’incontro con Dio e del riferimento a Lui. Tra
noi e sopra di noi ora ci doveva essere il Signore; per me questo era
chiaro ed essenziale, non potevamo continuare a stare insieme come se
Lui non ci fosse o non ci riguardasse… Questa era la mia scelta,
che chiedevo di condividere con lei.
Ovviamente dicendo che Dio doveva essere al centro del nostro rapporto,
intendevo che fosse presente in tutti gli aspetti, anche in quello fisico,
anche nel nostro modo di vivere l’affettività e la sessualità,
anzi a cominciare proprio di lì.
La nostra relazione infatti era fortemente caratterizzata dalla componente
sessuale (come avviene del resto in ogni relazione di coppia); avevamo
però deciso insieme di non affrettare i tempi, di non avere rapporti
completi prima di una scelta definitiva, come poteva essere il matrimonio…
per il resto, non ci eravamo proposti altre “rinunce”.
Soltanto allora quindi vidi più chiaramente che anche in quella
scelta non mancava una buona dose di egoismo e di comodo personale;
se non volevamo avere rapporti completi, in fondo era anche per paura
di “conseguenze” inopportune e indesiderate…!
Se volevo perciò mettere il Signore al centro della mia vita
non potevo far finta di nulla, fingendo di non capire e di non vedere.
Ora era molto più chiaro, il mio comportamento doveva cambiare
anche con Cristiana, anche riguardo la sessualità. Pure questo
scrissi a Cristiana e lei fu contenta e disponibile ad intraprendere
questo “nuovo cammino” (almeno credo), senza nascondere
il suo stupore per questo mio cambiamento “radicale” ed
inaspettato.
In questa direzione dunque erano orientate le mie scelte e tornando
a casa mi buttai subito a realizzare quanto avevo scoperto e proposto
nel mio cuore. Certo io ero ben lontano dall’aver già raggiunto
questi propositi, anzi ero solo all’inizio dell’impresa,
ma la mia trasformazione interiore era incominciata; ciò contava
più di ogni altra cosa.
Con Cristiana incominciammo subito ad impostare le cose secondo il “nuovo
orientamento”; non fu cosa facile né immediata (per tutti
e due), ma la motivazione e la decisione – soprattutto in me –
erano più forti delle stesse emozioni e passioni. Era un cammino
da percorrere, con fedeltà e costanza, con gioia e serenità,
pur con fatica e cadute.
Non c’era solo questo aspetto però, anzi non era nemmeno
la cosa più importante. Un nuovo interrogativo si affacciava
e s’imponeva nel mio spirito: qual era la mia “strada”,
cosa voleva il Signore da me? Ora, dopo averLo ritrovato, dopo aver
scoperto il suo disegno d’amore e di misericordia su di me, qual
era il mio posto in questo mosaico? Come potevo realizzare pienamente
e felicemente la mia vita? Era ancora con Cristiana il mio futuro, il
matrimonio la mia prospettiva, o un’altra strada si prospettava
all’orizzonte? Forse che il Signore mi chiamava a farmi…
prete???!!!
Ovviamente anche questi pensieri erano oggetto delle mie confidenze
con Cristiana; di conseguenza le difficoltà o i momenti di crisi
che incontravo nel rapporto con lei mi ponevano in modo più forte
e radicale di fronte a questi interrogativi. Certo ancora non era chiara
in me una “strada diversa” e precisa, né tanto meno
pensavo già di farmi prete o frate; ciò che emergeva in
quel momento era la domanda, che come un tarlo continuava a lavorarmi
dentro ponendo in discussione la mia situazione attuale e nello stesso
tempo prospettandomi anche solo la possibilità di una via inaspettata.
Si trattava di non avere fretta, di prendere sul serio le mie domande
come pure il rapporto con Cristiana, di non accontentarmi di risposte
affrettate e superficiali, né tanto meno di accantonare i “problemi”,
ma di voler andare fino in fondo, nell’uno e nell’altro
senso.
Mi si prospettava davanti un “lavoro” impegnativo, non facile
e certamente di non breve scadenza, ma nondimeno entusiasmante e significativo:
era ciò che dava pieno senso alla mia vita in quel momento. Inoltre
l’inizio di questo “cammino interiore” veniva a coincidere
con un’altra “partenza” già annunciata ed ormai
imminente: l’anno di militare.
Contrariamente e stranamente a come funziona di solito, non ero dispiaciuto
di partire, ma vedevo questo tempo come un “banco di prova”
per la mia fede da poco ritrovata, per il mio fidanzamento, per la mia
“vocazione”… Certo, umanamente sentivo tutto il peso
di dovermi allontanare dalle persone care, soprattutto da Cristiana,
ma ero certo che questo tempo lontano e così particolare come
il servizio di leva, sarebbe stato prezioso per il mio percorso appena
iniziato, un tempo che avrebbe favorito – se vissuto bene –
l’approfondimento e la chiarificazione interiore.
Così, con le lacrime agli occhi ed il cuore gonfio di tristezza
mista a gioia e speranza sono partito per un lungo viaggio: destinazione
Lecce, dove mi aspettava il CAR avanzato come “servente radiofonista”
sui carri armati “Leopard”; era il 25 settembre del 1985.
Le mie prospettive e previsioni si sono rivelate “azzeccate”
fin da subito. Anzitutto il rapporto con i miei compagni e con l’ambiente
militaresco: ho intessuto relazioni positive con tante persone, improntate
alla familiarità e cordialità (per quanto sia possibile
in una caserma); ho stretto legami sinceri e profondi con alcuni in
particolare dando vita ad una vera amicizia. Nonostante tutto (il “contorno”
della “naia” non è certo entusiasmante) stavo proprio
bene ed ero davvero contento.
Al cuore ed al fondo di questi rapporti vi era un altro rapporto che
continuavo a coltivare sempre più in profondità ed al
quale non potevo né volevo rinunciare: quello con il Signore.
Il desiderio di Lui, di metterlo al centro della mia vita e della mia
giornata cresceva anziché diminuire; sentivo il bisogno di pregare,
mantenendo in questo modo più vivo il rapporto con Lui. Perciò
riuscivo a ritagliarmi i tempi per le Lodi o i Vespri, per leggere il
Vangelo o recitare il rosario, non importava dove fossi, se in camerata
o sull’altana di guardia o addirittura sul carro armato…!
Anche alla Messa andavo ogni Domenica, se potevo, e non mi vergognavo
di mostrarmi né dirmi cristiano.
Senza ostentazioni o atteggiamenti appariscenti, ma nemmeno senza nascondermi
procedevo nel mio cammino con decisione e semplicità: non avevo
nessuna pretesa di convertire nessuno, solo volevo vivere in modo pieno
e convinto la fede ritrovata; e questa “luce” non poteva
restare nascosta… I miei compagni infatti notavano il mio comportamento,
mi vedevano certamente pregare o andare a Messa, a volte mi facevano
domande o mi chiedevano ragione delle mie scelte ed io chiaramente rispondevo;
sempre mi rispettavano o addirittura mi ammiravano, altre volte qualcuno
veniva a Messa con me!
Come dicevo, questo anno di leva sarebbe stato certamente un buon “banco
di prova” anche per il mio rapporto con Cristiana. Ovviamente
lei era sempre nei miei pensieri, com’è normale che sia
tra due fidanzati…; ci sentivamo molto spesso, con lunghi colloqui
telefonici, a volte le scrivevo delle letterone, sentivo una forte nostalgia
di lei… In quell’anno ci siamo incontrati più volte:
al giuramento, quando fui trasferito al Corpo (dopo un mese e mezzo
a Lecce siamo partiti con destinazione Casarsa della Delizia-PN), quando
tornavo a casa per qualche giorno di licenza… Ogni volta era un’esperienza
al contempo di gioia e dolore; sentivo il desiderio e l’attrazione
di lei, di stare insieme, ma un sacco di dubbi ed incertezze mi attanagliavano
il cuore e mettevano in discussione lo stare con lei e quella scelta
di vita “per sempre”… Come e cosa dovevo fare? Non
lo sapevo neanch’io! Come sempre la rendevo partecipe di tutte
le mie titubanze e domande; di una cosa però ero certo: non volevo
prendere decisioni affrettate. Da parte mia sentivo che il nostro fidanzamento
sarebbe potuto finire, anche in quel momento, ma nello stesso tempo
volevo ancora darmi e darci tutto il tempo necessario: una volta terminato
il militare, potevamo affrontare insieme la situazione di “stallo”,
di crisi che s’era venuta a creare e giungere così ad una
decisione motivata e serena, qualunque essa fosse…
Cristiana però non ebbe la pazienza di aspettare; per lei evidentemente
le cose non stavano proprio così. Credo che la mia titubanza
ed i miei interrogativi avessero favorito in lei la convinzione che
la nostra storia sarebbe finita prima o poi… Così, tornando
a casa in licenza a poco più di un mese dal congedo, trovai la
“sgradita sorpresa”: Cristiana mi aveva già lasciato,
“non mi amava più”, come diceva ed il suo cuore batteva
ora per qualcun altro…! Fu un duro colpo, come un fulmine a ciel
sereno, come il brusco risveglio da un bel sogno, eppure era proprio
così.
Non riuscivo a farmene una ragione, a darmi pace: io ero quello pieno
di dubbi e di domande, che non era convinto di continuare il fidanzamento,
ma che voleva aspettare ad interromperlo; ed ecco arrivare la sua decisione
netta ed “improvvisa”, come una spada che recide di colpo
ogni legame senza possibilità di ritorno. È vero che io
avevo “preventivato” la possibilità di porre termine
alla nostra storia; non era questo che mi aveva spiazzato; non il fatto
che fosse finita dunque, ma il “come” lo era. Mi sentivo
tradito, soprattutto per la mancanza di sincerità e di chiarezza;
in fondo però la sua reazione era comprensibile, potevo aspettarmela
e soprattutto non dovevo fargliene una colpa. Ci siamo lasciati in pace,
senza rancori né dissapori, anche se il mio cuore continuava
a sanguinare e la ferita mi bruciava terribilmente.
Nel profondo di questo cuore ferito però, regnava una certezza:
avevo fatto tutto quanto potevo per affrontare con responsabilità
le mie scelte, perciò l’esito di quella vicenda era un
segno chiaro della direzione da seguire. Ora non c’era più
Cristiana, né un rapporto da consolidare o tanto meno da ricercare;
ora ero “libero” da ogni altro impedimento od interesse
che non fosse quello di ricercare e scoprire la mia strada. Questo mi
dava tanta serenità e tanta gioia ed il dolore dell’affetto
ferito e tradito veniva lenito a poco a poco dal desiderio e dalla ricerca
di quella “nuova passione”: la “mia” vocazione!
Terminato il servizio militare dunque, mi sentivo finalmente pronto
per tuffarmi in questa nuova avventura.
Anzitutto dovevo trovarmi un lavoro che tenesse occupate le mie giornate
e che mi permettesse di guadagnarmi qualche soldino per non essere completamente
mantenuto dai miei genitori; un lavoro però che mi lasciasse
spazi e tempi necessari per dedicarmi alla mia ricerca interiore ed
“esteriore”. Lo trovai presso un ex collega di lavoro di
mio padre: un negozio di articoli da giardino e ricambi agricoli; aveva
bisogno di un aiutante “tuttofare” e di fiducia e fu ben
contento di assumermi subito.
Così incominciai la mia “gavetta”, in un clima decisamente
cordiale e familiare. Mario – il padrone del negozio – ci
provava a coinvolgermi maggiormente nel lavoro, con proposte di maggiori
responsabilità e di prospettive future, ma io glissavo sempre
le sue “offerte”, il mio obiettivo era un altro non quello
di una “carriera lavorativa”. Anche se gran parte della
mia giornata la passavo al lavoro, cuore, mente e forze erano tutte
rivolte ad “altro”…
Sentivo che la Messa alla Domenica non mi bastava più; era sempre
l’appuntamento fondamentale della settimana, ma rimaneva troppo
“isolato” rispetto agli altri giorni ed ai miei impegni.
Perciò mi resi disponibile nella mia piccolissima parrocchia
di campagna: un incontro di catechesi per pochi bambini il sabato pomeriggio;
un impegno da poco, ma per me era già una gran cosa, tenuto conto
di quanto e come fossi stato lontano dalla Chiesa. Era un piccolo servizio
che approfondiva e consolidava la mia appartenenza alla comunità
cristiana ed esigeva da me un cammino coerente: quello che annunciavo
agli altri, anche se pochi fanciulli, valeva prima di tutto per me.
Ero sempre fedele ai miei momenti di preghiera, specialmente Lodi, Vespri
e/o Compieta, ma anche lì sentivo il bisogno di un cammino personale
più profondo e “sostanzioso”. Quel poco tempo dedicato
al Signore mattino e sera era troppo poco, necessitavo di un pane più
solido e condiviso con altri.
Colsi subito la proposta offertami da d. Giuseppe di partecipare ad
incontri per giovani che desideravano interrogarsi e seguire un cammino
di fede. Lì ritrovai un’amica importante, Chiara, conosciuta
in Val d’Aosta l’anno prima, a cui avevo confidato la mia
“conversione”; e Maurizio B., conosciuto tanti anni prima
ad un campo scuola dell’ACR – sempre a Resy – che
sarebbe divenuto inaspettatamente mio “compagno di viaggio”.
Quegli incontri – guidati da d. Giuseppe ed un altro sacerdote
– e quelle amicizie particolarmente significative cominciavano
a scavare un buon solco ed un certo cammino.
Questo però non era ancora sufficiente, almeno per me. Cresceva
l’esigenza di “qualcosa di più” nel mio percorso
di fede e di ricerca, soprattutto riguardo ad un discernimento spirituale
personale ed alla confessione sacramentale. Chiesi a d. Giuseppe di
farmi da “guida”, ma lui mi confidò che si era reso
disponibile per la missione diocesana in Brasile e che sarebbe partito
l’anno successivo; non era il caso perciò di cominciare
un accompagnamento per poi interromperlo dopo alcuni mesi.
Mi rivolsi allora a don Luciano… Ma facciamo un passo indietro,
perché ho tralasciato una cosa molto importante, anzi fondamentale.
L’amicizia con Mauro e Maurizio era continuata ovviamente anche
dopo il campo-vacanza in Val d’Aosta. Dopo essere scesi dai monti
avevamo continuato a frequentarci; attraverso di loro avevo conosciuto
altre persone particolarmente importanti per il mio cammino ed il mio
futuro fra cui una coppia di fidanzati, Dario e Daniela, d. Luciano,
un prete diocesano che avevano conosciuto ad alcune conferenze e che
frequentavano regolarmente, così come i frati francescani conventuali,
che avevano una casa a Salsomaggiore Terme, dove si svolgevano incontri
e ritiri per giovani. Anche per me queste persone e questi “luoghi”
erano diventati un punto di riferimento per il mio pellegrinare. Partendo
per il militare, chiaramente, non potevo più continuare a frequentarli
assiduamente, ma ho sempre mantenuto vivi i contatti, scrivendo e ritrovandoci
ogni volta che tornavo a casa, se possibile.
Una volta che ero tornato in licenza, prima dell’estate, Mauro
e Maurizio ci dettero la notizia che sarebbero entrati in convento,
dai frati conventuali, iniziando di lì a poco un primo periodo
di discernimento chiamato “postulandato”; Maurizio in Assisi
e Mauro a Salsomaggiore. Questa notizia mi riempì più
di gioia che di sorpresa; ero veramente felice per questa scelta, per
loro, perché la loro vocazione si precisava e specificava sempre
più. Mi sentivo partecipe di questo loro cammino e gioivo per
loro e con loro di questa stupenda avventura. Ora avevo due amici ancora
più “speciali”, che guardavo come ad un tesoro prezioso
ed un punto di riferimento anche per il mio cammino.
Così – terminato il servizio di leva – cominciai
a frequentare “Casa Maria Immacolata” a Salso, dove ritrovavo
Mauro come anche i frati e le suore che avevo conosciute. Lì
con altri giovani – fra cui Dario e Daniela – partecipavamo
agli incontri che si svolgevano la Domenica con una cadenza poco più
che mensile, avendo anche la possibilità di arrivare il sabato
sera e di pernottare. Erano momenti molto semplici e nello stesso tempo
intensi, di grande familiarità e confidenza tra noi, di riflessione
e preghiera; ci sentivamo veramente legati ed appartenenti gli uni agli
altri.
Con Dario e Daniela c’incontravamo anche da d. Luciano, ogni settimana,
per riflettere sul vangelo domenicale e condividere le nostre esperienze
a partire da quella Parola. Dopo qualche tempo si aggiunse a noi Maurizio,
lo stesso conosciuto agli incontri dei giovani in AC. Era stato d. Giuseppe
infatti a suggerire ad entrambi di conoscerci meglio, poiché
sapeva che tutti e due ci stavamo ponendo una domanda “vocazionale”
e desideravamo fare un cammino di ricerca specifica in questo senso.
Fu una sorpresa bellissima per entrambi, quando scoprimmo che l’altro
si stava interrogando sulle stesse domande e stava ricercando le medesime
risposte; fu una grande gioia, perché ancora una volta il Signore
aveva tracciato per me una linea del suo progetto d’amore, aveva
posto sul mio cammino un compagno di viaggio, un fratello con cui condividere
le gioie e le fatiche della ricerca.
Oltre a frequentare gl’incontri da d. Luciano e di “Casa
Maria Immacolata”, ci trovavamo spesso noi due per pregare insieme
e soprattutto per confrontarci sul nostro cammino: i desideri, gl’interrogativi,
i dubbi, le difficoltà o le conquiste dell’uno erano di
luce, di stimolo e di conforto per l’altro.
Da ultimo, ma non per ultimo, io chiesi a d. Luciano di iniziare con
lui un cammino di “direzione” e “discernimento”
spirituale dove portavo e verificavo tutto il mio sentire, i miei pensieri
, il mio vissuto; e dopo di me incominciò anche Maurizio. Era
un momento prezioso, il tesoro ed il cuore della mia ricerca e della
mia settimana, il punto focale a cui tutto confluiva e da cui tutto
rifluiva come rinnovato, illuminato, purificato. Spesso in quegli incontri
personali celebravo il sacramento del perdono e non di rado la liturgia
delle ore, che d. Luciano doveva ancora terminare.
Così la mia settimana era sempre più fitta di incontri,
di appuntamenti con le persone che ormai segnavano il mio cammino e
con il Signore che incontravo attraverso di loro. Cresceva forte in
me anche l’esigenza di “sentire” Dio in modo più
chiaro e diretto, di sentire la sua parola e la sua presenza. Oltre
al tempo della preghiera fatta personalmente avevo bisogno e desiderio
di incontrarLo nella Parola celebrata e fatta carne, nell’Eucarestia.
Cominciai ad andare a Messa tutte le mattine prima del lavoro, alzandomi
perciò abbastanza presto per le mie abitudini. Mia mamma non
credeva ai suoi occhi e non riusciva a spiegarsi cosa mi stesse succedendo:
assisteva attonita e dubbiosa alle mie alzate di buon ora per “andare
alla Messa”.
Negli incontri con d. Luciano, sia personalmente che con Maurizio, stavamo
meditando e approfondendo alcuni documenti del Concilio Vaticano II,
specialmente il capitolo V della “Lumen gentium”, là
dove si parla della chiamata universale ala santità per tutti
i battezzati. Fu per me una scoperta straordinaria e sconvolgente, bellissima:
tutti eravamo chiamati a diventare santi, anzi lo eravamo già
in forza del nostro battesimo! Ciò che ci era stato già
dato in dono attendeva di essere scoperto e realizzato nella vita di
ciascuno e di ogni giorno. Quella “vocazione battesimale”
ad essere santo incrociava ed illuminava il mio desiderio e la mia ricerca:
il disegno di Dio si componeva e svelava sempre più.
Restava ancora aperta però una parte importante, fondamentale:
come trovare la “mia” particolare vocazione alla santità?
Essa infatti si realizza per ognuno in modo diverso, attraverso una
strada propria, chi attraverso la famiglia ed il lavoro, chi nella consacrazione
a Dio, nel sacerdozio…ed io…, come scoprire la mia personale
vocazione?
Mi ritornavano alla mente le parole di d. Giuseppe: « Se vuoi
scoprire la tua strada, cerca di vivere bene, con serietà e responsabilità
la condizione attuale di vita in cui ti trovi, come se quella fosse
la “scelta” della tua esistenza ».
Se guardavo alla situazione che stavo vivendo, alla mia storia, i fatti
accaduti, le persone incontrate tutto mi portava verso una via di consacrazione,
una vocazione sacerdotale. Ma come dice la parola stessa, per intraprendere
questa strada prima bisogna essere “vocati”, chiamati, bisogna
capire bene che il Signore ti chiama a seguirlo proprio per di lì.
Ed io questa chiarezza non l’avevo…
Con d. Luciano avevamo incominciato ad approfondire la vocazione specifica
al presbiterato, soprattutto attraverso il documento conciliare “Presbyterorum
ordinis”. In quelle riflessioni e quei confronti sulla vocazione
sacerdotale nella sua dimensione oggettiva, cresceva in me il desiderio
di aderirvi e la corrispondenza ad essa; ma ancora non potevo e non
riuscivo a dire che quella fosse la “mia” strada. Sentivo
che se avessi dovuto decidermi in quel momento ed intraprenderla, non
avrei potuto dire di sì. Quello su cui ero molto più certo
invece era il desiderio di rispondere alla chiamata alla santità
in una via di consacrazione, anche se non sapevo ancora come e dove…
Maurizio, da parte sua, sembrava più convinto di me ad entrare
in seminario, come prete diocesano, ma pure in lui questa certezza e
chiarezza interiore non era così assodata (almeno credo…).
Sentivamo entrambi che il tempo si stava facendo maturo, che era tempo
di scegliere e che la scelta non ammetteva ritardi; sentivamo anche
una forte esigenza di staccare con il ritmo e gl’impegni quotidiani
per prenderci un po’ di tempo di riflessione, di preghiera, di
discernimento…
Cogliemmo l’occasione della festa del 1° maggio per poterci
assentare dal lavoro, anche solo pochi giorni: quell’anno –
era il 1987 – la “festa del lavoro” cadeva di venerdì
(sai, certe date si fissano nella memoria e non si scordano più!);
niente di più favorevole per noi, poiché potevamo prenderci
tre giorni interi, dal venerdì alla Domenica.
Restava solo di decidere dove andare. Già da tempo a me sarebbe
piaciuto andare a trovare l’altro Maurizio, che aveva incominciato
l’esperienza in convento ad Assisi; lo proposi a Maurizio –
ancora non lo conosceva – che fu ben felice dell’idea.
C’era però un piccolo problema: poteva accoglierci Maurizio
ad Assisi…?!
Provai a telefonargli e a chiedere. Subito non era in grado di darmi
una risposta, poiché in quei giorni c’era molta gente in
Assisi ed anche al Sacro Convento, dove lui dimorava, erano ospitati
tanti giovani. Si riservò di darmi una risposta entro qualche
giorno… Il tempo passava, ma di Maurizio nessuna notizia; era
già giovedì ed ancora non si sapeva niente. Alla sera,
poco prima delle 22, arrivò la sua risposta: potevamo andare
e là ci avrebbero accolti proprio in convento da lui. L’unico
“problema” era il fatto che proprio in quei giorni si svolgeva
presso la Basilica di S. Francesco un campo-scuola vocazionale per giovani
di tutta Italia e Maurizio era impegnato per questo; noi eravamo liberi
di parteciparvi o meno, ma dovevamo comunque adattarci agli orari del
campo e dormire in un camerone con gli altri ragazzi. A noi, sinceramente,
la cosa non faceva nessun problema; c’interessava soltanto di
vedere Maurizio e poter stare almeno un po’ con lui, e soprattutto
di avere tempo, luoghi e occasioni di silenzio e preghiera.
Così il mattino dopo, di buon’ora, partimmo con la mia
auto alla volta di Assisi: io non c’ero mai stato e Maurizio soltanto
una volta in gita scolastica o con la parrocchia, non ricordo. Certo
l’emozione e l’attesa era tanta: non vedevamo l’ora
di essere là, di vivere appieno quei giorni, pur non sapendo
cosa ci aspettava…
Il viaggio fu abbastanza lungo ed un po’ “trafficato”,
ma il clima tra noi era molto sereno, gioioso, quasi spensierato. Ad
un cero punto ci fermammo a pregare le Lodi in una chiesina sulle colline
fiorentine, lungo l’autostrada. Quando finalmente fummo nei pressi
di Assisi, vedevamo in lontananza il colle con la città e su
di essa si ergeva imponente la Basilica ed il Convento di S. Francesco.
Ci fermammo qualche momento di fronte a quella meraviglia, lo stupore
e la riconoscenza riempiva il nostro cuore; mettemmo la cassetta con
la colonna sonora del film “Fratello sole, sorella luna”,
che ci accompagnò fin sotto alla Basilica.
Assisi era stracolma di gente e noi salivamo in auto la strada che porta
al Sacro Convento, avvolti da una fiumana di persone; era poco prima
di mezzogiorno.
Giunti in convento, abbiamo aspettato un poco prima di incontrare Maurizio,
che appena arrivato ha fatto gli “onori di casa”, aiutando
a sistemarci. Praticamente noi stavamo con lui e gli altri postulanti,
condividendo la loro vita di preghiera, di piccoli servizi e di fraternità
ed avevamo tutto il tempo di meditare e pregare indisturbati. Soltanto
alla sera scendevamo in camerone per dormire con gli altri ragazzi del
campo-scuola. Diversi ci chiedevano se eravamo lì per il campo
vocazionale e noi molto candidamente ed un po’ compiaciuti rispondevamo
di no. Forse però, dai nostri volti e dai nostri sguardi, si
vedeva che c’era qualcosa di particolare e che noi non sapevamo
riconoscere.
Sta di fatto che il secondo giorno, il sabato, oltre ai momenti di preghiera
“canonici” decidemmo di partecipare alla veglia di preghiera
serale presso la Tomba di S. Francesco. Fu la prima folgorazione.
Obiettivamente non c’era nulla di particolare che potesse stimolare
la mia sensibilità e partecipazione emotiva. Ricordo poche cose,
ma tutte fondamentali.
Anzitutto la Parola proclamata su cui era incentrata la veglia: la vocazione
del profeta Isaia (conservo ancora oggi il libretto della celebrazione).
Poi, dopo la riflessione/omelia, colui che presiedeva invitò
all’altare i postulanti che sarebbero entrai in Noviziato a settembre,
per invocare e donare la conferma della benedizione divina sulla loro
risposta vocazionale. Insieme con loro chiese se c’erano altri
giovani che volevano manifestare al Signore la loro apertura e disponibilità
a rispondere ad una possibile Sua chiamata. Lì, in quel momento
mi sentii interpellato personalmente ed intimamente: quelle parole erano
per me! Non so se intesi bene il senso di quell’invito, ma sentivo
chiaramente che il Signore attendeva una risposta da me: la mia totale
e piena disponibilità alla sua volontà. Era come trovarmi
alla stazione davanti ad un treno che stava per partire: non erano ammessi
ritardo o rimandi. Pensai che quella era l’occasione unica e propizia
che Dio mi offriva per dire il mio ”sì”, non sapendo
ancora a che cosa, ma certamente a chi: a Lui, il mio Signore, ed al
suo progetto d’amore e di bene su di me. Così m’incamminai
anch’io dietro la fila dei postulanti e degli altri giovani, con
il cuore che mi batteva in gola ed un vortice di pensieri in testa;
ero in fondo alla fila, forse l’ultimo e quando giunsi all’altare
il sacerdote mi rivolse poche, semplici e affettuose parole che risuonavano
in me come una conferma al mio gesto di offerta, una vera benedizione.
Tutto questo avveniva sotto gli occhi esterefatti di Maurizio, mio compagno
di viaggio, che rimase più spiazzato che stupito. Dopo la veglia
lui si ritirò nella cappella dell’Eucarestia e vi rimase
a lungo, mentre io ero andato a letto; non riuscivo però né
potevo dormire, perciò lo aspettai sveglio. Quella sera era avvenuto
qualcosa di grande e misterioso e non potevo tenerlo soltanto per me,
non potevo non comunicarlo a lui, che aveva condiviso con me il cammino
fino a quel momento. Anche per lui qualcosa di molto importante era
avvenuto e ci ritrovammo a balbettare qualcosa di quell’esperienza
meravigliosa nel buio del camerone e nel pieno della notte.
L’indomani, Domenica, chiesi di poter incontrare un frate per
un colloquio e per celebrare il sacramento della riconciliazione; così
anche Maurizio. Ci fu consigliato p. Giancarlo, allora rettore dei postulanti,
il quale fu ben contento e disponibile ad ascoltarci.
Ricordo che – inaspettatamente – riemerse alla mia coscienza
e sulle mie labbra (grazie anche alle provocazioni/sollecitazioni di
p. Giancarlo) tutta la mia storia passata, il mio allontanamento da
Dio ed il mio peccato; il suo amore che mi attirava ed accendeva il
mio desiderio di santità, di Lui. Fu una “confessione fiume”,
come quella del mio “ritorno”, celebrata quasi due anni
prima in montagna con d. Giuseppe.
Le parole di p. Giancarlo mi segnarono come un marchio a fuoco. Il senso
era questo: “Caro Paolo, tu non hai lesinato nella ricerca della
felicità, fino all’eccesso; hai voluto andare fino in fondo
(e “al fondo”!), ma quella felicità non l’hai
trovata. In realtà tu la cercavi nel posto sbagliato e non sapevi
che ciò che cercavi era Qualcuno. In realtà tu cercavi
Dio e non lo sapevi; Lui era l’ “assoluto” che desideravi
senza conoscerLo ed ora è Lui che ti è venuto incontro.
La tua vita e la tua storia sono state segnate da una caratteristica:
la radicalità. Tu sei stato sempre radicale, nel bene come nel
male. Questo è un segno che la chiamata del Signore va nel senso
della radicalità e non delle mezze misure. Tu sei fatto per “tutto
o niente”! Vista la tua ricerca e domanda vocazionale credo che
tu la debba indirizzare verso una consacrazione nella vita religiosa,
dove il tuo desiderio di radicalità può trovare piena
risposta e compimento. Cerca di verificare questo ora, tornando a casa,
col tuo padre spirituale: questo discernimento è meglio farlo
prima di una scelta piuttosto che dopo. E poi potrai tornare qui per
una verifica del cammino fatto”.
Uscii da quella confessione come trasformato: fu la seconda folgorazione.
D’improvviso s’apriva dinanzi a me un orizzonte mai visto
né considerato prima, una strada sconosciuta ed affascinante:
la vocazione alla vita religiosa.
La cosa più sconcertante ed al contempo meravigliosa era che
essa rispondeva pienamente e perfettamente alla mia ricerca, al mio
desiderio: ciò che avevo inseguito per tanti anni e in molte
esperienze ora mi si parava innanzi come un dono inaspettato e totalmente
gratuito. Un misto di gioia e stupore mi colmava il cuore ed io mi trovavo
fortemente attratto e nello stesso tempo come smarrito.
Venne dunque il momento di partire per ritornare a casa: quei giorni,
seppure pochi, erano stati intensissimi; mi sembrava di essere lì
con loro da tanto tempo, di conoscerli “da sempre”! Ora
il legame con Maurizio (con entrambi, il postulante ed il compagno di
viaggio) era molto più forte e profondo; quel saluto aveva tutto
il sapore di un arrivederci.
Partire non è stato facile: un senso di gioia e commozione m’invadeva
e mi accompagnò per tutto il viaggio. Rimanemmo per molto tempo
in silenzio, a differenza dell’andata; la bellezza e la grandezza
di quanto stava accadendo era troppa per poterne parlare, non sapevo
trovare le parole, da dove cominciare. Altrettanto grande ed insondabile
era il mistero di cui mi sentivo avvolto…solo il silenzio era
la risposta adeguata a tanta meraviglia. Credo che anche per Maurizio
fosse così: un’esperienza talmente intensa che necessitava
di essere lasciata decantare.
Non appena tornati a casa, andammo a raccontare – ciascuno personalmente
– l’esperienza a d. Luciano, il quale fu sinceramente e
profondamente felice di quanto ci stava accadendo. Lui per primo infatti
era innamorato della vita religiosa, specie carmelitana e riteneva che
questa chiamata fosse una via ancora “più perfetta”
e sublime.
Non esitò quindi ad impostare i nostri incontri sulla scoperta
e l’approfondimento della consacrazione religiosa, sempre attraverso
i documenti del Concilio: “Lumen gentium” e Perfectae caritatis”.
Ascoltare e riflettere su quegli insegnamenti era come essere illuminato
ogni volta, inondato di un balsamo benefico e salutare; mi ritrovavo
pienamente in quella prospettiva e proposta: la chiamata alla santità
ora assumeva contorni precisi, era la perfezione della vita cristiana,
la radicalità della vocazione battesimale in una consacrazione
totale e definitiva a Dio attraverso una scelta di castità, povertà,
obbedienza e di un carisma particolare. Lì trovavano risposta
i miei dubbi ed interrogativi, la mia attesa e ricerca, il mio desiderio
di radicalità, di assoluto, di santità, di Dio.
Anche la Parola di ogni giorno, soprattutto nell’Eucarestia, sembrava
rispondere alle mie domande ed attese: erano frequenti i brani evangelici
di vocazione, come se il Signore si rivolgesse proprio a me.
Uno specialmente lo sentivo particolarmente vicino, vivo e vivificante:
il brano del cosiddetto “giovane ricco” (Mt 19, 16-22).
Non lo avevo mai colto come allora: io ero quel tale che chiedeva a
Gesù la vita eterna e Gesù diceva a me di lasciare tutto
e di seguirlo. Quel vangelo sembrava scritto per me…!
Come due anni prima era stato il brano del “figliol prodigo”,
il ritorno del figlio a folgorarmi, così ora era questa chiamata
di Gesù alla perfezione.
Cosa dovevo fare, dunque, concretamente? Famiglia, lavoro, aspirazioni
umane non avevano ormai su di me più nessuna attrattiva: ero
tutto proiettato a seguire Gesù…ma dove e come? Entrare
comunque in Seminario e poi…”si vedrà” oppure
fare un’esperienza nella vita religiosa? Certo non era una scelta
facile e soprattutto non toccava a me fare programmi. Fino a quel momento
li aveva fatti un Altro per me ed il suo progetto, svelato poco per
volta, si era rivelato imprevedibilmente la mia strada e la mia felicità.
Ora dovevo soltanto lasciarLo fare, sino in fondo; abbandonarmi fiduciosamente
a Lui, senza riserve nella certezza che quella sarebbe stata la scelta
migliore per me.
Don Luciano, molto saggiamente, mi confermava e confortava in questa
prospettiva e mi ribadiva che se il Signore mi aveva toccato ed illuminato
in quell’esperienza di Assisi, là dovevo tornare a verificare
il mio cammino e la mia scelta.
Così è stato. Non erano passati neanche due mesi dal nostro
ritorno da Assisi, che Maurizio ed io decidemmo di ripartire per incontrare
nuovamente p. Giancarlo, per raccontargli gli sviluppi del nostro cammino
ed operare con lui un ultimo discernimento, questa volta definitivo.
Per entrambi era chiaro che ormai era giunto il momento della scelta,
anche se non sapevamo cosa avremmo trovato tornando ad Assisi.
Ci fermammo tre giorni, anche stavolta. L’ambiente e le persone
erano ormai familiari; p. Giancarlo, Maurizio e gli altri postulanti
ci attendevano e ci accolsero con grande affetto.
In quei giorni si celebrava la solennità del “Corpus Domini”,
era Domenica 21 giugno: anche questa è una data che non potrò
più dimenticare.
Proprio in quel giorno avevamo appuntamento con p. Giancarlo, sia Maurizio
che io. Era la mattina, prima della messa delle 11 in Basilica inferiore.
Andai nello studio di p. Giancarlo dopo che era andato Maurizio, senza
avere il tempo nemmeno di incrociarci; e a lui raccontai quello che
era accaduto da maggio sino a quel momento, come stavo vivendo. Gli
incontri con d. Luciano, le pagine vive e luminose del Vangelo, i desideri
e le incertezze…tutto fluiva dal mio cuore non senza un filo logico,
ma nello stesso tempo la “sospensione” era tanta; ero sereno
e fortemente emozionato insieme.
Dopo avermi ascoltato, p. Giancarlo – con grande carica e pacatezza
al contempo – mi disse che tutto il mio cammino sembrava proprio
portare lì, a quella chiamata, a quella scelta. Usò quest’immagine
per spiegarsi e farmi comprendere: « Tu ti trovi su di una sponda,
davanti ad un “mare” da attraversare, come il popolo d’Israele
si trovò di fronte al Mar Rosso. Dietro a te la tua storia, il
tuo passato, il tuo peccato; davanti a te una promessa di libertà,
una chiamata alla felicità piena e duratura. Tocca a te scegliere,
il resto lo farà tutto il Signore: sarà Lui ad aprire
le acque dove sembrerebbe impossibile, ad annientare i tuoi “nemici”,
i tuoi dubbi e le tue paure. Tu devi solo buttarti, decidere di partire…se
vuoi a settembre puoi incominciare il postulandato, qui in Assisi ».
Quelle parole non mi colsero di sorpresa, pur non immaginando quella
proposta; furono come la conferma di una certezza nascosta, rimasta
nell’ombra fino a quel momento, che ora – improvvisamente
– brillava in tutta la sua luce. Tutto mi aveva condotto lì,
a quel punto ed a quel momento; il disegno del Padre ora era pienamente
manifesto, luminoso. Finalmente avevo trovato la mia vocazione. In tutta
semplicità e libertà, con la gioia e la pace nel cuore,
non potevo che dire il mio « sì! ».
Uscii da quella stanza senza rendermi ben conto di ciò che stava
succedendo: stupore, confusione, emozione, esultanza si alternavano
e si rincorrevano dentro di me; mi recai subito in Basilica per la Messa.
Lì trovai Maurizio…ad aspettarmi: non sapevo cosa fosse
accaduto a lui. Gli dissi: « Io entro a settembre qui in Assisi
» e lui mi rispose: « Anch’io! ».
E la gioia e la sorpresa furono ancora più grandi.
Caro amico od amica (ormai posso chiamarti così,
dopo che ti ho svelato il segreto più intimo e prezioso della
mia vita!) la parabola finisce qui, o meglio la parabola continua, ma
io mi fermo qui…
Ti ho raccontato una bella fetta della mia storia, la prima parte direi
o forse la “metà”.
C’è un’altra parte che non ti ho raccontato, quella
del figlio maggiore, il figlio fedele e irreprensibile che tornato a
casa dal lavoro non vuole entrare a far festa col fratello ritornato
e ritrovato…
È la parte di storia che sto ancora vivendo e che è iniziata,
in certo senso, dopo aver incominciato il mio cammino di consacrazione
religiosa francescana. Per questo ho deciso di non scriverla, perché
è una parte ancora in atto, non ancora conclusa e perciò
impossibile da descrivere.
Questa è una parabola aperta, che resta sospesa e attende la
nostra risposta…come la vita!
Auguro anche a te, con tutto il cuore, di poter scoprire e vivere fino
in fondo la “tua” personale vocazione e di poter rileggere
la tua esistenza come un meraviglioso progetto di bene e d’amore
che Qualcuno ha pensato e preparato per te fin dall’eternità:
buon cammino!
Tuo fratello Paolo Maria
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Non
chiederci la parola
di Enrica
Musio
Non ci devi chiedere,
la parola,
perché la parola
è libera,
e non va mai chiesta,
perché la parola
apre mondi interessanti,
non
chiedere mai
la parola.
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La
disattenzione
di Mohamed Ghonim
Il tempo è divenuto
avversario di sé stesso,
come è accaduto all'uomo,
ha trasformato la rosa in un recinto
per sudario…
Attraversate tutti i ponti
dell'abisso
e delle vette,
vi scambiate l'augurio
riversate il pensiero in coppe arrugginite
appesantite dall'amnesia
mettete nel becco degli uccelli le armi
e piangete sulla libertà.
Temo che secchino
nei vostri occhi
tutti i ramoscelli
(da Colombe
raggomitolate, Fara, novembre 2003)
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Miloud
(conversazione con Miloud Oukili di Liana
Mussoni)
Quando ho iniziato questa avventura a Bucarest e ho incontrato
questi bambini, ho deciso che volevo loro come miei collaboratori, perché
sono capaci di una sincerità veramente totale e dunque portano
in scena una verità profonda che è scritta nel loro corpo:
è la loro vita, la loro storia.
Inizialmente non mi sono certo posto il problema del risultato artistico
degli spettacoli di Parada; oggi invece penso che dopo sette anni ho
un potenziale di gente con cui posso parlare di arte. Ho creato una
équipe di collaborazione con ragazzi estremamente autonomi e
sinceri, scrupolosi nel lavoro e nei rapporti con gli altri, di cui
sono molto soddisfatto. Sono io a chiedere a loro consigli sul mio clown,
e ti assicuro che loro non mi risparmiano nessuna critica. Sono liberi
e dunque mi controllano e mi contraddicono. Quando vedono che ancora
indosso i pantaloni di sette anni fa, mi dicono: – Ma Miloud,
quando ti deciderai a cambiare quei pantaloni? Io mi vergogno per te!
Ed io rispondo: – Non ti vergognare, io li sopporto ancora.
– No, noi applichiamo quello che tu ci hai insegnato: "Fai
le cose per te stesso!"
Bene, questo è un successo, perché significa che ho con
me persone che capiscono che il loro interesse parte dalla gente che
loro amano; hanno capito il valore della libertà di scelta nel
rispetto degli altri. Perciò hanno capito una cosa importante:
"Fai ciò che vuoi, ma con un reale rispetto di te stesso
e degli altri."
(da Miloud:
Il volto non comune di un clown, Fara, novembre 2003)
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Genova 2004 http://www.genova-2004.it/
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